Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 8473 del 05/05/2020

Cassazione civile sez. III, 05/05/2020, (ud. 20/12/2019, dep. 05/05/2020), n.8473

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. AMENDOLA Adelaide – Presidente –

Dott. DI FLORIO Antonella – Consigliere –

Dott. POSITANO Gabriele – Consigliere –

Dott. DELL’UTRI Marco – rel. Consigliere –

Dott. PORRECA Paolo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 20407/2018 proposto da:

FONTE SANTAFIORA SPA, in persona dell’Amministratore Unico

C.M., elettivamente domiciliata in ROMA, LUNG.RE DEI MELLINI 24,

presso lo studio dell’avvocato ALESSANDRO NICOLETTI, che la

rappresenta e difende;

– ricorrente –

contro

C.L., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA TANGORRA 12,

presso lo studio dell’avvocato FRANCESCO CATRICALA’, rappresentato e

difeso dagli avvocati PAOLO FREDIANI, GIANNI DIONIGI;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 3752/2017 della CORTE D’APPELLO di ROMA,

depositata il 06/06/2017;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

20/12/2019 dal Consigliere Dott. MARCO DELL’UTRI.

Fatto

RILEVATO

che, con sentenza resa in data 6/6/2017, la Corte d’appello di Roma ha confermato la decisione con la quale il giudice di primo grado, in accoglimento della domanda proposta dalla C.A. & C. s.n.c., ha condannato la Santaflora s.r.l. al pagamento, in favore della società attrice, di somme a titolo di integrazione del corrispettivo dovuto per trasporti eseguiti nell’interesse della convenuta, in base alle tariffe obbligatorie c.d. “a forcella”;

che, a fondamento della decisione assunta, la corte territoriale ha evidenziato la correttezza della decisione del primo giudice nella parte in cui aveva riconosciuto: 1) la legittimazione passiva della società convenuta; 2) la legittimità del richiamo, operato dall’attrice, al regime delle tariffe a forcella, applicabile ratione temporis; 3) la sussistenza di tutti i presupposti soggettivi della C.A. & C. s.n.c. (e dei subvettori da quest’ultima utilizzati per l’adempimento delle obbligazioni assunte) e, infine, 4) la mancata fondatezza delle censure formulate in rito dalla società appellante avverso la decisione di primo grado;

che, avverso la sentenza d’appello, la Fonte Santaflora s.p.a. (già Santaflora s.r.l.) propone ricorso per cassazione sulla base di nove motivi d’impugnazione, illustrati da successiva memoria;

che C.L., in qualità di successore della C.A. & C. s.n.c., resiste con controricorso.

Diritto

CONSIDERATO

che, con il primo motivo, la società ricorrente censura la sentenza impugnata per violazione dell’art. 1510 c.c., comma 2, art. 1689 c.c., comma 2 e art. 1692 c.c. (in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3), per avere la corte territoriale erroneamente affermato la legittimazione passiva di essa ricorrente, rispetto alla pretesa creditoria di controparte, atteso che, sulla base delle norme richiamate, la responsabilità per il pagamento dei diritti del vettore incombe in capo al destinatario del trasporto (e non già al mittente);

che il motivo è infondato;

che, al riguardo, osserva il Collegio come la corte territoriale abbia riconosciuto l’avvenuta deroga convenzionale al regime normativo richiamato dall’odierna ricorrente (e dunque dichiarato, nella specie, la legittimazione passiva della Santaflora s.r.l.) sulla base della decisiva (e pacifica) circostanza costituita dall’avere quest’ultima provveduto in proprio al pagamento di tutti i trasporti eseguiti dalla C.A. & C. s.n.c. (e qui dedotti), non potendo evidentemente assumere il proprio difetto di legittimazione passiva per le sole differenze rivendicate in questa sede (cfr., in termini, Sez. 3, Sentenza del 11 febbraio 2014, n. 3015, in motivazione);

che, con il secondo motivo, la ricorrente censura la sentenza impugnata per violazione dell’art. 11 preleggi, artt. 3-f, 3-g, 4 e 10 Trattato CE (e, all’occorrenza, art. 4, par. 3 TUE, nonchè degli artt. 3, 4, 5 e 119 TFUE), art. 11 Cost. e art. 117 Cost., comma 1 (in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3), per avere la corte territoriale erroneamente omesso di disapplicare la normativa concernente le tariffe a forcella, per contrasto con i principi stabiliti dalle norme primarie dell’Unione Europea;

che il motivo è infondato;

