Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 8472 del 05/05/2020

Cassazione civile sez. III, 05/05/2020, (ud. 19/12/2019, dep. 05/05/2020), n.8472

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. TRAVAGLINO Giacomo – Presidente –

Dott. FIECCONI Francesca – Consigliere –

Dott. VALLE Cristiano – Consigliere –

Dott. PELLECCHIA Antonella – rel. Consigliere –

Dott. GUIZZI Stefano Giaime – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 12612/2018 proposto da:

P.I., P.R., P.A.,

PE.AN., elettivamente domiciliati in ROMA, VIA GERMANICO 107, presso

lo studio dell’avvocato NICOLA BULTRINI, rappresentati e difesi

dall’avvocato RAFFAELE MARCIANO;

– ricorrenti –

contro

RETE FERROVIARIA ITALIANA SPA, (OMISSIS) in persona dell’Avvocato

S.V. suo institore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA

BARLETTA, 29 C/O STUDIO DAAN ASSOCIATI, presso lo studio

dell’avvocato PAOLO APUZZO, che la rappresenta e difende;

– controricorrente –

e contro

D.L. COSTRUZIONI GENERALI SAS, GIANTURCO SCA IN LQ, SIF SPA,

ALLIANZ SPA, INA ASSITALIA SPA, ALLIANZ (RAS) SPA, GENERALI ITALIA

SPA (OMISSIS), ARIOLA PALI SRL, ESACO SRL;

– intimati –

avverso la sentenza n. 925/2018 della CORTE D’APPELLO di NAPOLI,

depositata il 23/02/2018;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

19/12/2019 dal Consigliere Dott. ANTONELLA PELLECCHIA.

Fatto

RILEVATO

che:

1. Nel 2005, i coniugi Pe.An. e P.A., in proprio e in qualità di esercenti la potestà genitoriale sui figli minori P.R. e I., convennero in giudizio, dinanzi al Tribunale di Napoli, la D.L. Costruzioni Generali S.p.a., nonchè la TAV S.p.a., esponendo: di essere tutti residenti in (OMISSIS) in un appartamento di proprietà della Pe.; che in data (OMISSIS), su commissione della TAV, costituita tra la D.L. Costruzioni Generali, mandataria capogruppo, la Lombardini S.p.a., la Alstom Transport System S.p.a. e la Gefer S.p.a., aveva dato inizio ai lavori di realizzazione del secondo lotto della nuova linea di penetrazione urbana dell’alta velocità su una preesistente linea ferroviaria posta ad una distanza di 50 metri dall’abitazione attorea, con attività consistente in sondaggi del sottosuolo, demolizioni di fabbricati, scavi con grosse pale meccaniche; che, in dipendenza di tali attività, si erano verificate delle occlusioni dei collettori fognari in cui scaricavano gli edifici della zona, con conseguente impossibilità all’utilizzo dei servizi igienici della propria abitazione; che in diverse occasioni, tra Pasqua e (OMISSIS), vi erano state interruzioni dell’erogazione dell’acqua potabile e dell’energia elettrica dovute alla rottura dei sottoservizi attraversanti il cantiere; che le suddette attività provocavano la propagazione diurna e notturna di insopportabili rumori, eccedenti la soglia della normale tollerabilità, nonchè vibrazioni produttive di piccole lesioni alle pareti dell’appartamento e l’immissione nel abitazione di enormi quantità di polvere; che ciò aveva ingenerato nel intero nucleo familiare perdita di sonno, stati di nervosismo, continue cefalee, bruciore agli occhi ed irritazione delle vie respiratorie per la mancata adozione di qualsivoglia dispositivo di protezione a favore di terzi estranei al cantiere. Chiesero quindi la condanna dei convenuti al risarcimento dei danni alla salute subiti, nonchè all’adozione degli accorgimenti volti a ricondurre le lamentate immissioni entro la soglia della normale tollerabilità, nonchè il risarcimento dei danni provocati all’immobile di proprietà della Pe. per effetto della realizzazione dell’opera pubblica, anche ai sensi della L. n. 2359 del 1865, art. 46.

Si costituì in giudizio la D.L. Costruzioni Generali S.p.a., contestando la sussistenza dei pregiudizi lamentati, la loro riconducibilità cantieristica e la produzione di immissioni eccedenti la soglia di normale tollerabilità. Chiese l’autorizzazione a chiamare in causa le proprie compagnie assicuratrici della responsabilità civile, Ras S.p.a. e Assitalia S.p.a., la società consortile a r.l. Gianturco, costituita con la Lombardini S.p.a. per demandarle l’esecuzione in forma unitaria dei lavori appaltati, nonchè le imprese cui aveva subappaltato parte delle lavorazioni in questione (SIF S.p.a., ESACO S.r.l.; Ariola Pali S.r.l.), al fine di essere da loro manlevata dalle eventuali conseguenze pregiudizievoli della lite.

