Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 8471 del 05/05/2020

Cassazione civile sez. III, 05/05/2020, (ud. 21/11/2019, dep. 05/05/2020), n.8471

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. AMENDOLA Adelaide – Presidente –

Dott. DI FLORIO Antonella – rel. Consigliere –

Dott. OLIVIERI Stefano – Consigliere –

Dott. FIECCONI Francesca – Consigliere –

Dott. CRICENTI Giuseppe – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 13312/2018 proposto da:

C.O., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA QUIRINO

MAJORANA 203, presso lo studio dell’avvocato ROBERTO MARINEO, che lo

rappresenta e difende;

– ricorrente –

contro

A.L.J., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA ATTILIO

REGOLO 12/D, presso lo studio dell’avvocato ROBERT KERSHAW ALAN, che

lo rappresenta e difende;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 1356/2018 della CORTE D’APPELLO di ROMA,

depositata il 01/03/2018;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

21/11/2019 dal Consigliere Dott. ANTONELLA DI FLORIO.

Fatto

RITENUTO

che:

1. C.O. ricorre, affidandosi a quattro motivi illustrati anche da memoria, per la cassazione della sentenza della Corte d’Appello di Roma che, respingendo l’istanza di sospensione del giudizio per la proposizione di querela di falso, aveva confermato la pronuncia del Tribunale che aveva rigettato la sua domanda volta ad ottenere la dichiarazione di annullamento della transazione, avente per oggetto la definizione di alcuni giudizi instaurati per ragioni successorie con la convenuta A.J.L. che aveva contratto matrimonio, in seconde nozze, con il padre C.U., matrimonio che il ricorrente assumeva essere nullo.

1.1. Per ciò che qui interessa, egli ha dedotto di aver scoperto, solo dopo aver sottoscritto la transazione, che la convenuta A., prima di sposare il padre era convolata a nozze con un cittadino sudafricano dal quale aveva solo falsamente divorziato: chiedeva, pertanto, l’accertamento della nullità del matrimonio della A. con il padre e l’annullamento della transazione che aveva sottoscritto senza essere a conoscenza di tale pregressa situazione che, rendendo nullo il matrimonio, gli consentiva di pretendere maggiori diritti ereditari.

2. La parte intimata ha resistito.

Diritto

CONSIDERATO

che:

1. Con il primo ed il secondo motivo, da esaminarsi congiuntamente per la stretta connessione logica, il ricorrente deduce:

a. ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione e falsa applicazione degli artt. 221 e 222 c.p.c. in relazione all’art. 355 c.p.c.;

b. la violazione dell’art. 355 c.p.c. e della L. n. 218 del 1995, art. 7;

1.1. Assume che erroneamente la Corte territoriale, nel dichiarare inammissibile la querela di falso proposta in relazione alla sentenza di scioglimento del pregresso matrimonio della A., emessa dal Tribunale di Duarte nella Repubblica Domenicana, non aveva autorizzato la sospensione del giudizio, con ciò violando la disciplina contenuta nelle norme richiamate.

1.2. Contesta le diffuse argomentazioni della Corte che aveva escluso che ricorressero i presupposti per ritenere che il divorzio fosse stato falsificato, e che aveva qualificato gli elementi addotti a sostegno della tesi del ricorrente come “mere irregolarità”, assumendo che dalla documentazione prodotta si evinceva con certezza che il matrimonio della A. con il precedente marito non era stato affatto sciolto e che doveva tenersi conto della notoria facilità di contrarre matrimonio in alcune località degli Stati Uniti in cui non è necessario provare il pregresso stato civile dei nubendi.

Anche in ragione di ciò, la Corte, avrebbe dovuto cautelativamente sospendere il giudizio in attesa dell’accertamento sulla veridicità del divorzio della convenuta dal precedente marito.

1.3. I motivi sono inammissibili.

Le censure prospettano questioni di merito già valutate dai giudici d’appello che hanno affermato, con una articolata motivazione, che i vizi dell’atto di scioglimento del matrimonio denunciati – fondati su verbali di udienza non chiari e sulla mancanza dei pareri delle autorità preposte – potevano al più rientrare nell’alveo delle irregolarità formali ma non potevano essere ricondotti al concetto di falsità, contraddetto anche dalle produzioni documentali della parte convenuta, esaminate e valutate dalla Corte che ha motivato, sulla specifica richiesta, in modo congruo e logico (cfr. pagg. 12 e 13 della sentenza impugnata), affermando che i controlli eseguiti negli USA – nella località ove la A. aveva sposato il padre del ricorrente – non consentivano di configurare neanche il fumus per la proposizione della querela di falso.

