Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 8476 del 05/05/2020

Cassazione civile sez. III, 05/05/2020, (ud. 16/01/2020, dep. 05/05/2020), n.8476

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. AMENDOLA Adelaide – Presidente –

Dott. DI FLORIO Antonella – Consigliere –

Dott. SCODITTI Enrico – rel. Consigliere –

Dott. ROSSETTI Marco – Consigliere –

Dott. PORRECA Paolo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 11366/2018 proposto da:

R.F., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA COLA DI

RIENZO 297, presso lo studio dell’avvocato BRUNO TASSONE, che la

rappresenta e difende unitamente all’avvocato PAOLA ANGOTTI;

– ricorrente –

contro

RAI SPA, in persona del Responsabile del Contenzioso Civile,

elettivamente domiciliata amministrativo del lavoro in ROMA, VIA IN

ARCIONE 71, presso lo studio dell’avvocato STEFANO D’ERCOLE, che la

rappresenta e difende;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 6172/2017 della CORTE D’APPELLO di ROMA,

depositata il 03/10/2017;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

16/01/2020 dal Consigliere Dott. ENRICO SCODITTI;

lette le conclusioni scritte del Pubblico Ministero, in persona del

Sostituto Procuratore Generale Dott. PEPE Alessandro, che ha chiesto

il rigetto del ricorso.

Fatto

RILEVATO

che:

R.F. convenne in giudizio innanzi al Tribunale di Roma RAI Radiotelevisione Italiana s.p.a. chiedendo il risarcimento del danno. Espose l’attrice, magistrato all’epoca dei fatti in servizio presso il Tribunale di Vibo Valentia, che nel corso dei telegiornali e radiogiornali fra il (OMISSIS), nel dare notizia di un’indagine svolta dalla Direzione Distrettuale Antimafia di (OMISSIS) la R. era stata indicata come persona coinvolta in gravissime fattispecie di corruzione, falso e truffa in quanto legata a noti esponenti della “Ndrangheta” calabrese, laddove invece la stessa era stata oggetto di indagine per una marginale ipotesi di abuso di ufficio, in particolare per avere partecipato ad un collegio in violazione delle tabelle feriali. Il Tribunale adito accolse la domanda, condannando la convenuta al pagamento della somma di Euro 50.000,00. Avverso detta sentenza propose appello la RAI. Con sentenza di data 3 ottobre 2017 la Corte d’appello di Roma accolse l’appello, rigettando la domanda, con assorbimento dell’appello incidentale.

Osservò la corte territoriale, premessa l’ammissibilità dell’appello in quanto contenente una critica adeguata e specifica della decisione impugnata, che le notizie diffuse il giorno (OMISSIS) avevano riferito dell’indagine svolta nei confronti di P.P., Presidente della sezione civile del Tribunale di Vibo Valentia, per avere quest’ultima favorito i soggetti di una cosca mafiosa, in particolare riferendo che alla P. erano stati contestati i reati di corruzione, falso e truffa e che, unitamente a tale magistrato, altri suoi colleghi risultavano sottoposti alla medesima indagine. Aggiunge che l’appellata non era stata in alcun modo nominata, essendosi i notiziari limitati a riferire che, oltre alla P., risultavano indagati “altri magistrati” o “due magistrati”, senza menzione alcuna del nome dell’appellata e senza riportare ulteriori apprezzabili elementi circostanziali. Osservò ancora che nei giorni (OMISSIS) erano state diffuse notizie sempre più complete sull’evoluzione delle indagini, indicando espressamente l’appellata come soggetto coinvolto nelle stesse ma con la specificazione che su di essa risultava il solo capo di imputazione per abuso d’ufficio, circostanza quest’ultima pacifica e non contestata. Concluse nel senso dell’interesse pubblico alla conoscenza dei fatti e del rispetto del requisito della verità della notizia, essendo stati trasmessi fatti corrispondenti agli sviluppi dell’indagine in corso.

Ha proposto ricorso per cassazione R.F. sulla base di cinque motivi e resiste con controricorso RAI Radiotelevisione Italiana s.p.a.. E’ stato fissato il ricorso in Camera di consiglio ai sensi dell’art. 380 bis.1 c.p.c.. Il pubblico ministero ha depositato le conclusioni scritte. E’ stata presentata memoria.

Diritto

CONSIDERATO

che:

con il primo motivo si denuncia violazione e falsa applicazione dell’art. 342 c.p.c., ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4. Osserva la ricorrente che nell’atto di appello manca una sezione dell’atto specificatamente dedicata all’individuazione delle parti della sentenza appellata, nonchè la precisa indicazione della ricostruzione in fatto operata dal primo giudice e delle modifiche ad essa richiesta, oltre che delle circostanze da cui deriverebbero le denunciate violazioni di legge.