Si costituì anche la TAV S.p.a., la quale, a sua volta, chiese di chiamare in causa la Rete Ferroviaria Italiana S.p.a., effettiva committente delle opere in contestazione, facendo valere la propria carenza di legittimazione passiva e chiedendo, in subordine, la condanna della suddetta società a rimborsarle quanto fosse tenuta a corrispondere agli attori in caso di soccombenza.

La RFI, peraltro, intervenne volontariamente nel giudizio, contestando la sussistenza di nesso causale tra i danni lamentati e l’attività di cantiere, evidenziando l’adozione da parte dell’ATI di ogni accorgimento necessario ad eliminare disagi alla cittadinanza ed affermando che, in ogni caso, l’eventuale responsabilità nascente dai lavori era da ascriversi unicamente all’appaltatrice.

Si costituirono ancora, a seguito della chiamata in causa: la RAS S.p.a. e l’Assitalia S.p.a., le quali instarono per il rigetto delle pretese attore e, in subordine per la limitazione dei rispettivi obblighi indennitari alle quote di rischio assunto; la SIF S.p.a., la quale dedusse la propria estraneità alla lite per esserle stati subappaltati lavori non comportanti opere di scarico di scavo o reinterri, peraltro conclusisi nell'(OMISSIS); la Ariola Pali S.r.l., la quale sostenne che non poteva esserle imputata la responsabilità dei danni lamentati, per aver svolto la sola attività di posa in opera di micropali di fondazione, che non prevedeva l’impiego di macchinari destinati a provocare vibrazione, chiedendo a sua volta l’autorizzazione a chiamare in garanzia la propria compagnia assicuratrice, Lloyd Adriatico S.p.a..

Si costituì, infine, tale ultima compagnia, eccependo l’inoperatività della garanzia.

Nel corso del giudizio, la difesa attorea dichiarò che lavori di realizzazione della tratta ferroviaria in oggetto risultavano ultimati e di voler proseguire il giudizio al solo fine di ottenere il risarcimento dei danni alla salute provocati dai pregressi fenomeni immissivi e dei danni provocati all’immobile, anche ai sensi della L. n. 2359 del 1865, art. 46.

Il Tribunale di Napoli, con la sentenza n. 2988/2011, rigettò la domanda.

2. La decisione è stata confermata dalla Corte di appello di Napoli, con la sentenza n. 925/2018, depositata il 23 febbraio 2018.

La Corte territoriale ha ritenuto inammissibili le censure con cui i Pe. – P. sostenevano che, contrariamente a quanto affermato dal Tribunale, i lavori di realizzazione della linea alta velocità sarebbero stati ancora in corso per il completamento di opere di supporto, rilevando che si introducevano fatti nuovi e si reiterava una domanda già oggetto di rinuncia da parte degli attori.

Nel merito, la Corte d’appello ha osservato che, dalle risultanze istruttorie acquisite, non emergevano, neppure sul piano della mera allegazione, i presupposti per l’accoglimento della domanda (ovvero la prova dell’esistenza di immissioni acustiche, di polveri e di vibrazioni superiori alla soglia di normale tollerabilità o, comunque, lesive di diritti soggettivi, dei danni patiti e del rapporto di causalità con i fenomeni immissivi). Nè tali elementi, secondo la Corte, erano idonei a consentire la nomina di ausiliari tecnici per l’accertamento dei fatti e la quantificazione dei danni.

Infatti, la perizia tecnica redatta dal geom. L.S., prodotta dagli attori in primo grado, si limitava a descrivere lo stato dei luoghi e le lavorazioni in atto, in assenza di qualsivoglia accertamento di ordine tecnico relativamente alle emissioni prodotte e al superamento delle soglie di tollerabilità, nonchè relativamente alle lesioni rilevate all’immobile della Pe. (riservandosi ad un momento successivo l’approfondimento e la stima dei danni derivanti da tali lesioni). La stessa perizia, peraltro redatta da un soggetto con competenze tecniche non adeguate alla complessità dell’opera, esponeva conclusioni apodittiche, inerenti anche le conseguenze sulla sfera fisiopsichica degli appellanti.

La documentazione sanitaria prodotta dagli appellanti, costituita da relazioni allergologiche e dermatologiche, evidenziavano patologie che non potevano essere ricondotte in modo evidente e incontrovertibile alle lamentate immissioni, a prescindere dalla mancata dimostrazione della effettiva efficienza lesiva delle stesse.