che, sul punto, è appena il caso di rilevare come, secondo il consolidato insegnamento della giurisprudenza di legittimità (v., ex plurimis, Sez. L, Sentenza n. 8834 del 01/06/2012, Rv. 623142 – 01), il sistema di tabelle tariffarie (c.d. “a forcella”) dettato dalla L. n. 298 del 1974, con il correlato divieto di stipulazione di contratti che comportino prezzi di trasporto determinati fuori dei limiti massimi e minimi previsti dalle tabelle, non è in contrasto con la libertà di iniziativa economica, nè confligge con i principi dell’ordinamento comunitario (essendo stata riconosciuta dalla stessa giurisprudenza della Corte di giustizia la compatibilità con detto ordinamento del sistema tariffario dell’autotrasporto di merci: v. in tal senso, la sentenza n. 386 del 1996 della Corte costituzionale), in quanto, garantendo alle imprese un certo margine di utile e la facoltà di muoversi liberamente tra i minimi e massimi tariffari, assicura il bilanciamento della libertà di impresa con l’utilità sociale, evitando situazioni di concorrenza sleale, che, deprimendo i noli, costringano le imprese stesse ad operare in condizioni di difficoltà, sì da non procedere ad ammortamenti e da non garantire ai lavoratori il dovuto trattamento economico e normativo, a tali finalità aggiungendosi quella di realizzare la trasparenza del mercato, e cioè la conoscenza dei prezzi sia da parte delle imprese di autotrasporto che dell’utenza (così Corte Cost., sentenza n. 386 del 1996 cit.);

che, conseguentemente, essendosi la corte territoriale correttamente allineata al richiamato indirizzo della corte di legittimità, deve escludersi il ricorso della violazione di legge denunciata con la censura in esame;

che, con il terzo motivo, la ricorrente censura la sentenza impugnata per violazione degli artt. 2697 c.c. e dell’art. 113 c.p.c. (in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3), per avere la corte territoriale erroneamente omesso di disapplicare la normativa regolamentare relativa alle tariffe c.d. a forcella, attesa la non corrispondenza del D.M. 18 novembre 1982, alle disposizioni di cui alla L. n. 298 del 1974, art. 52, con particolare riferimento alla mancata considerazione della c.d. “situazione di mercato” prevista da detta norma;

che il motivo è infondato;

che, sul punto, osserva il Collegio come il giudice a quo abbia correttamente evidenziato la circostanza secondo cui, l’eventuale mancata considerazione della c.d. “situazione di mercato” da parte del decreto ministeriale contestato, riferendosi all’accertamento del ricorso di specifiche circostanze di fatto condizionanti la validità dell’atto, avrebbe richiesto la dimostrazione, ad opera della parte che detta invalidità ha allegato, dell’effettivo mancato ricorso di dette circostanze di fatto, trattandosi della necessità di superare il principio della presunzione di legittimità (peraltro, nel caso di specie, mai precedentemente negata) degli atti amministrativi, pur quando dotati di efficacia normativa, come nel caso in esame;

che, pertanto, l’omessa dimostrazione, da parte della società odierna ricorrente, della mancata considerazione, da parte del D.M. 18 novembre 1982, dell’estremo di fatto costituito dall’effettiva situazione di mercato ai fini dell’individuazione delle tariffe applicabili, esclude la riconoscibilità di alcuna fondatezza della censura in esame;

che, con il quarto motivo, la ricorrente censura la sentenza impugnata per omesso esame di fatti decisivi controversi, nonchè per violazione dell’art. 2697 c.c. (in relazione all’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5), per avere la corte territoriale erroneamente omesso di rilevare la mancata dimostrazione, ad opera di controparte, della sussistenza dei requisiti soggettivi per l’esercizio dell’attività di autotrasporto in capo a tutte le imprese coinvolte nell’esecuzione delle prestazioni di trasporto oggetto d’esame;

che il motivo è infondato;

che, al riguardo, varrà rilevare come la corte territoriale abbia del tutto correttamente rilevato la circostanza secondo cui, una volta comprovato l’originario rilascio delle prescritte autorizzazioni in capo alle imprese coinvolte nell’esecuzione dei trasporti in esame (non avendo la Santaflora s.r.l. rigorosamente allegato e comprovato, nei termini imposti dall’art. 366 c.p.c., n. 6 e art. 369 c.p.c., n. 4, l’eventuale incompletezza della dimostrazione di detto rilascio, come tale non risultante dalla sentenza impugnata), sarebbe spettato alla stessa Santaflora s.r.l. fornire la prova dell’eventuale revoca di dette autorizzazioni, trattandosi della prova di (eventuali) fatti impeditivi della pretesa del vettore, il cui ricorso dev’essere dimostrato, a norma dell’art. 2697 c.c., comma 2, dalla parte che l’allega;