Il motivo è inammissibile. Va rammentato che gli artt. 342 e 434 c.p.c., nel testo formulato dal D.L. n. 83 del 2012, conv. con modif. dalla L. n. 134 del 2012, vanno interpretati nel senso che l’impugnazione deve contenere, a pena di inammissibilità, una chiara individuazione delle questioni e dei punti contestati della sentenza impugnata e, con essi, delle relative doglianze, affiancando alla parte volitiva una parte argomentativa che confuti e contrasti le ragioni addotte dal primo giudice, senza che occorra l’utilizzo di particolari forme sacramentali o la redazione di un progetto alternativo di decisione da contrapporre a quella di primo grado, tenuto conto della permanente natura di “revisio prioris instantiae” del giudizio di appello, il quale mantiene la sua diversità rispetto alle impugnazioni a critica vincolata (Cass. Sez. U. 16 novembre 2017, n. 27199).

Ciò premesso, va evidenziato che in violazione dell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6, la ricorrente non ha indicato lo specifico contenuto dell’atto di appello al fine di apprezzare la violazione processuale denunciata. L’esercizio del potere di diretto esame degli atti del giudizio di merito, riconosciuto al giudice di legittimità ove sia denunciato un “error in procedendo”, presuppone comunque l’ammissibilità del motivo di censura, onde il ricorrente non è dispensato dall’onere di specificare (a pena, appunto, di inammissibilità) il contenuto della critica mossa alla sentenza impugnata, indicando anche specificamente i fatti processuali alla base dell’errore denunciato. Così come si afferma che ove il ricorrente censuri la statuizione di inammissibilità, per difetto di specificità, di un motivo di appello, non può limitarsi a rinviare all’atto di appello, ma deve riportarne il contenuto nella misura necessaria ad evidenziarne la pretesa specificità (Cass. 20 settembre 2006, n. 20405; 29 settembre 2017, n. 22880), allo stesso modo, ove si denunci specularmente l’inammissibilità del motivo di appello, deve essere riportato il contenuto dell’atto nella misura necessaria ad evidenziarne il difetto di ritualità. Tale onere processuale non risulta assolto dalla ricorrente, essendosi questa limitata alla generica denuncia di mancanza di specificità.

Con il secondo motivo si denuncia violazione e falsa applicazione dell’art. 2043 c.c., ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3. Osserva la ricorrente che contraria a diritto è la regola, assunta dalla sentenza impugnata, secondo cui la trasmissione di servizi che non contengano il nome del soggetto cui le notizie si riferiscono sia di per sè lecita, potendo lo stesso essere identificato, almeno per un numero limitato di persone, ed essere leso dalla condotta (cfr. Cass. n. 7410 del 2010 in relazione al reato di diffamazione) e che quanto alla identificazione della ricorrente ricorrevano le seguenti circostanze: il Garante per la Protezione dei Dati Personali, con riferimento alla richiesta della ricorrente di ottenere la consegna dei supporti contenenti i servizi che la riguardavano, aveva affermato che i due magistrati, cui si era fatto genericamente riferimento nei servizi trasmessi, erano identificabili stante il numero limitato di magistrati che operavano presso il Tribunale in questione ed il fatto che altre testate giornalistiche nel medesimo contesto temporale avevano indicato la ricorrente come uno dei due magistrati implicati nella vicenda; come riconosciuto dalla stessa RAI in primo grado, altre testate e l’ANSA avevano fatto lo stesso giorno il nome della R.; sulla base di certificazione emessa dal Tribunale di Vibo Valentia, alla data del (OMISSIS) i magistrati addetti al contenzioso civile erano solo la Dott.ssa P.P., il Dott. S.M. e la Dott.ssa R.F. (e la notizia RAI era stata nel senso che risultavano indagati altri due magistrati stretti collaboratori della P.); la circostanza che la R. fosse stata menzionata dalla RAI l'(OMISSIS) la rendeva riconoscibile ex post. Aggiunge la ricorrente che vi era stato il mancato rispetto del canone della verità della notizia perchè era falso che la Dott. R. fosse stata indagata per corruzione, falso e truffa e per presunti legami alla “Ndrangheta” calabrese, e che fosse stata arrestata, come affermato nel servizio delle ore 12:00 del (OMISSIS), posto che il capo di imputazione per abuso d’ufficio a suo carico, in concorso con il solo Dott. S., era relativo alla partecipazione ad un collegio chiamato a provvedere su un’istanza di correzione di errore materiale, della quale la Dott.ssa P. era presidente e relatore e per la quale era solo quest’ultima imputata per corruzione a causa dei rapporti con il soggetto destinato a beneficiare del provvedimento. Osserva ancora che la RAI non aveva fatto nulla per differenziare la posizione processuale della ricorrente da quella degli altri indagati e soprattutto della P..