La Corte ha poi richiamato le conclusioni del Tribunale circa l’inutilità di una c.t.u. al fine di accertare la potenziale lesività delle immissioni (stante la cessazione delle attività cantieristiche e non essendosi gli istanti premurati di richiedere un accertamento tecnico preventivo volto a determinare la rumorosità delle stesse attività ed il livello di concentrazione di polveri nell’atmosfera da esse determinate) e la conseguente inutilità della c.t.u. medico-legale (non essendovi alcuna possibilità di accertare, anche solo a livello probabilistico, il ruolo causale delle immissioni nell’insorgenza o nell’aggravamento di una qualche patologia).

Infine, quanto alla domanda di indennizzo L. n. 2359 del 1865, ex art. 46, la Corte ha evidenziato che gli attori si erano limitati ad allegare una generica compromissione della vivibilità dell’appartamento, quale conseguenza della prossimità al cantiere, oltre che ad asserire una riduzione del valore di mercato dell’immobile, senza evidenziare in modo puntuale la menomazione, la diminuzione o la perdità di facoltà dominicali subita.

Anche sul punto, la Corte partenopea ha richiamato la sentenza di prime cure, la quale aveva ritenuto inammissibile la richiesta attorea di nomina di un c.t.u. per accertare il deprezzamento subito dall’immobile, in quanto, in assenza dell’indicazione delle facoltà dominicali precedentemente possedute che erano state concretamente compromesse dalle attività cantieristiche, la consulenza sarebbe risolta in un mandato in bianco all’ausiliare per la ricerca di qualsiasi possibile pregiudizio arrecato all’immobile dall’opera pubblica.

3. Avverso tale sentenza propongono ricorso per cassazione, sulla base di due motivi, i signori Pe.An. e P.A., nonchè i signori P.R. e I., nelle more divenuti maggiorenni.

3.1. Resiste con controricorso la Rete Ferroviaria Italiana S.p.a. (anche in qualità di incorporante per fusione la TAV S.p.a.), la quale chiede la condanna dei ricorrenti al risarcimento del danno da responsabilità aggravata ex art. 96 c.p.c., comma 1, ovvero al pagamento di una somma equitativamente determinata ex art. 96 c.p.c., comma 3. Le intimate D.L. Costruzioni Generali S.p.a., Gianturco S.c. a r.l. in liquidazione, SIF S.p.a., Alliaz S.p.a. (già Lloyd Adriatico S.p.a.), Ina Assitalia S.p.a., Assicurazioni Generali S.p.a. e Ariola Pali S.r.l. non hanno svolto difese.

Diritto

CONSIDERATO

che:

4. Con il primo motivo, i ricorrenti lamentano, ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, la nullità del procedimento e della sentenza per violazione dell’art. 132 c.p.c., comma 2, n. 4 e art. 118 disp. att. c.p.c..

La mancata ammissione, da parte della Corte d’appello, dei mezzi istruttori richiesti dai ricorrenti non sarebbe sostenuta da alcuna motivazione.

La Corte non avrebbe preso in esame la perizia tecnica di parte, dalla quale si evincerebbe la prova dell’irregolare esecuzione dei lavori, nonchè l’estrema vicinanza del cantiere all’abitazione dei ricorrenti (confermata anche dai rilievi fotografici in atti), circostanza già da sola sufficiente a dimostrare l’intollerabilità delle immissioni lamentate, nonchè i danni materiali e alla salute subita dagli stessi ricorrenti.

Le suddette circostanze sarebbero provate anche dalle dichiarazioni testimoniali e dalla documentazione medica prodotta, la quale attesterebbe che le patologie sofferte dai ricorrenti erano sorte in costanza dei lavori.

Nel caso di specie la consulenza tecnica di ufficio, sia tecnica che medica, sarebbe stato l’unico mezzo, possibile per accertare e valutare i danni, specificamente allegati dagli attori e financo documentati. La corte d’appello, invece, non avrebbe neanche preso in esame gli elementi di prova documentale forniti a sostegno di tali allegazioni ed avrebbe illegittimamente rigettato la domanda di consulenza tecnica sulla base della constatazione del difetto di prova.

4.2. Con il secondo motivo, i ricorrenti lamentano, ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, l’errata valutazione del motivo di appello relativo alla domanda di indennizzo L. n. 2359 del 1865, ex art. 46, nonchè la violazione dell’art. 132 c.p.c., comma 2, n. 4 e art. 118 disp. att. c.p.c..

L’estrema vicinanza dell’opera pubblica all’abitazione, che sarebbe documentata sia dalla relazione del perito di parte, sia dalla documentazione fotografica in atti, sarebbe circostanza già da sola sufficiente a ridurre il valore di mercato dell’immobile dei ricorrenti.

