Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 8475 del 25/03/2021

Cassazione civile sez. II, 25/03/2021, (ud. 03/11/2020, dep. 25/03/2021), n.8475

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MANNA Felice – Presidente –

Dott. ABETE Luigi – Consigliere –

Dott. CASADONTE Annamaria – Consigliere –

Dott. DONGIACOMO Giuseppe – rel. Consigliere –

Dott. BESSO MARCHEIS Chiara – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 27201/2019 proposto da:

S.O., rappresentato e difeso dall’Avvocato MARIA CRISTINA

TARCHINI, ed elettivamente domiciliato a Roma, largo Somalia 53,

presso lo studio dell’Avvocato GUGLIELMO PINTO, per procura speciale

in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’INTERNO;

– resistente –

avverso la SENTENZA n. 529/2019 della CORTE D’APPELLO DI BRESCIA,

depositata il 25/3/2019;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio non

partecipata del 3/11/2020 dal Consigliere Dott. GIUSEPPE DONGIACOMO.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

La corte d’appello, con la sentenza in epigrafe, ha respinto l’appello che S.O., nato in (OMISSIS), aveva proposto avverso l’ordinanza con la quale il tribunale aveva, a sua volta, rigettato la domanda di protezione internazionale da lui presentata.

S.O., con ricorso notificato il 3/9/2019, ha chiesto, per tre motivi, la cassazione della sentenza.

Il Ministero dell’interno rimasto ha depositato atto di costituzione.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1.1. Con il primo motivo, il ricorrente, lamentando la violazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, ha censurato la sentenza impugnata nella parte in cui la corte d’appello, ritenendo che la narrazione del richiedente fosse contraddittoria e la vicenda risalente, non ha adempiuto al dovere di compiere, d’ufficio, le attività istruttorie necessarie, assumendo tutte le informazioni ed acquisendo la documentazione reperibile, per verificare la sussistenza delle condizioni della protezione internazionale richiesta.

1.2. Con il secondo motivo, il ricorrente, lamentando la violazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, ha censurato la sentenza impugnata nella parte in cui la corte d’appello, ritenendo che nel caso di specie non fosse applicabile la norma dell’art. 14 cit., non ha considerato che, al contrario, la vicenda del richiedente è riconducibile tanto all’ipotesi prevista dalla lett. b) della predetta disposizione, a fronte della situazione giudiziaria e carceraria del Gambia, che è ed era molto grave per i numerosissimi casi di gravi maltrattamenti e di vere e proprie torture subite dai detenuti, quanto all’ipotesi prevista dell’art. 14 cit., lett. c), posto che tutti i rapporti internazionali riferiscono che in Gambia, dopo i violenti disordini che si sono verificati anche recentemente, la situazione è tutt’altro che pacificata e tranquilla.

1.3. Con il terzo motivo, il ricorrente, lamentando la violazione del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, ha censurato la sentenza impugnata nella parte in cui la corte d’appello, escludendo la ricorrenza dei requisiti per la protezione umanitaria, non ha considerato che, per l’attuale situazione esistente in Gambia e per le vicende che hanno interessato il richiedente, quest’ultimo, ove facesse ritorno nel suo Paese d’origine, correrebbe il serio e fondato rischio di non poter realizzare i suoi fondamentali diritti alla casa, al lavoro e alla salute, con la conseguente situazione di vulnerabilità e di fragilità.

2.1. Il primo ed il secondo motivo, da trattare congiuntamente, sono infondati.

2.2. In effetti, in tema di protezione internazionale, l’accertamento del giudice del merito deve avere, anzitutto, ad oggetto la credibilità soggettiva del richiedente il quale, infatti, ha l’onere di compiere ogni ragionevole sforzo per circostanziare la domanda del D.Lgs. n. 251 del 2007, ex art. 3, comma 5, lett. a), essendo possibile solo in tal caso considerare “veritieri” i fatti narrati (cfr. Cass. n. 27503 del 2018).