che, con il quinto motivo, la ricorrente censura la sentenza impugnata per violazione degli artt. 183 e 189 c.p.c. (in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 4), per avere la corte territoriale erroneamente condannato la società ricorrente al pagamento di un importo superiore a quello originariamente richiesto dalla controparte, in violazione del principio di corrispondenza tra chiesto e pronunciato (ex art. 112 c.p.c.);

che il motivo è inammissibile;

che, al riguardo, osserva il Collegio come, sulla base del principio di necessaria e completa allegazione del ricorso per cassazione ex art. 366 c.p.c., n. 6 (valido oltre che per il vizio di cui all’art. 360, comma 1, n. 5, anche per quelli previsti dai nn. 3 e 4 della stessa disposizione normativa), il ricorrente che denunzia la violazione o falsa applicazione di norme di diritto, non può limitarsi a specificare soltanto la singola norma di cui, appunto, si denunzia la violazione, ma deve indicare gli elementi fattuali in concreto condizionanti gli ambiti di operatività di detta violazione (cfr. Sez. L, Sentenza n. 9076 del 19/04/2006, Rv. 588498);

che siffatto onere sussiste anche allorquando il ricorrente affermi che una data circostanza debba reputarsi comprovata dall’esame degli atti processuali, con la conseguenza che, in tale ipotesi, il ricorrente medesimo è tenuto ad allegare al ricorso gli atti del processo idonei ad attestare, in relazione al rivendicato diritto, la sussistenza delle circostanze affermate, non potendo limitarsi alla parziale e arbitraria riproduzione di singoli periodi estrapolati dagli atti processuali propri o della controparte;

che è appena il caso di ricordare come tali principi abbiano ricevuto l’espresso avallo della giurisprudenza delle Sezioni Unite di questa Corte (cfr., per tutte, Sez. Un., Sentenza n. 16887 del 05/07/2013), le quali, dopo aver affermato che la prescrizione dell’art. 366 c.p.c., n. 6, è finalizzata alla precisa delimitazione del thema decidendum, attraverso la preclusione per il giudice di legittimità di porre a fondamento della sua decisione risultanze diverse da quelle emergenti dagli atti e dai documenti specificamente indicati dal ricorrente, onde non può ritenersi sufficiente in proposito il mero richiamo di atti e documenti posti a fondamento del ricorso nella narrativa che precede la formulazione dei motivi (Sez. Un., Sentenza n. 23019 del 31/10/2007, Rv. 600075), hanno poi ulteriormente chiarito che il rispetto della citata disposizione del codice di rito esige che sia specificato in quale sede processuale nel corso delle fasi di merito il documento, pur eventualmente individuato in ricorso, risulti prodotto, dovendo poi esso essere anche allegato al ricorso a pena d’improcedibilità, in base alla previsione del successivo art. 369, comma 2, n. 4 (cfr. Sez. Un., Sentenza n. 28547 del 02/12/2008 (Rv. 605631); con l’ulteriore precisazione che, qualora il documento sia stato prodotto nelle fasi di merito e si trovi nel fascicolo di parte, l’onere della sua allegazione può esser assolto anche mediante la produzione di detto fascicolo, ma sempre che nel ricorso si specifichi la sede in cui il documento è rinvenibile (cfr. Sez. Un., Ordinanza n. 7161 del 25/03/2010, Rv. 612109, e, con particolare riguardo al tema dell’allegazione documentale, Sez. Un., Sentenza n. 22726 del 03/11/2011, Rv. 619317);

che nella violazione di tali principi deve ritenersi incorsa la società ricorrente con il motivo d’impugnazione in esame, atteso che la stessa, nel dolersi che la corte d’appello avrebbe erroneamente condannato la società ricorrente al pagamento di un importo superiore a quello originariamente richiesto dalla controparte, ha tuttavia omesso di fornire alcuna idonea e completa indicazione circa gli atti e i documenti processuali (la domanda avversaria e le conclusioni assunte) comprovanti il ricorso effettivo di detto errore, con ciò precludendo a questa Corte la possibilità di apprezzare la concludenza delle censure formulate al fine di giudicare la fondatezza del motivo d’impugnazione proposto;

