Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 8470 del 05/05/2020

Cassazione civile sez. III, 05/05/2020, (ud. 14/11/2019, dep. 05/05/2020), n.8470

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. AMENDOLA Adelaide – Presidente –

Dott. VALLE Cristiano – rel. Consigliere –

Dott. PELLECCHIA Antonella – Consigliere –

Dott. CRICENTI Giuseppe – Consigliere –

Dott. GUIZZI Stefano Giaime – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso n. 20720/2018 proposto da:

Investimenti Immobiliari S.a.s. di Busseni Coperture S.r.l. & C.,

in persona del legale rappresentante in carica, elettivamente

domiciliato in Roma alla via del Vascello 16, presso lo studio

dell’avvocato Rocchi Pierluigi, che lo rappresenta e difende;

– ricorrente –

contro

Bnp Paribas Lease Group S.p.a., in persona del legale rappresentante

in carica, elettivamente domiciliato in Roma via Alessandro Malladra

31, presso lo studio dell’avvocato Iaria Giovanni, che lo

rappresenta e difende unitamente all’avvocato Sculco Nicola;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 02415/2018 della CORTE d’APPELLO di MILANO,

depositata il 19/03/2018;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

14/11/2019 da Dott. Cristiano Valle;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

PATRONE Ignazio, che ha concluso per il rigetto del ricorso;

rilevato che nessuno è comparso per le parti.

Fatto

FATTI DI CAUSA

La Corte di Appello di Milano, con sentenza n. 02415 del 15/05/2018 ha, per quanto ancora rileva in questa sede, confermato l’ordinanza del Tribunale della stessa città, resa all’esito di giudizio svoltosi nelle forme di cui agli artt. 702 bis c.p.c. e segg..

Per quanto risulta dalla sentenza impugnata, V. Investimenti Immobiliari S.a.s., ora Investimenti Immobiliari S.a.s. di Busseni Coperture S.r.l. & C. – d’ora in avanti solo Investimenti Immobiliari S.a.s. – convenne in giudizio Bnp Paribas Lease Group – d’ora in avanti solo Bnp – S.p.a. chiedendo la declaratoria di nullità, per superamento del tasso soglia, di due contratti di leasing immobiliare, uno del 2003 e uno del 2005, con condanna della convenuta al ritrasferimento degli immobili e alla restituzione delle somme indebitamente versate dall’attrice o in subordine, accertata la risoluzione dei contratti di leasing, la condanna della Bnp S.p.a., ex artt. 1384 e 1526 c.c., a restituire gli immobili ovvero i canoni di locazione versati.

Ai fini della migliore comprensione della complessiva vicenda giova rilevare che, come da controricorso di Bnp S.p.a., la detta Banca aveva già ottenuto, in separato giudizio sommario, con ordinanza non impugnata dalla V. Investimenti Immobiliari di V.M. & C. s.a.s., la condanna alla restituzione degli immobili.

La sentenza d’appello è gravata, con atto affidato ad otto motivi, dalla Investimenti Immobiliari S.a.s..

Resiste con controricorso, assistito da memoria, Bnp S.p.a..

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

Il primo motivo di ricorso censura la sentenza d’appello ai sensi dell’art. 360, comma 1, nn. 3 e 4, in relazione all’art. 342 c.p.c.: contesta la motivazione della Corte territoriale in ordine alle modalità di redazione dell’atto di gravame.

Il secondo mezzo censura la sentenza ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 3, in relazione agli artt. 112,115,355 e 221 c.p.c. e segg. – violazione e (o) falsa applicazione di norme di diritto – n. 4 – nullità del procedimento – e n. 5 omesso esame di fatto decisivo.

Il terzo motivo reitera le stesse censure di cui al secondo, anche con riferimento all’art. 702 ter c.p.c..

Il quarto motivo propone censure di violazione e (o) falsa applicazione di norme di diritto in relazione agli artt. 342,352,356 c.p.c. e vizi di cui all’art. 360, comma 1, n. 4, in relazione all’art. 112 c.p.c..

Il quinto mezzo prospetta censure di violazione e (o) falsa applicazione della L. n. 108 del 1996, artt. 1359, 1419 c.c. e art. 644 c.p., con riferimento al superamento del cd. tasso soglia e di omesso esame di fatto decisivo.

Il sesto motivo deduce violazione e (o) falsa applicazione dell’art. 1362 c.c., con riferimento alla domanda di riduzione ad equità della penale e deduce, altresì, nullità del procedimento.

Il settimo mezzo è formulato sull’art. 360, comma 1, n. 3, in relazione all’art. 112 c.p.c., artt. 1384 e 1526 c.c. e della L. n. 124 del 2017.

