Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 8484 del 06/05/2020

Cassazione civile sez. trib., 06/05/2020, (ud. 02/07/2019, dep. 06/05/2020), n.8484

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. VIRGILIO Biagio – Presidente –

Dott. CATALLOZZI Paolo – Consigliere –

Dott. PUTATURO DONATI VISCIDO DI NOCERA M.G. – Consigliere –

Dott. SAIJA Salvatore – Consigliere –

Dott. NOVIK A. Ton – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 9592/2016 R.G. proposto da:

Virginia s.r.l., in persone dell’a.u., N.M., rappresentato

e difeso dall’avv.to Chiara Mestichelli, elett. dom. presso il suo

studio in Rieti, via Garibaldi 264/E;

– ricorrente –

contro

Agenzia delle Entrate, in persona del direttore pro tempore,

domiciliata in Roma, via dei Portoghesi 12, presso l’Avvocatura

Generale dello Stato, che la rappresenta e difende;

– Controricorrente –

avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale del Lazio

n. 5506/14/2015 del 14 luglio 2015, depositata il 21 ottobre 2015,

non notificata.

Fatto

1. Virginia S.r.l. (di seguito, la contribuente) propone ricorso per cassazione sulla base di due motivi, illustrati da memoria, contro l’Agenzia delle entrate avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale del Lazio (di seguito, CTR) del 14 luglio 2015, che su appello dell’Agenzia ha riformato la sentenza della Commissione tributaria provinciale di Rieti (di seguito, CTP) che aveva accolto il ricorso con cui la detta contribuente aveva impugnato la cartella di pagamento per il credito Iva di Euro 157.812,00, oltre interessi e relative sanzioni.

2. La ripresa conseguiva al controllo automatizzato della dichiarazione annuale dei redditi presentata, con modello unico 2010, per l’anno di imposta 2009, da cui risultava che il credito Iva era stato indebitamente riportato, in quanto la dichiarazione relativa all’anno di imposta 2008 era stata inviata senza riquadri Iva.

3. Per i giudici di secondo grado era stata la stessa contribuente ad ammettere di aver inviato nei termini la dichiarazione, contenente i Quadri RE, RN, RO, RS, ma di aver omesso “per errore deprecabile” di trasmettere i Quadri riferiti all’Iva; le ragioni di carattere soggettivo che avevano determinato l’omissione commessa per la CTR erano irrilevanti e risultava legittimo il recupero operato dall’ufficio.

4. La agenzia resiste con controricorso.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo di ricorso, in prospettiva dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la contribuente lamenta violazione di legge in relazione all’art. 113 c.p.c., comma 1, all’art. 115 c.p.c., comma 1, all’art. 116, comma 1, e all’art. 2967 c.c.. Al contrario di quanto ritenuto dalla CTR, osserva, essa, come già affermato nel ricorso introduttivo del giudizio, aveva effettuato l’invio telematico completo dei Quadri Iva e la colpa del mancato recepimento degli stessi era addebitabile all’ufficio (riporta la dichiarazione resa dall’intermediario che aveva curato l’invio telematico) che, per cause imprecisate e non spiegate, aveva “contro la volontà della Virginia Srl, chiusa la partita Iva della medesima a far data dal 10.03.2008 nonostante la sua indiscussa attività commerciale contabile”. Pertanto, conclude, avendo fornito le prove dell’esistenza del credito Iva e di aver inviato i quadri completi, era evidente la violazione di legge compiuta dal giudice di secondo grado, laddove aveva trascurato di considerare il mancato assolvimento dell’onere della prova incombente sull’ufficio in relazione alla pretesa vantata.