che, con il sesto motivo, la ricorrente censura la sentenza impugnata per violazione dell’art. 2697 c.c. (in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3), per avere la corte territoriale erroneamente ritenuto che la controparte avesse fornito la prova dell’avvenuto pagamento dei sub-vettori utilizzati per i trasporti eseguiti nell’interesse dell’odierna società ricorrente, al fine di acquisire il diritto al conseguimento dei corrispondenti importi dalla società mittente;

che il motivo è inammissibile;

che, al riguardo, osserva il Collegio come la società ricorrente abbia prospettato il vizio in esame senza cogliere in modo specifico la ratio individuata dal giudice a quo a sostegno della decisione assunta;

che, sul punto, varrà richiamare il principio, consolidato nella giurisprudenza di questa Corte, ai sensi del quale, il motivo d’impugnazione è rappresentato dall’enunciazione, secondo lo schema normativo con cui il mezzo è regolato dal legislatore, della o delle ragioni per le quali, secondo chi esercita il diritto d’impugnazione, la decisione è erronea, con la conseguenza che, siccome per denunciare un errore occorre identificarlo (e, quindi, fornirne la rappresentazione), l’esercizio del diritto d’impugnazione di una decisione giudiziale può considerarsi avvenuto in modo idoneo soltanto qualora i motivi con i quali è esplicato si concretino in una critica della decisione impugnata e, quindi, nell’esplicita e specifica indicazione delle ragioni per cui essa è errata, le quali, per essere enunciate come tali, debbono concretamente considerare le ragioni che la sorreggono e da esse non possono prescindere, dovendosi, dunque, il motivo che non rispetti tale requisito, considerarsi nullo per inidoneità al raggiungimento dello scopo. In riferimento al ricorso per Cassazione tale nullità, risolvendosi nella proposizione di un “non motivo”, è espressamente sanzionata con l’inammissibilità ai sensi dell’art. 366 c.p.c., n. 4 (Sez. 3, Sentenza n. 359 del 11/01/2005, Rv. 579564-01);

che, nella specie, avendo la corte territoriale disatteso la domanda della Santaflora s.r.l. muovendo dal dato dell’esclusiva riferibilità, del rapporto contrattuale relativo al trasporto, alla sfera della Santaflora s.r.l. e della C.A. & C. s.n.c. – con la conseguenza che l’eventuale sorte dei rapporti tra vettore e subvettori, di cui il vettore si sarebbe servito per l’esecuzione delle proprie prestazioni senza che sorgesse alcun rapporto diretto tra mittente e subvettori (avendo peraltro il C. fatturato in proprio tutti i trasporti eseguiti dai subvettori: cfr. pag. 6 della sentenza impugnata), mai avrebbe potuto condizionare il diritto del vettore al conseguimento dell’integrale corrispettivo per tutti i trasporti effettuati – l’odierna censura della ricorrente, nel riproporre la questione della mancata prova dell’avvenuto pagamento dei subvettori utilizzati per i trasporti eseguiti, dimostra di non essersi punto confrontata con la decisione impugnata, con la conseguente sua inammissibilità per le specifiche ragioni in precedenza indicate;

che, con il settimo motivo, la ricorrente censura la sentenza impugnata per violazione dell’art. 112 c.p.c. (in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 4), per avere la corte territoriale violato il principio di corrispondenza tra chiesto e pronunciato in relazione all’avvenuta liquidazione del presunto maggior danno sofferto dalla controparte, in contrasto con la limitazione dell’originaria domanda di quest’ultima alla liquidazione della sola rivalutazione del proprio credito;

che il motivo è inammissibile;

che, al riguardo – ferma l’assorbente considerazione del mancato integrale assolvimento degli oneri di puntuale e completa allegazione imposti dall’art. 366 c.p.c., n. 6 e art. 369 c.p.c., n. 4 – osserva il Collegio come, nel considerare l’estensione della domanda risarcitoria proposta dalla C.A. & C. s.n.c., la corte territoriale risulti essersi attenuta a canoni interpretativi della domanda non palesemente illogici o incongrui;

che, al riguardo, varrà richiamare il principio consolidato nella giurisprudenza di questa Corte, alla stregua del quale l’interpretazione operata dal giudice di appello, riguardo al contenuto e all’ampiezza della domanda giudiziale, è assoggettabile al controllo di legittimità limitatamente alla valutazione della logicità e congruità della motivazione e, a tal riguardo, il sindacato della Corte di Cassazione comporta l’identificazione della volontà della parte in relazione alle finalità dalla medesima perseguite, in un ambito in cui, in vista del predetto controllo, tale volontà si ricostruisce in base a criteri ermeneutici assimilabili a quelli propri del negozio, diversamente dall’interpretazione riferibile ad atti processuali provenienti dal giudice, ove la volontà dell’autore è irrilevante e l’unico criterio esegetico applicabile è quello della funzione obiettivamente assunta dall’atto giudiziale (Sez. L, Sentenza n. 17947 del 08/08/2006, Rv. 591719-01; Sez. L, Sentenza n. 2467 del 06/02/2006, Rv. 586752-01);