L’ottavo mezzo contesta la regolamentazione delle spese di lite.

Il primo mezzo contiene critiche irrilevanti e, comunque, non pertinenti.

La sentenza d’appello, dopo una lunga premessa sui requisiti di ammissibilità dell’appello alla stregua dell’art. 342 c.p.c., come risultante dalle modifiche apportate dal D.L. 22 giugno 2012, n. 83, art. 54, comma 1, lett. oa), conv. con modificazioni nella L. 7 agosto 2012, n. 134, procede all’esame nel merito dei motivi di impugnazione, cosicchè le critiche mosse alla parte della pronuncia relativa all’art. 342 c.p.c., sono inammissibili per mancanza di decisorietà delle argomentazioni in esse prospettate.

Il secondo ed il terzo motivo di ricorso censurano entrambi, con critiche mosse ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3, 4 e 5, la mancata ammissione della querela di falso in sede di appello e con riferimento al verbale di causa del 27/10/2005.

Anche in questo caso le censure non colgono, complessivamente considerate e pur nella doveroso rilievo della mancata esatta identificazione del “fatto decisivo per il giudizio”, di cui sarebbe stato omesso l’esame, nel segno: la ragione del decidere della Corte territoriale, sul punto della non rilevanza della querela di falso del verbale di causa di primo grado, e precisamente di quello dell’udienza del 27/10/2015, è da individuarsi nell’affermazione, contenuta nella motivazione della sentenza impugnata, che la querela non riguardava una questione dirimente ai fini del giudizio, posto che attraverso essa si intendevano veicolare le prove sul comportamento ostruzionistico e di mala fede della Bnp S.p.a. in ordine alla restituzione degli immobili ed il tutto in un contesto negoziale in cui la concedente non avrebbe avuto un vincolo di vendita, e, quindi, in definitiva su di una questione nuova in fase d’impugnazione di merito e non decisiva. La sentenza impugnata ha, peraltro, dopo avere affermato che la questione relativa all’art. 1526 c.c., era nuova, preso anche in esame, nel prosieguo della motivazione, la clausola n. 17 del contratto ed ha affermato che essa realizzasse – in seguito si accerterà se motivando adeguatamente o meno – un equo contemperamento degli interessi delle parti.

Le critiche contenute nei due detti mezzi d’impugnazione, in questa sede prospettate, non incrinano la ragione del decidere in ordine alla adeguatezza del ragionamento decisorio sulla mancata ammissione della querela di falso.

Il quarto motivo di ricorso si appunta sulla mancata ammissione della consulenza tecnico-contabile volta all’accertamento dell’usurarietà dei tassi degli interessi convenzionali e moratori di cui ai due contratti di leasing immobiliare.

Il motivo è infondato: la Corte di Appello correttamente non ha ammesso la c.t.u., perchè essa, nella prospettazione della Investimenti Immobiliari S.a.s., avrebbe dovuto accertare la usurarietà dei tassi applicati, laddove la domanda originariamente proposta era incentrata sulla usurarietà dei tassi pattuiti.

Altrettanto correttamente non è stato preso in considerazione l’elaborato del consulente di parte, Dott. F., perchè prodotto a integrazione del ricorso di primo grado e, quindi, detta perizia di parte non poteva integrare il ricorso stesso in ordine alla non proposta domanda di accertamento della nullità, in quanto usurari, dei tassi in concreto applicati nel corso del rapporto.

In ogni caso il vizio dedotto non appare sussistente: la verifica del carattere usurario degli interessi moratori non può essere effettuata, come sembra fare parte ricorrente, sommando ad essi quelli corrispettivi.

Il quinto motivo censura il mancato rilievo della usurarietà dei tassi degli interessi ai sensi della L. n. 108 del 1996, alla quale sarebbe conseguita la nullità della relativa pattuizione. Nel corpo dell’esposizione del motivo parte ricorrente afferma che la domanda proposta in primo grado avrebbe riguardato sia la originaria pattuizione degli interessi che la loro applicazione nel corso del rapporto. Detta affermazione, tuttavia, che sottintende una questione di interpretazione della domanda originaria, non è adeguatamente corroborata da parte ricorrente mediante un puntuale richiamo agli atti del primo grado di merito e si infrange sull’affermazione della sentenza d’appello che la domanda aveva ad oggetto (soltanto) la pattuizione originaria di tassi usurari e non anche l’applicazione nel corso dello svolgimento sinallagmatico del rapporto, di tassi usurari.