Con il terzo motivo si denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 115 e 116 c.p.c., ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4. Osserva la ricorrente che il giudice di appello non ha considerato una serie di prove documentali: i provvedimenti resi nei confronti di (OMISSIS) e altri soggetti per servizi in cui, pur parlandosi di “due magistrati”, questi erano stati ritenuti identificabili; alcune testate giornalistiche e l’ANSA avevano fatto il nome della Dott.ssa R., come riconosciuto in primo grado dalla RAI; la certificazione emessa dal Tribunale di Vibo Valentia; le sentenze emesse nei confronti dell’ANSA e de (OMISSIS). Aggiunge che il giudice di appello non ha considerato lo scarto fra la menzione nell’ordinanza cautelare dei due magistrati solo per l’abuso d’ufficio in relazione alla partecipazione al collegio in violazione delle tabelle feriali ed il dare quei due magistrati come inclusi fra i coinvolti nelle indagini per corruzione, falso e truffa e per legami alla “Ndrangheta”, oltre che per darli in arresto con la P. quali suoi collaboratori, senza considerare che le misura cautelare aveva attinto la P. e nessun altro magistrato.

Con il quarto motivo si denuncia omesso esame del fatto decisivo e controverso ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5. Osserva la ricorrente che il giudice di appello aveva omesso l’esame delle seguenti circostanze: i provvedimenti resi nei confronti di (OMISSIS) e altri; la complessiva campagna mediatica avviata in quei giorni sulla vicenda; la certificazione emessa dal Tribunale di Vibo Valentia; l’esecuzione della misura cautelare solo nei confronti della P. e non nei confronti di altri magistrati.

Il secondo ed il quarto motivo, da valutarsi congiuntamente in quanto connessi, sono fondati per quanto di ragione. Il giudice di appello ha affermato che, con riferimento alle notizie di cui ai servizi trasmessi il giorno (OMISSIS), doveva escludersi il fatto illecito perchè la R. non era stata in alcun modo nominata, essendosi i notiziari limitati a riferire che, oltre alla P., risultavano indagati “altri magistrati” o “due magistrati”, senza menzione alcuna del nome dell’appellata e senza riportare ulteriori apprezzabili elementi circostanziali. Tale statuizione è stata impugnata sia sotto il profilo del giudizio di diritto che sotto quello del giudizio di fatto in relazione al vizio motivazionale.

Quanto alla regola di diritto deve rammentarsi che, secondo la giurisprudenza di questa Corte, in tema di risarcimento del danno da diffamazione a mezzo stampa, non è necessario che il soggetto passivo sia precisamente e specificamente nominato, purchè la sua individuazione avvenga, in assenza di un’esplicita indicazione nominativa, attraverso tutti gli elementi della fattispecie concreta (quali le circostanze narrate, oggettive e soggettive, i riferimenti personali e temporali e simili), desumibili anche da fonti informative di pubblico dominio al momento della diffusione della notizia offensiva diverse da quella della cui illiceità si tratta, se la situazione di fatto sia tale da consentire al pubblico di riconoscere con ragionevole certezza la persona cui la notizia è riferita (Cass. 26 ottobre 2017, n. 25420; 27 agosto 2015, n. 17207; 28 settembre 2012, n. 16543; 6 agosto 2007, n. 17180).

Il giudice di merito ha escluso l’illiceità della condotta non solo sulla base della circostanza che la R. non fosse stata nominata, affermazione in sè in contrasto con la regola di diritto appena rammentata, ma anche per l’assenza di ulteriori elementi circostanziali che potessero consentire di ricondurre uno dei due magistrati menzionati a R.F.. Tale giudizio di fatto risulta impugnato con il quarto motivo ed anche con le circostanze di fatto richiamate nel secondo motivo. Quest’ultimo motivo è da qualificare come denuncia di vizio motivazionale nei limiti delle circostanze di fatto richiamate, mentre non è suscettibile di tale qualificazione, ed è inammissibile in parte qua, circa la questione della verità delle informazioni rese in quanto relativo al giudizio di fatto, che è profilo in quanto tale insindacabile nella presente sede di legittimità.

