Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 8484 del 08/04/2013
Civile Sent. Sez. L Num. 8484 Anno 2013
Presidente: LAMORGESE ANTONIO
Relatore: NOBILE VITTORIO
SENTENZA
sul ricorso 14340-2008 proposto da:
POSTE
ITALIANE
S.P.A.
in
persona
del
legale
rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata
in ROMA, VIALE MAZZINI 134, presso lo studio
dell’avvocato FIORILLO LUIGI, rappresentata e difesa
dall’avvocato TOSI PAOLO, giusta delega in atti;
– ricorrente –
2013
480
contro
FERRARI GIULIANA, elettivamente domiciliata in ROMA,
VIA VITTORIO VENETO 84, presso lo studio dell’avvocato
BELTRAMO SUSANNA, che la rappresenta e difende giusta
Data pubblicazione: 08/04/2013
delega in atti;
– controricorrente
–
avverso la sentenza n. 614/2007 della CORTE D’APPELLO
di GENOVA, depositata il 24/05/2007 r.g.n. 1154/06;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica
NOBILE;
udito l’Avvocato ANNA BUTTAFOCO per delega TOSI PAOLO;
udito l’Avvocato BELTRAMO SUSANNA;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore
Generale Dott. GIUSEPPE CORASANITI, che ha concluso
per l’inammissibilità o in subordine rigetto.
udienza del 07/02/2013 dal Consigliere Dott. VITTORIO
R.G. 14340/2008
FATTO E DIRITTO
Con sentenza n. 1831/2005 il Giudice del lavoro del Tribunale di Genova,
in accoglimento della domanda proposta da Giuliana Ferrari nei confronti della
lavoro stipulato tra le parti per “esigenze eccezionali” ex art. 8 ceni 1994 come
integrato dall’acc. az. 25-9-97 e succ., per il periodo 1-12-1998/31-1-1999, con
le pronunce consequenziali.
La società proponeva appello avverso la detta sentenza chiedendone la
riforma con il rigetto della domanda di controparte.
La Ferrari si costituiva e resisteva al gravame.
La Corte di Appello di Genova, con sentenza depositata il 24-5-2007,
respingeva l’appello e condannava l’appellante al pagamento delle spese.
Per la cassazione di tale sentenza la società ha proposto ricorso con due
motivi.
La Ferrari ha resistito con controricorso.
La società ha depositato memoria ex art. 378 c.p.c..
Infine il Collegio ha autorizzato la motivazione semplificata.
Ciò posto, preliminarmente va respinta la richiesta di interruzione del
processo avanzata in udienza dal difensore della controricorrente, per
intervenuto decesso della stessa, considerato che “nel giudizio di cassazione,
che è dominato dall’impulso d’ufficio, non trova applicazione l’istituto della
interruzione del processo per uno degli eventi previsti dagli artt. 299 e segg.
cod. proc. civ., onde, una volta instauratosi il giudizio, il decesso di uno dei
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s.p.a. Poste Italiane, dichiarava la nullità del termine apposto al contratto di
ricorrenti, comunicato dal suo difensore, non produce l’interruzione del
giudizio” (v. Cass. S.U. 21-6-2007 n. 14385, Cass. 31-10-2011 n. 22624).
Con il primo motivo la ricorrente, denunciando violazione degli artt. 23
legge n. 56/87, 1362 e ss. c.c. e vizio di motivazione, in sostanza lamenta che
riconosciuta dalla legge del 1987 alla contrattazione collettiva, erroneamente
ha ritenuto che le parti sociali abbiano inteso delimitare temporalmente
l’efficacia dell’accordo sindacale del 25-9-1997 con gli accordi attuativi
successivi, dei quali sostiene la natura meramente ricognitiva.
Il motivo è infondato, anche se la motivazione della sentenza impugnata
merita di essere parzialmente corretta ai sensi dell’art. 384, secondo comma,
c.p.c..
Correttamente la Corte di merito ha ritenuto che la contrattazione
collettiva abbia fissato termini di scadenza dell’autorizzazione alla stipula di
contratti a termine per l’ipotesi de qua.
In particolare, come questa Corte ha ripetutamente affermato, “in materia
di assunzioni a termine di dipendenti postali, con l’accordo sindacale del 25
settembre 1997, integrativo dell’art. 8 del c.c.n.l. 26 novembre 1994, e con il
successivo accordo attuativo, sottoscritto in data 16 gennaio 1998, le parti
hanno convenuto di riconoscere la sussistenza della situazione straordinaria,
relativa alla trasformazione giuridica dell’ente ed alla conseguente
ristrutturazione aziendale e rimodulazione degli assetti occupazionali in corso
di attuazione, fino alla data del 30 aprile 1998; ne consegue che deve
escludersi la legittimità delle assunzioni a termine cadute dopo il 30 aprile
1998, per carenza del presupposto normativo derogatorio, con la ulteriore
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la sentenza impugnata, violando il principio della “delega in bianco”
conseguenza della trasformazione degli stessi contratti a tempo indeterminato,
in forza dell’art. 1 della legge 18 aprile 1962 n. 230″ (v., fra le altre, Cass. 1-
/A
10-2007 n. 20608, Cass. 27-3-2008 n. 7979, Cass. 18378/2006 cit.).
L’addendum all’art. 7 del 2-7-1998, poi, con riferimento soltanto ai
a termine (pur sempre, però, non assumendo rilievo la data di scadenza del
contratto, ma quella di stipula — v. fra le altre Cass. 26-9-2007 n. 20163, Cass.
2-10-2012 n. 16750).
