Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 8467 del 31/03/2017


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Cassazione civile, sez. lav., 31/03/2017, (ud. 11/01/2017, dep.31/03/2017),  n. 8467

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. NOBILE Vittorio – Presidente –

Dott. BALESTRIERI Federico – Consigliere –

Dott. PATTI Adriano Piergiovanni – Consigliere –

Dott. LORITO Matilde – rel. Consigliere –

Dott. AMENDOLA Fabrizio – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 19404-2015 proposto da:

S.M., C.F. (OMISSIS), elettivamente domiciliato in ROMA,

VIA AURELIA 190/A, presso lo studio dell’avvocato MASSIMO FELICI,

rappresentato e difeso dall’avvocato GAETANO FRUSCIONE, giusta

delega in atti;

– ricorrente –

contro

GEAL GROUP S.R.L., C.F. (OMISSIS), legale rappresentante pro tempore,

domiciliata in ROMA, VIA CICERONE 49 studio dell’avvocato GAETANO DI

GIACOMO, che la rappresenta e difende, giusta delega in atti;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 724/2015 della CORTE D’APPELLO di SALERNO,

depositata il 12/06/2015 R.G.N. 203/2015;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

11/01/2017 dal Consigliere Dott. MATILDE LORITO;

udito l’Avvocato FRUSCIONE GAETANO;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

CELESTE Alberto, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Fatto

FATTI DI CAUSA

La Corte d’Appello di Salerno, con sentenza resa pubblica il 12/6/2015 dichiarava inammissibile il ricorso proposto da S.M. nei confronti della Geal Group s.r.l. avverso la sentenza n.58/2015 emessa inter partes dal Tribunale di Nocera Inferiore intesa a conseguire pronuncia di illegittimità del licenziamento intimatogli nel marzo 2014.

Nel pervenire a tale decisione la Corte distrettuale, per quanto in questa sede rileva, osservava che l’impugnativa di recesso oggetto di scrutinio, era stata proposta in data 30/5/2014 ai sensi della L. 28 giugno 2012, n. 92. Deduceva che secondo i dettami art. 1 Legge citata, comma 51 il giudice adito è tenuto a pronunciarsi con provvedimento soggetto ad opposizione innanzi al Tribunale che ha emesso il provvedimento opposto, e non invece direttamente a gravame proponibile innanzi alla Corte d’Appello, la quale può essere investita solo della trattazione di reclamo ai sensi della L. n. 92 del 2012, art. 1, comma 58. Al tal fine, non assumeva rilievo la circostanza che il primo giudice, all’esito della fase sommaria, avesse provveduto con sentenza anzichè con ordinanza come previsto ai sensi dell’art. 1, comma 59 atteso che le pronunce si distinguevano in base alla regola della prevalenza della sostanza sulla forma secondo il cd. principio contenutistico.

Sotto altro versante, il giudice del gravame negava che fosse utilmente invocabile il principio della cd. apparenza, secondo il quale, a temperamento del principio contenutistico, il provvedimento sarebbe impugnabile secondo i mezzi previsti per la forma decisoria utilizzata – a tutela della certezza dei rimedi impugnatori e dell’affidamento delle parti – allorchè la forma adottata dal giudice sia il risultato di una consapevole scelta, ancorchè non esplicitata in motivazione. Nello specifico, non emergeva, nemmeno implicitamente dal provvedimento impugnato ovvero dagli atti del relativo procedimento, alcuna ragione di deviazione dallo schema procedimentale tracciato dalla L. n. 92 del 2012 tale da comportare la pronuncia di una sentenza in luogo di un’ordinanza ai sensi della L. n. 92 del 2012, art. 1, comma 49.

Concludeva quindi nel senso che l’erronea individuazione del giudice legittimato a decidere sull’impugnazione, concernendo la valutazione delle condizioni di proponibilità o ammissibilità del gravame, ridondava in termini di inammissibilità del ricorso.

La cassazione di tale decisione è domandata dal S. sulla base di unico motivo.

Resiste con controricorso la società intimata.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con unico motivo il ricorrente denunda violazione e falsa applicazione degli artt. 131, 132, 133 e 134 c.p.c. in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3.

