Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 8477 del 13/04/2011

Cassazione civile sez. I, 13/04/2011, (ud. 26/01/2011, dep. 13/04/2011), n.8477

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SALME’ Giuseppe – Presidente –

Dott. DI PALMA Salvatore – Consigliere –

Dott. ZANICHELLI Vittorio – rel. Consigliere –

Dott. SCHIRO’ Stefano – Consigliere –

Dott. DIDONE Antonio – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ordinanza

sul ricorso proposto da:

T.L., fallito, in persona del curatore pro tempore,

con domicilio eletto in Roma, Via Oslavia n. 6, presso l’Avv.

Pierluigi Acquarelli, rappresentato e difeso dall’Avv. PLENTEDA

Fabrizio, come da procura a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

T.L., con domicilio eletto in Roma, Viale Mazzini n.

73, presso l’Avv. Giuseppina Ivone, rappresentato e difeso dagli

Avv.ti CASILLI Antonio e Marcello Marcuccio, come da procura in calce

al controricorso;

– controricorrente –

e contro

B.M., N.L., M.M., L.M.

L., P.L., P.M., R.R.;

– intimati –

per la cassazione della sentenza della Corte d’appello di Lecce n.

361/09 depositata il 26 giugno 2009.

Udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

giorno 26 gennaio 2011 dal Consigliere relatore Dott. Vittorio

Zanichelli.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

La curatela del fallimento di T.L. ricorre per cassazione avverso la sentenza in epigrafe con la quale la Corte d’appello, in riforma della sentenza resa dal Tribunale, ha revocato il fallimento avendo ritenuto che fosse decorso il termine annuale dalla cessazione dell’attività di impresa al momento della pronuncia della sentenza.

Resiste con controricorso il solo T.L..

La causa è stata assegnata alla Camera di consiglio in esito al deposito della relazione redatta dal Consigliere Dott. Vittorio Zanichelli con la quale sono stati ravvisati i presupposti di cui all’art. 375 c.p.c..

La ricorrente ha depositato memoria.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Con il primo e il secondo motivo di ricorso, che per la loro complementarietà possono essere trattati congiuntamente, il ricorrente censura l’impugnata decisione per aver affermato, pur dopo aver dato atto dell’intervenuta equiparazione tra la posizione degli imprenditori collettivi e quella degli imprenditori individuali quanto alla decorrenza del termine finale annuale di fallibilità dalla data di iscrizione della cessazione dell’esercizio dell’attività impresa nell’apposito registro, che in realtà l’imprenditore individuale potrebbe sempre dimostrare la conoscenza in capo ai creditori dell’anticipata cessazione con la conseguenza di far decorrere da tale conoscenza il termine annuale di cui alla L. Fall., art. 10.

I motivi sono manifestamente fondati.

Premesso che alla fattispecie si applica ratione temporis il testo dell’art. 10 anteriore alla riforma, è principio ormai acquisito alla giurisprudenza della Corte, e dal quale il Collegio non ravvisa ragioni per discostarsi essendo frutto di una ricostruzione costituzionalmente orientata implicitamente condivisa anche dalle Sezioni unite (Cassazione civile, sez. un., 22 febbraio 2010, n. 4062), quello secondo cui “il termine di un anno dalla cessazione dell’attività, prescritto dalla L. Fall., art. 10, ai fini della dichiarazione di fallimento, decorre, tanto per gli imprenditori individuali quanto per quelli collettivi, dalla cancellazione dal registro delle imprese, anzichè dalla definizione dei rapporti passivi” (Cassazione civile, sez. 1^, 13 marzo 2009, n. 6199;

conformi, tra le altre, Cassazione civile, sez. 1^, 21 febbraio 2007, n. 4105; Cassazione civile, sez. 1^, 28 agosto 2006, n. 18618), così contemperandosi in relazione a tutti gli imprenditori commerciali la tutela della necessaria certezza dei rapporti giuridici che non tollera che questi restino sine die soggetti al rischio del fallimento con quella dell’affidamento dei terzi che con essi vengono in contatto che potrebbero vedersi privare del rimedio della procedura concorsuale per il compimento di un termine di cui ignoravano il decorso.

Nè a giustificare l’impugnata decisione vale il richiamo operato dalla corte territoriale all’art. 2193 c.c., che sarebbe idoneo ad far anticipare il decorso del termine rispetto alla formale pubblicizzazione della cessazione dell’attività con conseguente decorrenza, nella fattispecie, dalla data in cui i dipendenti che hanno assunto l’iniziativa per la dichiarazione di fallimento sono venuti a conoscenza della cessazione dell’attività per l’intervenuto licenziamento di tutte le maestranze.

A parte la considerazione che il legislatore della riforma ha preso espressamente posizione sul punto escludendo implicitamente che l’imprenditore possa dare la prova della cessazione dell’attività prima della cancellazione dell’impresa dal registro e quindi a maggior ragione della sua conoscenza da parte dei terzi, avendo attribuito solo ai PM e ai creditori, che evidentemente hanno l’interesse, in tesi, semmai a dimostrare che la cessazione non c’è stata nonostante la cancellazione, la facoltà di dare la prova della non veridicità delle risultante del registro stesso, così inducendo ad accedere ad interpretazioni rigorose in ordine alla possibilità di dare rilievo ad eventi non iscritti, ciò che rileva è che la conoscenza dell’anticipata cessazione dovrebbe comunque riguardare la generalità degli interessati alle vicende dell’impresa e non soltanto, come nella fattispecie, una parte di essi, posto che il termine di cui all’art. 10 non attiene alla legittimazione del singolo ricorrente ma al maturare di un evento ostativo alla dichiarazione di fallimento che non può che essere oggettivo e uguale per tutti gli interessati.

In altri termini, la possibilità nel regime anteriore alla modifica dell’art. 10 intervenuta con D.Lgs. n. 5 del 2006, di fornire la prova della conoscenza da parte dei terzi della cessazione dell’attività in un momento anteriore alla cancellazione presuppone il verificarsi di eventi o l’adozione di forme di comunicazione che inducano a ritenere l’avvenuta cessazione dell’attività conosciuta dalla generalità dei terzi interessati alle vicende dell’impresa, mentre nella fattispecie, la corte territoriale sì è limitata a valorizzare la conoscenza dell’evento solo in capo ai ricorrenti.

Il ricorso deve dunque essere accolto e cassata la sentenza impugnata.

Non essendo necessari ulteriori accertamenti in fatto, la causa può essere decisa nel merito e pertanto rigettato l’appello avverso la sentenza n. 1566 del 7.8.2008 del Tribunale di Lecce con conseguente definitività della sentenza di fallimento rimasta nelle more esecutiva (L. Fall., art. 18, u.c., vigente ratione temporis).

Nulla per le spese essendo il controricorrente fallito in proprio.

P.Q.M.

la Corte accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e, decidendo nel merito, rigetta l’appello proposto avverso la sentenza del Tribunale di Lecce n. 1566 del 7.8.2008.

Così deciso in Roma, il 26 gennaio 2011.

Depositato in Cancelleria il 13 aprile 2011

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