Risulta assolto con riferimento al vizio motivazionale l’onere processuale di cui all’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6. Le circostanze di fatto di cui viene denunciato l’omesso esame sono le seguenti: a) il Garante per la Protezione dei Dati Personali, con riferimento alla richiesta della ricorrente di ottenere la consegna dei supporti contenenti i servizi che la riguardavano, aveva affermato che i due magistrati, cui si era fatto genericamente riferimento nei servizi trasmessi, erano identificabili stante il numero limitato di magistrati che operavano presso il Tribunale in questione ed il fatto che altre testate giornalistiche nel medesimo contesto temporale avevano indicato la ricorrente come uno dei due magistrati implicati nella vicenda; b) altre testate e l’ANSA avevano fatto lo stesso giorno il nome della R.; c) sulla base di certificazione emessa dal Tribunale di Vibo Valentia, alla data del (OMISSIS) i magistrati addetti al contenzioso civile erano solo la Dott.ssa P.P., il Dott. S.M. e la Dott.ssa R.F. (e la notizia RAI era stata nel senso che risultavano indagati altri due magistrati stretti collaboratori della P.); d) la circostanza che la R. fosse stata menzionata dalla RAI l'(OMISSIS) la rendeva riconoscibile ex post.

La circostanza sub a) non riveste la natura di fatto, ma di atto integrante una valutazione dell’autorità in questione, sulla base peraltro delle stesse circostanze sottoposte all’esame del Collegio con l’odierno ricorso (secondo quanto risulta dal contenuto del motivo di censura), e pertanto non può rilevare come fatto omesso ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5.

Le circostanze sub b) e sub c) integrano invece dei fatti e sono assistite dal requisito della decisività in relazione al denunciato vizio motivazionale. Esse rilevano, e devono essere valutate dal giudice di merito, ai fini del riconoscimento con ragionevole certezza della persona cui la notizia è riferita, sia sotto l’obiettiva idoneità dei detti fatti a fondare il riconoscimento in discorso, sia sotto il profilo della natura non solo dolosa, ma anche colposa dell’illecito civile ai sensi dell’art. 2043 c.c., tale da involgere nel suo fuoco contegni caratterizzati da imprudenza e/o negligenza, oltre imperizia.

Non è infine decisiva la circostanza sub d) perchè la circostanza che la R. fosse stata menzionata dalla RAI l'(OMISSIS), lungi dal renderla riconoscibile ex post in quanto persona sottoposta a misura restrittiva secondo le notizie fornite il (OMISSIS), potrebbe assolvere una funzione di chiarificazione informativa, dando atto che la stessa era semplicemente indagata per abuso di ufficio.

Il giudice di merito ha in conclusione omesso di esaminare le circostanze di fatto sub b) e sub c), le quali risultano decisive dal punto di vista della regola di diritto sopra richiamata ed alla quale il giudice di rinvio, nell’esaminare le circostanze in questione, deve attenersi. Dovrà in particolare il giudice di merito valutare se alla luce delle circostanze di fatto indicate nella denuncia di vizio motivazionale, e qui reputate decisive, fosse consentito al pubblico di riconoscere con ragionevole certezza la persona cui la notizia era riferita, valutando la condotta di RAI Radiotelevisione Italiana s.p.a. alla stregua del requisito psicologico dell’illecito civile.

L’accoglimento di secondo e quarto motivo determina l’assorbimento del terzo motivo.

Con il quinto motivo si denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 99 e 112 c.p.c., ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4. Osserva la ricorrente che nell’atto di citazione era stato anche chiesto l’accertamento della illegittima lesione della privacy e che sia il Tribunale che la Corte d’appello hanno omesso di pronunciare in ordine alla domanda avente ad oggetto la lesione della riservatezza e la violazione delle norme concernenti il trattamento dei dati personali (anche sotto il profilo del reato di pubblicazione arbitraria di atti di un procedimento penale ai sensi dell’art. 684 c.p., ovvero della violazione del D.Lgs. n. 196 del 2003), a prescindere dal carattere diffamatorio o meno dei servizi trasmessi.

Il motivo è fondato. La ricorrente ha specificatamente indicato (pag. 40 del ricorso) di avere proposto appello incidentale per avere il Tribunale considerato fra i beni giuridici lesi solo la reputazione e l’identità personale, e non anche la lesione della riservatezza. Risulta effettivamente che in ordine a tale motivo di gravame vi sia stata omessa pronuncia da parte del giudice di appello. Non osta all’accoglimento del motivo la pronuncia di assorbimento dell’appello incidentale, in quanto la stessa ha ad oggetto l’appello incidentale nei limiti della quantificazione del danno e delle istanze istruttorie, ma non la domanda avente ad oggetto la tutela risarcitoria della riservatezza.

P.Q.M.

accoglie per quanto di ragione il secondo, il quarto ed il quinto motivo, dichiara inammissibile il primo motivo ed assorbito il terzo motivo di ricorso; cassa la sentenza in relazione ai motivi accolti; rinvia alla Corte di appello di Roma in diversa composizione, cui demanda di provvedere anche sulle spese del giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, il 16 gennaio 2020.

Depositato in Cancelleria il 5 maggio 2020

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