che, peraltro, il giudice del merito, nell’indagine diretta all’individuazione del contenuto e della portata delle domande sottoposte alla sua cognizione, non è tenuto a uniformarsi al tenore letterale degli atti nei quali esse sono contenute, ma deve, per converso, avere riguardo al contenuto sostanziale della pretesa fatta valere, come desumibile dalla natura delle vicende dedotte e rappresentate dalla parte istante (Sez. 3, Sentenza n. 21087 del 19/10/2015, Rv. 637476-01);

che, nella specie, la ricorrente, lungi dallo specificare i modi o le forme dell’eventuale scostamento del giudice a quo dai canoni ermeneutici legali che ne orientano il percorso interpretativo (anche) della domanda giudiziale, risulta essersi limitata ad argomentare unicamente il proprio dissenso dall’interpretazione fornita dal giudice d’appello, così risolvendo le censure proposte ad una questione di fatto non proponibile in sede di legittimità;

che, con l’ottavo motivo, la ricorrente censura la sentenza impugnata per violazione del D.M. 3 aprile 2004, art. 5, tab. A e B, nonchè dell’art. 118 disp. att. c.p.c., art. 132 c.p.c., n. 4 e degli artt. 2233 e 2697 c.c. (in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3), per avere la corte territoriale erroneamente omesso di rilevare le illegittime modalità di liquidazione, da parte del primo giudice, delle spese relative al giudizio di primo grado;

che il motivo è inammissibile;

che, sul punto, osserva il Collegio come, secondo l’insegnamento della giurisprudenza di questa Corte, costituisca un preciso onere del ricorrente in cassazione, a pena d’inammissibilità del ricorso, specificare analiticamente i parametri e le voci tariffarie, oltrechè gli importi in ordine ai quali il giudice di merito sarebbe incorso in errore, nonchè le singole spese contestate, in modo da consentire il controllo di legittimità senza necessità di ulteriori indagini (cfr. Sez. 6-3, Ordinanza n. 24635 del 19/11/2014, Rv. 633262-01; Sez. 1, Sentenza n. 14542 del 04/07/2011, Rv. 618601-01);

che, al riguardo, non avendo l’odierna società ricorrente in alcun modo provveduto a tale analitica specificazione dei parametri tariffari pretesamente violati e in ordine ai quali il giudice di merito sarebbe incorso in errore, l’odierna censura deve ritenersi inammissibile;

che, con il nono motivo, la ricorrente censura la sentenza impugnata per violazione dell’art. 112 c.p.c. (in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 4), per avere la corte territoriale liquidato in favore di controparte le spese relative al giudizio d’appello in misura superiore a quanto dalla stessa espressamente rivendicato;

che il motivo è inammissibile;

che, al riguardo, osserva il Collegio come la società ricorrente abbia prospettato la censura in esame senza provvedere all’adeguato assolvimento degli oneri di puntuale e completa allegazione del ricorso, ai sensi dell’art. 366 c.p.c., n. 6 e art. 369 c.p.c., n. 4, avendo la stessa trascurato di allegare e produrre la documentazione processuale (e, segnatamente, la domanda di liquidazione delle spese) comprovante il ricorso effettivo di detto errore, con ciò precludendo a questa Corte la possibilità di apprezzare la concludenza della censura formulata al fine di giudicare la fondatezza del motivo d’impugnazione proposto;

che, sulla base dell’insieme delle considerazioni che precedono, rilevata la complessiva infondatezza delle censure esaminate, dev’essere pronunciato il rigetto del ricorso, cui segue la condanna della società ricorrente al rimborso, in favore del controricorrente, delle spese del presente giudizio, secondo la liquidazione di cui al dispositivo, oltre l’attestazione dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al rimborso, in favore del controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, liquidate in complessivi Euro 5.600,00, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15%, agli esborsi liquidati in Euro 200,00, e agli accessori come per legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Terza Civile della Corte Suprema di Cassazione, il 20 dicembre 2019.

Depositato in Cancelleria il 5 maggio 2020

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