Il richiedente, invero, è tenuto ad allegare i fatti costitutivi del diritto alla protezione richiesta, ed, ove non impossibilitato, a fornirne la prova, trovando deroga il principio dispositivo, a fronte di un’esaustiva allegazione, attraverso l’esercizio del dovere di cooperazione istruttoria e di quello di tenere per veri i fatti che lo stesso richiedente non è in grado di provare, soltanto qualora lo stesso, oltre ad essersi attivato tempestivamente alla proposizione della domanda e ad aver compiuto ogni ragionevole sforzo per circostanziarla, superi positivamente il vaglio di credibilità soggettiva condotto alla stregua dei criteri indicati nel D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 5 (Cass. n. 8367 del 2020, in motiv.; Cass. n. 15794 del 2019; conf., Cass. n. 19197 del 2015).

La valutazione d’inattendibilità delle dichiarazioni rese dal richiedente – che deve, però, avere riguardo non già ad elementi isolati e secondari o addirittura insussistenti ma piuttosto al profilo decisivo e centrale del racconto (cfr. Cass. n. 10908 del 2020) – costituisce, peraltro, un apprezzamento di fatto rimesso al giudice del merito (Cass. n. 27503 del 2018) che, in quanto tale, può essere denunciato, in sede di legittimità, solo ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5 e cioè per omesso esame di una o più di circostanze, dedotte in giudizio, la cui considerazione avrebbe consentito, secondo parametri di elevata probabilità logica, una differente ricostruzione dei fatti idonea ad integrare gli estremi della fattispecie rivendicata.

2.3. Nel caso di specie, la corte d’appello ha ritenuto che le dichiarazioni rese dal richiedente contenevano numerose contraddizioni e che la narrazione fornita dallo stesse non era attendibile. Ora, a fronte di tale apprezzamento, del quale la corte ha esposto le ragioni in modo nient’affatto apparente o contraddittorio, il ricorrente non ha specificamente indicato i fatti, principali ovvero secondari, il cui esame, pur se dedotti in giudizio, sia stato del tutto omesso dal giudice di merito, nè, infine, la loro decisività ai fini di una diversa pronuncia a lui favorevole.

Ed è, peraltro, noto che l’inattendibilità del racconto del richiedente, così come (oramai incontestabilmente) accertata dai giudici di merito, costituisce motivo sufficiente per negare tanto il riconoscimento dello status di rifugiato, quanto la concessione della protezione sussidiaria dallo stesso invocata ai sensi del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. b): senza che sia a tal fine necessario procedere ad un approfondimento istruttorio officioso circa la prospettata situazione persecutoria nel Paese di origine, salvo che la mancanza di veridicità derivi esclusivamente dall’impossibilità (che, nella specie, non risulta essere stata specificamente dedotta innanzi al giudice di merito) di fornire riscontri probatori (Cass. n. 16925 del 2018; Cass. n. 33858 del 2019; Cass. n. 8367 del 2020; Cass. n. 11924 del 2020).

2.4. Il riconoscimento della protezione internazionale prevista dal D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c), infine, presuppone una situazione di violenza indiscriminata in situazioni di conflitto armato, interno o internazionale, la quale dev’essere accertata in conformità della giurisprudenza della Corte di Giustizia UE (sentenza 30 gennaio 2014, in causa C285/12), secondo cui il conflitto armato interno rileva solo se, eccezionalmente, possa ritenersi che gli scontri tra le forze governative di uno Stato e uno o più gruppi armati, o tra due o più gruppi armati, siano all’origine di una minaccia grave e individuale alla vita o alla persona del richiedente la protezione sussidiaria: il grado di violenza indiscriminata deve aver, pertanto, raggiunto un livello talmente elevato da far ritenere che un civile, se rinviato nel Paese o nella regione in questione, correrebbe, per la sua sola presenza sul territorio, un rischio effettivo di subire detta minaccia (Cass. n. 18306 del 2019).

La sussistenza di tale presupposto, peraltro, dev’essere accertata dal giudice di merito mediante integrazione istruttoria officiosa, tramite l’apprezzamento di tutte le informazioni, generali e specifiche, di cui si dispone pertinenti al caso, aggiornate al momento dell’adozione della decisione (cfr. Cass. 9230 del 2020).