Il sesto ed il settimo motivo di ricorso possono essere congiuntamente esaminati, in quanto strettamente connessi, poichè entrambi incentrati sulla disciplina contrattuale relativa alle conseguenza della risoluzione del contratto di leasing e sulla violazione e (o) falsa applicazione delle regole di ermeneutica contrattuale di cui agli artt. 1362 c.c. e segg.: le critiche si appuntano contro la ritenuta, dalla Corte territoriale, in adesione alla statuizione di primo grado, validità della clausola n. 17 che prevede l’acquisizione delle rate riscosse, il diritto al pagamento delle rate future e del prezzo di riscatto detratto solo quanto ricavato dalla eventuale vendita del bene, in violazione dell’art. 1526 c.c..

Sul punto, a fronte di una specifica prospettazione, adeguatamente riportata in questo caso, della domanda originaria, la sentenza d’appello si mostra carente, in quanto afferma apoditticamente che “Una disciplina, emergente dalle clausole contrattuali, che contempla il diritto ai canoni scaduti e a scadere da parte del concedente, oltre al corrispettivo del riscatto del bene e con previsione di imputazione del corrispettivo ricavato alla vendita è già conforme ad equità, perchè preclude di per sè un arricchimento ingiustificato del concedente tramite l’imputazione del valore corrispettivo ricavato dalla vendita dei beni”, in contrasto con l’orientamento di questa Corte (Cass. n. 20840 del 21/08/2018 Rv. 650423-02), al quale il Collegio intende dare seguito nel caso di specie, secondo il quale: “In tema di “leasing” traslativo, in caso di risoluzione per inadempimento dell’utilizzatore, la clausola penale che attribuisca al concedente, oltre all’intero importo del finanziamento, anche la proprietà e il possesso del bene è manifestamente eccessiva in quanto attribuisce vantaggi maggiori di quelli conseguibili dalla regolare esecuzione del contratto, dovendo il giudice effettuare, ai fini della sua riducibilità ex art. 1384 c.c., una valutazione comparativa tra il vantaggio che detta clausola assicura al contraente adempiente e il margine di guadagno che il medesimo si riprometteva legittimamente di trarre dalla regolare esecuzione del contratto”.

La valutazione della Corte d’appello, sulla non necessità di riduzione dell’ammontare della penale di cui alla clausola contrattuale in oggetto (clausola n. 17) non appare, allo stato, adeguatamente effettuata, stante la sola affermazione della adeguatezza della (sola) detta pattuizione ad assicurare il riequilibrio della posizione dei contraenti.

Nella sua ultima parte il settimo motivo di ricorso afferma l’applicabilità, in luogo dell’art. 1526 c.c., art. 1, commi 136-140, L. n. 124 del 2017, quale parametro di riferimento per il giudizio di disvalore sulla condotta di controparte. La detta prospettazione di parte ricorrente non può essere condivisa, in carenza di una specifica disciplina transitoria dettata dalla L. n. 124 del 2017, con la conseguenza che deve ritenersi che essa è destinata a regolare contratti stipulati successivamente alla sua entrata in vigore (L. 4 agosto 2017, n. 124 “Legge annuale per il mercato e la concorrenza” in G. U. Serie Generale n. 189 del 14/08/2017, entrata in vigore il 29/08/2017). Il tema, peraltro, è stato specificamente affrontato da questa Corte in materia fallimentare, con esiti non univoci (Cass. n. 08980 del 29/03/2019 e Cass. n. 08787 del 29/04/2015).

Il sesto ed il settimo mezzo sono, pertanto, accolti, nei limiti sopra precisati.

L’ottavo mezzo, concernente la regolamentazione delle spese di lite, è assorbito dall’accoglimento dei predetti due.

La sentenza impugnata è cassata in relazione ai detti sesto e settimo motivo, rigettati i restanti, e la causa rinviata alla stessa Corte di Appello di Milano, in diversa composizione, che, nel procedere a nuovo esame dei fatti rilevanti, si atterrà a quanto in questa sede statuito.

Il giudice di rinvio provvederà, altresì, sulle spese di questo giudizio di cassazione.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, deve darsi atto dell’insussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

PQM

accoglie il sesto ed il settimo motivo di ricorso, assorbito l’ottavo; rigetta nel resto;

cassa la sentenza impugnata in relazione ai motivi accolti e rinvia la causa alla Corte di Appello di Milano in diversa composizione, anche per le spese di questo giudizio.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della non sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Corte di Cassazione, Sezione Terza Civile, il 14 novembre 2019.

Depositato in Cancelleria il 5 maggio 2020

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