La censura è inammissibile. La CTR sul punto della mancata trasmissione dei Quadri Iva ha compiuto un accertamento di fatto che non può essere più messo in discussione sotto il vizio di violazione o falsa applicazione di legge che può essere formulato solo assumendo l’accertamento di fatto, così come operato dal giudice del merito, in guisa di termine obbligato, indefettibile e non modificabile, del sillogismo tipico del paradigma dell’operazione giuridica di sussunzione, là dove, diversamente (ossia ponendo in discussione detto accertamento), si verrebbero ad esercitarsi poteri di cognizione esclusivamente riservati al giudice del merito (cfr. Cass., ord., 13 marzo 2018, n. 6035; Cass., 23 settembre 2016, n. 18715). Una recente sentenza ha affermato – in termini molto chiari – che la erronea riconduzione del fatto materiale nella fattispecie legale deputata a dettarne la disciplina (c.d. vizio di sussunzione) postula che l’accertamento in fatto operato dal giudice di merito sia considerato “fermo ed indiscusso”, sicchè è estranea alla denuncia del vizio di sussunzione ogni critica che investa la ricostruzione del fatto materiale, esclusivamente riservata al potere del giudice di merito (Cass., Sez. 3, n. 6035 del 13/03/2018). L'”errore di diritto” nell’attività di giudizio si traduce nella inesatta o errata individuazione od interpretazione della norma (o della fattispecie astratta in essa considerata) che deve essere applicata al rapporto come esattamene cognito nei suoi elementi fattuali, ovvero in un errore di sussunzione (che si verifica quando i fatti come oggettivamente rilevati non appaiono riconducibili alla fattispecie astratta contemplata dalla norma, ovvero pur essendo a quella riconducibili vengono tuttavia regolati dal Giudice sulla base di effetti giuridici diversi da quelli considerati dalla norma applicata).

Nel caso in esame, sotto la veste della violazione di legge, la ricorrente censura la valutazione delle prove compiute dalla CTR.

2. Con il secondo motivo di ricorso, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la contribuente lamenta violazione all’art. 132 c.p.c., all’art. 118 disp. att. c.p.c., all’art. 112 c.p.c., in relazione all’art. 346 e all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4. A suo dire, la CTR non avrebbe dato risposta al motivo subordinato con il quale era stata richiamata la circolare dell’amministrazione del 25 giugno 2013 n. 21/E che, innovando la precedente prassi, aveva ammesso che anche in presenza di un’omessa dichiarazione l’amministrazione finanziaria poteva accertare l’effettività del credito maturato nel relativo periodo d’imposta; la dimostrazione dell’esistenza contabile del credito, quindi, poneva il contribuente nella medesima condizione in cui si sarebbe trovato qualora avesse correttamente presentato la dichiarazione. Osserva di aver dimostrato la sussistenza del credito e che tale motivo di ricorso non era stato valutato nemmeno implicitamente dal giudice di secondo grado, rendendo la sentenza viziata nei profili di diritto sopra rubricati.

2.1. Ancorchè la doglianza colga un aspetto effettivamente rispondente alla realtà processuale – la mancata pronuncia, da parte della commissione tributaria regionale, sul motivo di appello in oggetto – da ciò non può conseguire la cassazione per tale motivo della sentenza impugnata. Va fatta qui applicazione del principio più volte affermato secondo cui: “Nel giudizio di legittimità, alla luce dei principi di economia processuale e della ragionevole durata del processo di cui all’art. 111 Cost., nonchè di una lettura costituzionalmente orientata dell’attuale art. 384 c.p.c., una volta verificata l’omessa pronuncia su un motivo di appello, la Corte di cassazione può evitare la cassazione con rinvio della sentenza impugnata e decidere la causa nel merito sempre che si tratti di questione di diritto che non richiede ulteriori accertamenti di fatto. (Sez. 5, Sentenza n. 21968 del 28/10/2015, Rv. 637019 – 01)”. Ora, nel caso di specie, sulla questione di diritto prospettata nella giurisprudenza di legittimità si erano formati due orientamenti interpretativi di segno opposto: secondo il primo, il contribuente che, avendo regolarmente annotato tutte le fatture dalle quali scaturisca, per lui, un credito d’imposta, ed avendo operato la detrazione del credito nelle liquidazioni periodiche, non presenti poi la dichiarazione annuale, può computare l’imposta detraibile, risultante dalle liquidazioni periodiche, nella dichiarazione dell’anno successivo, atteso che, ai sensi del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 28, comma 4, il diritto alla detrazione si perde solo quando questa non venga computata sia nel mese di competenza, che in sede di dichiarazione annuale (cfr. Cass. 25 febbraio 1998, n. 2063); l’opposta opzione ermeneutica si esprimeva, invece, nel senso che il contribuente che, pure avendo computato le detrazioni per i mesi di competenza, abbia omesso di computarle nella dichiarazione annuale, perde il diritto a dette detrazioni, ai sensi del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 28, comma 4, fermo il diritto al rimborso di quanto versato in eccedenza, in applicazione del citato D.P.R., art. 30, comma 2 (cfr. Cass. 19 ottobre 2007, n. 21947; Cass. 9 febbraio 2001, n. 1823).