Il giudice, però, a norma del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, comma 3, ha il dovere di indicare la fonte a tal fine utilizzata nonchè il contenuto dell’informazione da essa tratta e ritenuta rilevante ai fini della decisione, così da consentire alle parti la verifica della pertinenza e della specificità dell’informazione predetta rispetto alla situazione concreta del Paese di provenienza del richiedente la protezione (Cass. n. 13449 del 2019, Cass. n. 13450 del 2019, Cass. n. 13451 del 2019, Cass. n. 13452 del 2019).

2.5. La decisione impugnata, indicando le fonti in concreto utilizzata ed il contenuto delle notizie sulla condizione del Paese tratte da dette fonti, ha ritenuto, con apprezzamento non censurato per il mancato esame di uno o più fatti decisivi specificamente dedotti in giudizio, che la situazione esistente in Gambia non è caratterizzata da un conflitto armato interno che abbia determinato una situazione di violenza indiscriminata.

Ed è noto che, in tema di protezione internazionale, ai fini della dimostrazione della violazione del dovere di collaborazione istruttoria gravante sul giudice di merito, il ricorrente ha il dovere – che, però, nel caso di specie è rimasto inadempiuto di indicare in modo specifico gli elementi di fatto idonei a dimostrare che il giudice di merito abbia deciso sulla base di informazioni non più attuali, con il preciso richiamo, anche testuale, alle fonti di prova proposte, alternative o successive rispetto a quelle utilizzate dal giudice di merito, in modo da consentire alla Suprema Corte l’effettiva verifica circa la violazione del dovere di collaborazione istruttoria (cfr. Cass. n. 26728 del 2019).

2.6. Il terzo motivo è parimenti infondato.

La protezione umanitaria è, in effetti, una misura atipica e residuale nel senso che essa copre situazioni, da individuare caso per caso, in cui, pur non sussistendo i presupposti per il riconoscimento della tutela tipica (status di rifugiato o protezione sussidiaria), tuttavia non possa disporsi l’espulsione e debba provvedersi all’accoglienza del richiedente che si trovi in situazione di vulnerabilità (Cass. 5358 del 2019; Cass. n. 23604 del 2017). I seri motivi di carattere umanitario o risultanti da obblighi internazionali o costituzionali, cui il D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6, subordina il riconoscimento allo straniero del diritto al rilascio del permesso di soggiorno per motivi umanitari, pur non essendo definiti dal legislatore, prima dell’intervento attuato con il D.L. 113 del 2018, erano accumunati dal fine di tutelare situazioni di vulnerabilità personale dello straniero derivanti dal rischio di essere immesso nuovamente, in conseguenza del rimpatrio, in un contesto sociale, politico o ambientale idoneo a costituire una significativa ed effettiva compromissione dei suoi diritti fondamentali inviolabili (Cass. n. 4455 del 2018).

Nel caso in esame, il tribunale ha escluso la sussistenza di una situazione di personale vulnerabilità del richiedente, sia sotto il profilo soggettivo, posto che gli elementi emersi nel corso del giudizio non hanno offerto alcuna evidenza in ordine alla sua sussistenza, sia sotto il profilo oggettivo, posto che “le criticità presenti in Gambia, con riferimento al rispetto dei diritti fondamentali della persona, non sembrano tali da dar luogo ad una vera e propria emergenza umanitaria generalizzata”.

Si tratta di un apprezzamento in fatto che può essere denunciato, in sede di legittimità, solo ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5 e cioè per omesso esame di una o più di circostanze decisive a suo tempo dedotte innanzi al giudice di merito: che, però, il ricorrente, nel rispetto delle previsioni dell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6 e art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4, non ha specificamente indicato.

3. I motivi articolati in ricorso si rivelano, quindi, del tutto infondati. Peraltro, poichè il giudice di merito ha deciso le questioni di diritto in modo conforme alla giurisprudenza di legittimità, senza che il ricorrente abbia offerto ragioni sufficienti per mutare tali orientamenti, il ricorso, a norma dell’art. 360 bis n. 1 c.p.c., è manifestamente inammissibile.

4. Nulla per le spese di lite, in mancanza di controricorso del ministero.

5. La Corte dà atto, ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, nel testo introdotto dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

PQM

La Corte così provvede: dichiara l’inammissibilità del ricorso; dà atto, ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, nel testo introdotto dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Seconda Civile, il 3 novembre 2020.

Depositato in Cancelleria il 25 marzo 2021

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