Deduce che il giudice di prima istanza aveva inteso ab initio, omettere la fase sommaria del giudizio, realizzando una cognizione piena dei fatti di causa, come fatto palese dalla circostanza in base alla quale, all’esito della acquisizione della documentazione, del libero interrogatorio delle parti, della escussione dei testimoni ammessi, della concessione di termine per note, aveva definito la causa con sentenza contestuale di cui dava lettura in udienza.

Nell’ottica descritta, del tutto corretta era da ritenersi l’impugnazione proposta avverso tale provvedimento,. dovendo darsi applicazione al principio affermato da questa Corte, secondo cui, per stabilire se un provvedimento ha natura di sentenza o di ordinanza, occorre aver riguardo non già alla forma esteriore, bensì al contenuto sostanziale del medesimo e cioè all’effetto giuridico che esso è destinato a produrre, trattandosi di sentenza quando il giudice nell’esercizio del suo potere giurisdizionale pronuncia in via definitiva ovvero non definitiva sul merito della controversia o su presupposti e condizioni processuali (art. 279 c.p.c.). Nello specifico il giudicante aveva trattato il giudizio secondo la normativa afferente alla fase della opposizione, che ha natura di procedimento a cognizione piena ed a contenuto decisorio, non basata sui soli atti istruttori indispensabili ad un giudizio probabilistico di sorveglianza, ma su atti istruttori necessari ad un giudizio di piena certezza processuale.

2. Il motivo è fondato.

Va condiviso il principio di diritto invocato dal ricorrente a fondamento della critica formulata – risalente nella giurisprudenza di questa Corte, e che va qui ribadito – secondo cui al fine di stabilire se un provvedimento abbia natura di ordinanza o di sentenza, occorre aver riguardo, non già alla forma adottata, ma al suo contenuto, alla stregua del cosiddetto principio di prevalenza della sostanza sulla forma (vedi ex plurimis, Cass. S.U. 24/02/2005, n. 3816, Cass. 7/4/2006 n.8174, Cass. S.U. 11/12/2007 n. 25837, Cass. 19/12/2014 n. 21217).

Ed infatti secondo i numerosi dicta di questa Corte, ai fini della corretta identificazione del mezzo di impugnazione esperibile contro un provvedimento giurisdizionale, laddove la forma adottata diverga rispetto a quella prescritta dal legislatore, non rivestono rilievo preminente le caratteristiche formali del provvedimento giurisdizionale, bensì il suo contenuto sostanziale, trattandosi di sentenza ogni qualvolta il giudicante nell’esercizio del suo potere giurisdizionale, definisca – come nel caso scrutinato – la controversia con i caratteri della decisività e definitività (cfr. ex plurimis oltre le sentenza già richiamate, più di recente Cass. 6/7/2015 n. 13923, ord.; e da ultimo Cass. 12/7/2016 n. 14222, che evidenzia anche come il provvedimento che abbia natura di sentenza e sia impropriamente denominato “ordinanza” è affetto da errore materiale ma non è nullo quale sentenza, attesi i principi di prevalenza della sostanza sulla forma e la tassatività delle nullità).

3. Orbene la Corte distrettuale, pur muovendo da tale corretto principio, non è pervenuta a conclusioni coerenti con esso laddove ha argomentato che il provvedimento, ai sensi della L. n. 92 del 2012, art. 1, comma 49 era da ritenersi ordinanza emessa all’esito della fase sommaria di cognizione.

L’assunto appare apodittico e non sorretto da adeguata ricognizione dei dati che concorrono a definire il profilo contenutistico del provvedimento scrutinato.

Tale provvedimento, nello specifico, non solo reca la veste formale di sentenza, ma ne possiede anche gli elementi sostanziali qualificativi, decidendo totalmente il merito delle questioni ad essa devolute, all’esito di una cognizione che non si configura come sommaria, e che non consente quindi di conferire ad essa natura di una ordinanza, quale quella L. n. 92 del 2012, ex art. 1, comma 50 pur potenzialmente idonea ad acquistare una stabilità decisoria.