Il contrasto è stato risolto dalla Sezioni Unite, le quali, con pronuncia n. 17757 dell’8 settembre 2016, hanno affermato che “La neutralità dell’imposizione armonizzata sul valore aggiunto comporta che, pur in mancanza di dichiarazione annuale per il periodo di maturazione, l’eccedenza d’imposta, che risulti da dichiarazioni periodiche e regolari versamenti per un anno e sia dedotta entro il termine previsto per la presentazione della dichiarazione relativa al secondo anno successivo a quello in cui il diritto è sorto, va riconosciuta dal giudice tributario se il contribuente abbia rispettato tutti i requisiti sostanziali per la detrazione, sicchè, in tal caso, nel giudizio d’impugnazione della cartella emessa dal fisco a seguito di controllo formale automatizzato non può essere negato il diritto alla detrazione se sia dimostrato in concreto, ovvero non sia controverso, che si tratti di acquisti compiuti da un soggetto passivo d’imposta, assoggettati ad IVA e finalizzati ad operazioni imponibili”. (Sez. U, Sentenza n. 17757 del 08/09/2016, Rv. 640943 – 01).

Il contribuente, pertanto, può portare in detrazione l’eccedenza d’imposta anche in assenza della dichiarazione annuale finale (e fino al secondo anno successivo a quello in cui è sorto il diritto), purchè siano rispettati i requisiti sostanziali per poter fruire della detrazione; la sussistenza di tali requisiti esclude, dunque, la rilevanza dell’assenza di quelli formali, ivi comprese le liquidazioni periodiche, purchè sia rispettata, come nel caso in esame, la cornice biennale prevista dal D.P.R. n. 633 del 1972, art. 19, per l’esercizio del diritto di detrazione (secondo le precisazioni espresse, in particolare, da Cass. 28 luglio 2015, n. 14767, e confermate, tra le altre, da Cass. 3 marzo 2017, n. 5401); – a tale cornice biennale hanno fatto espresso riferimento, nel dettare il principio di diritto, le sezioni unite con la sentenza in precedenza richiamata, nella parte in cui hanno precisato, al punto 5.8., che essa identifica “il rilievo generale e interno” che governa l’esercizio del diritto di detrazione.

2.2. Pertanto, non essendo in contestazione l’esistenza del credito e non essendo necessari ulteriori accertamenti di fatto, la causa può essere decisa nel merito, ai sensi dell’art. 384 c.p.c., comma 2, con l’accoglimento della domanda introduttiva della contribuente.

3. Le spese dell’intero giudizio vanno compensate, tenuto conto delle oscillazioni giurisprudenziali sulla questione risolte sulla base di un orientamento definitosi successivamente all’instaurazione della controversia tributaria.

P.Q.M.

La Corte accoglie il secondo motivo di ricorso, rigettato il primo, cassa la sentenza impugnata, e, decidendo nel merito, accoglie il ricorso introduttivo; compensa fra le parti le spese dell’intero giudizio.

Così deciso in Roma, nell’udienza in camera di consiglio, il 2 luglio 2019.

Depositato in Cancelleria il 6 maggio 2020

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