In base a tale orientamento ed al valore dei relativi precedenti, pur
riguardanti la interpretazione di norme collettive (cfr.. Cass. 29-7-2005 n.
15969, Cass. 21-3-2007 n. 6703), va ritenuta la nullità del termine apposto al
contratto in esame (full time, del 1-12-1998), correggendosi, sul punto, la
motivazione della impugnata sentenza che, invece, ha ritenuto che gli accordi
attuativi ebbero a stabilire, non i termini entro i quali era consentita l’adozione
del tipo contrattuale, ma proprio i termini che legittimamente potevano essere
apposti ai contratti individuali (v. in tal senso fra le altre Cass. 10-1-2006 n.
166, Cass. 28-3-2008 n. 8121).
Con il secondo motivo la ricorrente censura l’impugnata sentenza nella
parte in cui ha respinto l’eccezione di risoluzione del rapporto per mutuo
consenso tacito, nonostante la mancanza di una qualsiasi manifestazione di
interesse alla funzionalità di fatto del rapporto stesso per un apprezzabile lasso
di tempo anteriore alla proposizione della domanda e la conseguente
presunzione di estinzione del rapporto medesimo, con onere, in capo alla
lavoratrice, di provare le circostanze atte a contrastare tale presunzione.
Il motivo non merita accoglimento.
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contratti part time, ha prorogato fino al 31-12-1998 la possibilità di assunzioni
Come questa Corte ha più volte affermato “nel giudizio instaurato ai fini
del riconoscimento della sussistenza di un unico rapporto di lavoro a tempo
indeterminato, sul presupposto dell’illegittima apposizione al contratto di un
termine finale ormai scaduto, affinché possa configurarsi una risoluzione del
lasso di tempo trascorso dopo la conclusione dell’ultimo contratto a termine,
nonché del comportamento tenuto dalle parti e di eventuali circostanze
significative — una chiara e certa comune volontà delle parti medesime di porre
definitivamente fine ad ogni rapporto lavorativo” (v. Cass. 10-11-2008 n.
26935, Cass. 28-9-2007 n. 20390, Cass. 17-12-2004 n. 23554, nonché da
ultimo Cass. 18-11-2010 n. 23319, Cass. 11-3-2011 n. 5887, Cass. 4-8-2011 n.
16932). La mera inerzia del lavoratore dopo la scadenza del contratto a
termine, quindi, “è di per sé insufficiente a ritenere sussistente una risoluzione
del rapporto per mutuo consenso” (v. da ultimo Cass. 15-11-2010 n. 23057,
Cass. 11-3-2011 n. 5887), mentre “grava sul datore di lavoro”, che eccepisca
tale risoluzione, “l’onere di provare le circostanze dalle quali possa ricavarsi la
volontà chiara e certa delle parti di volere porre definitivamente fine ad ogni
rapporto di lavoro” (v. Cass. 2-12-2002 n. 17070 e fra le altre da ultimo Cass.
1-2-2010 n. 2279).
Tale principio, del tutto conforme al dettato di cui agli art. 1372 e 1321
c.c., va ribadito anche in questa sede, così confermandosi l’indirizzo prevalente
ormai consolidato, basato in sostanza sulla necessaria valutazione dei
comportamenti e delle circostanze di fatto, idonei ad integrare una chiara
manifestazione consensuale tacita di volontà in ordine alla risoluzione del
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rapporto per mutuo consenso, è necessario che sia accertata — sulla base del
rapporto, non essendo all’uopo sufficiente il semplice trascorrere del tempo e
neppure la mera mancanza, seppure prolungata, di operatività del rapporto.
Orbene nella fattispecie la Corte di merito, sulla base degli elementi tutti
di fatto emersi, ha ritenuto “non univoca la condotta” della Ferrari e
termine solo quando il tempo trascorso dalla cessazione dell’ultimo contratto le
ha dato la ragionevole certezza che non la avrebbero richiamata”.
Tale accertamento di fatto, conforme ai principi sopra richiamati, risulta
altresì congruamente motivato e resiste alla censura della ricorrente.
In tali sensi, quindi, va respinto il ricorso e, non essendo stata, peraltro,
avanzata alcuna altra censura, che riguardi in qualche modo le conseguenze
economiche della dichiarazione di nullità della clausola appositiva del termine
ed il capo relativo al risarcimento del danno, neppure potrebbe incidere in
qualche modo nel presente giudizio lo ius superveniens, rappresentato dall’art.
32, commi 5 0 , 6° e 7° della legge 4 novembre 2010 n. 183.
Al riguardo, infatti, come questa Corte ha più volte affermato, in via di
principio, costituisce condizione necessaria per poter applicare nel giudizio di
legittimità lo ius superveniens che abbia introdotto, con efficacia retroattiva,
una nuova disciplina del rapporto controverso, il fatto che quest’ultima sia in
qualche modo pertinente rispetto alle questioni oggetto di censura nel ricorso,
in ragione della natura del controllo di legittimità, il cui perimetro è limitato
dagli specifici motivi di ricorso (cfr. Cass. 8 maggio 2006 n. 10547, Cass. 272-2004 n. 4070).
Orbene tale condizione non sussiste nella fattispecie..
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“presumibile che la lavoratrice si sia decisa a impugnare l’illegittimità del
Infine la ricorrente, in ragione della soccombenza va condannata al
pagamento delle spese.
P.Q.M.
you
La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente a pagare alla Ferrari le
accessori di legge.
Roma 7 febbraio 2013
spese, liquidate in euro 50,00 per esborsi e euro 3.500,00 per onorari, oltre