Pertanto, sarebbe stato doveroso per la Corte d’appello ammettere la c.t.u. tecnica al fine di sciogliere ogni dubbio in merito alla sussistenza o meno dei presupposti per la domanda di indennizzo.

Nè sarebbe stata sufficiente a consentire il rigetto della richiesta di c.t.u. l’osservazione dei giudici di secondo grado circa il fatto che la zona in cui è ubicato l’appartamento dei ricorrenti sarebbe stata poco salubre anche prima della realizzazione dei lavori denunciati.

5. Il ricorso è inammissibile per violazione del requisito di cui all’art. 366 c.p.c., n. 3, non contenendo un’esposizione chiara ed esauriente dei fatti di causa, nè l’indicazione delle posizioni delle parti, con i presupposti di fatto e le ragioni di diritto che le giustificano, le eccezioni, le difese e le deduzioni di ciascuna parte in relazione alla posizione avversaria, o dello svolgersi della vicenda processuale nelle sue articolazioni. Neppure vengono riportate, nella loro interezza, le argomentazioni su cui si fonda la sentenza impugnata.

Peraltro, anche i singoli motivi del ricorso appaiono inammissibili per difetto di autosufficienza, poichè i ricorrenti, nel sostenere che il materiale probatorio acquisito in giudizio avrebbe in realtà dimostrato l’intollerabilità delle immissioni lamentate, nonchè i danni materiali e alla salute subiti dagli stessi ricorrenti – o quantomeno avrebbe imposto di ammettere le richieste c.t.u. tecnica e medico legale -, omettono di trascrivere i documenti richiamati o le parti di essi ritenute rilevanti e non riportano neppure il contenuto delle deposizioni testimoniali asseritamente trascurate dalla Corte d’appello.

Ma anche ove si potesse passare all’esame del merito dei motivi, essi risulterebbero – fermo che non sono scrutinabili per la mancanza di conoscenza del fatto – parimenti inammissibili perchè volti ad ottenere una nuova e diversa valutazione dei fatti processuali, limitandosi i ricorrenti ad illustrare tesi alternative rispetto a quelle esposte dal Giudice di merito.

Questa Corte, in quanto giudice di legittimità, non ha, difatti, il potere di compiere nè una rivalutazione dei fatti e degli atti processuali, nè un riesame del merito delle prove. L’attività processuale richiesta da parte ricorrente, difatti, imporrebbe il controllo in fatto della motivazione della sentenza oggetto di impugnazione, e, pertanto, sarebbe contraria ai principi statuiti da questa Corte a Sezioni Unite con le sentenze gemelle n. 8053 e n. 8054 del 2014, che ne escludono in radice la possibilità qualora – il Giudice del merito, nell’esercizio del suo potere di compiere una valutazione discrezionale delle prove acquisite, abbia argomentato il suo convincimento senza incorrere in vizi logico-giuridici tali da rendere in concreto inesistente, insanabilmente contraddittoria, obbiettivamente e irrimediabilmente perplessa la motivazione della propria decisione.

La Corte territoriale, contrariamente a quanto afferma la difesa dei ricorrenti, ha motivato la propria sentenza facendo un puntuale riferimento alle prove che sono state poste a fondamento della decisione, riproponendo con chiarezza espositiva l’iter logico e giuridico seguito nella formazione del proprio convincimento. Nella motivazione redatta dalla Corte di Appello non si rinvengono, pertanto, quei vizi logico-giuridici idonei ad inficiare la validità della sentenza e tali da richiedere un sindacato in sede di legittimità sul giudizio dalla stessa emesso.

6. Non sussiste, peraltro, la responsabilità aggravata ex art. 96 c.p.c., comma 3, dei ricorrenti, richiesta dalla controricorrente.

Infatti, in tema di responsabilità aggravata, la condanna ex art. 96 c.p.c., comma 3, presuppone l’accertamento di un fatto illecito, qual è l’abuso del processo”, e richiede, pertanto, il necessario riscontro dell’elemento soggettivo della mala fede o della colpa (Cass. n. 7901/2018). Nel caso di specie nulla di ciò è stato accertato, nè risulta astrattamente predicabile.

7.Le spese seguono la soccombenza. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, si dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte dei ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna i ricorrenti al pagamento, in favore della controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 6.200,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 200, ed agli accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza, ove dovuto, dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente principale, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso principale, a norma del citato art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Terza Civile della Corte Suprema di Cassazione, il 19 dicembre 2019.

Depositato in Cancelleria il 5 maggio 2020

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