1.4. La doglianza, pertanto, pur prospettata come violazione di legge, maschera la richiesta di rivalutazione di merito della sentenza impugnata, non consentita in questa sede (cfr. Cass. 8758/2017; Cass. 13721/2018).

2. Con il terzo motivo, il ricorrente deduce, ancora, la violazione e falsa applicazione degli artt. 1975 e 1969 c.c., in relazione al contenuto della transazione ed alla rilevanza, rispetto alla sua libera volontà nel sottoscriverla, della conoscenza del documento (in tesi, falso) che consentiva di escludere il pregresso divorzio della A., legittimandolo alla pretesa di maggiori diritti ereditari.

2.1. Il motivo è inammissibile.

2.2. Deve premettersi che l’art. 1975 c.c. (che si assume violato) prevede che “la transazione che le parti hanno concluso generalmente sopra tutti gli affari che potessero esservi fra loro non può impugnarsi per il fatto che posteriormente una di esse venga a conoscenza di documenti che le erano ignoti al tempo della transazione, salvo che questi siano stati occultati dall’altra parte”.

2.3. Escluso che ricorressero i presupposti indicati nell’ultima parte della norma, visto che la documentazione offerta a sostegno della ipotetica annullabilità del matrimonio era nota ad entrambe le parti, ricorre la preclusione contenuta nella prima parte: al riguardo, la censura ridonda sulla interpretazione della negozio transattivo, sul quale la Corte ha diffusamente argomentato, affermando che, con esso, i contraenti “nel comporre i reciproci contrasti, nella sostanza decisero di dare attuazione alla volontà del defunto, intenzionato a lasciare alla moglie i due terzi del proprio patrimonio” (cfr. 14 pag. della sentenza impugnata), decisione della quale l’eventuale accertamento dell’invalidità del matrimonio oggetto di contestazione non avrebbe potuto comportare l’automatica caducazione.

2.4. Al riguardo, questa Corte ha avuto modo di affermare che “l’indagine compiuta dal giudice di merito volta a stabilire l’oggetto ed i limiti di una transazione, involge un apprezzamento di fatto insindacabile in sede di legittimità se non per violazione delle regole di ermeneutica contrattuale e per vizi logici” (cfr. Cass. 18760/2005; Cass. 27136/2017): nel caso in esame, non sono stati neanche indicati i canoni interpretativi che sarebbero stati violati, in quanto la doglianza si limita a contestare la motivazione deducendo genericamente che “la Corte territoriale avrebbe peccato nella antologia delle proprie argomentazioni e nella ricostruizione dell’iter logico dei propri impianti motivazionali” (cfr. pag. 34 del ricorso primo cpv).

2.5. Ma in tal modo, la censura prospetta un vizio non più esistente (cfr. Cass. SUU 8053/2014) e maschera la richiesta di rivalutazione di questioni di merito sulle quali il percorso argomentativo della Corte d’Appello rispetta il limite di sufficienza costituzionale, con conseguente insindacabilità in sede di legittimità.

3. Con il quarto motivo, infine, il ricorrente deduce, ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, l’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio.

3.1. Lamenta l’assenza di motivazione sul rigetto della domanda.

3.2. La censura è inammissibile poichè la sentenza impugnata ha confermato la pronuncia di primo grado per le medesime ragioni, ragione per cui, in disparte ogni rilievo sulla totale assenza di indicazione del fatto storico, principale o secondario, che la Corte avrebbe omesso di esaminare, il vizio non è deducibile in questa sede, ex art. 348 ter c.p.c., u.c..

4. In conclusione, il ricorso deve essere dichiarato inammissibile.

5. Le spese del giudizio di legittimità seguono la soccombenza.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello cui è tenuto per il ricorso proposto, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis, se dovuto.

P.Q.M.

La Corte:

dichiara inammissibile il ricorso.

Condanna il ricorrente alle spese del giudizio di legittimità che liquida in Euro 7200,00 per compensi ed Euro 200,00 per esborsi, oltre accessori e rimborso forfettario spese generali nella misura di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello cui è tenuto per il ricorso proposto, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Terza Civile, il 21 novembre 2019.

Depositato in Cancelleria il 5 maggio 2020

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