Il primo giudice, nel pervenire alla reiezione delle domande attoree, ha infatti esplicato un’ampia ed articolata motivazione con la quale, dopo aver argomentato in ordine alla intervenuta decadenza del lavoratore dalla impugnazione del licenziamento, è addivenuto anche alla reiezione nel merito della pretesa, procedendo alla analitica disamina delle deposizioni testimoniali raccolte ed interpretate non ai fini della elaborazione di un giudizio probabilistico di verosimiglianza, ma di un giudizio di approfondita ricognizione del materiale probatorio raccolto che si sostanzia in un procedimento a cognizione piena.

La circostanza che, nello specifico, il giudicante abbia inteso rendere una pronuncia avente contenuto decisorio a conclusione di una fase istruttoria a cognizione piena, e non sommaria come prospettato dalla Corte di merito, e, del resto, fatta palese dall’iter procedimentale seguito dal giudice adito il quale, escussi i testimoni addotti, ha concesso alle parti termine per note difensive sino all’udienza di discussione (in coerenza coi dettami di cui alla L. n. 92 del 2012, art. 1, comma 57 che disciplina, per l’appunto, la fase di cognizione piena del cd. rito Fornero).

4. Del resto, il fatto che la fase sommaria e la fase di cognizione piena previste dalla legge citata costituiscano un unico giudizio la cui cognizione è devoluta anche ad un unico magistrato che ha la possibilità di conoscerle entrambe, è dato acquisito dalla giurisprudenza di questa Corte (vedi Cass. 17/2/2015 n. 3136 cui adde Cass. 3/3/2016 n. 4223), e confermato anche dal Giudice delle Leggi che, con ordinanza 20/5/2015 n. 78, dopo avere richiamato la giurisprudenza di legittimità “in termini di diritto vivente”, ha evidenziato come “il fatto che entrambe le fasi di detto unico grado del giudizio possano essere svolte dal medesimo magistrato non confligge con il principio di terzietà del giudice e si rivela, invece, funzionale all’attuazione del principio del giusto processo, per il profilo della sua ragionevole durata”.

Sotto tale aspetto, va rimarcato come la soluzione della questione delibata nei termini descritti, sia coerente con. i principi ispiratori del disegno riformatore di cui alla L. n. 92 del 2012, volto alla riduzione dei tempi necessari alle decisioni sulla legittimità dei licenziamenti; non vulneri il diritto delle parti costituzionalmente protetto, all’esercizio del diritto di difesa, che rinviene tutela a mezzo di una attività istruttoria svolta con cognizione piena e non meramente sommaria; non alteri la distribuzione degli affari fra gli uffici giudiziari, essendo comunque rispettate le regole in tema di competenza per materia e per territorio.

5. Nè i descritti approdi, appaiono in contrasto con il principio della cd. apparenza, pure invocato dalla società controricorrente e richiamato dalla Corte distrettuale a sostegno del decisum, giacchè l’impugnazione della pronuncia, avente veste formale di sentenza, oltre che sostanziale, per quanto sinora detto, non si pone inò discontinuità con il rispetto della procedura del rito cd. Fornero, di guisa che l’impugnazione innanzi alla Corte d’Appello va qualificata quale corretto rimedio avverso la pronuncia emessa in primo grado.

Conclusione questa che appare consona – nella linea di quanto statuito dal giudice delle leggi e nel rispetto del principio della ragionevole durata del processo – alle fattispecie quali quella in esame, in cui attraverso una unificazione delle due fasi del giudizio di primo grado del cd. rito Fornero il giudice sia pervenuto – nel rispetto del diritto del contraddittorio e della difesa delle parti – ad una cognizione piena ed approfondita della intera controversia, definita con pronuncia avente la forma ed il contenuto della sentenza.

6. Alla stregua delle superiori argomentazioni l’impugnata sentenza – ai sensi dell’art. 383 c.p.c., comma 1, – deve essere cassata con rinvio alla Corte d’Appello designata in dispositivo che provvederà allo scrutinio delle questioni devolute attenendosi ai principi summenzionati.

PQM

La Corte accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia, anche per le spese del presente giudizio di cassazione, alla Corte d’Appello di Salerno in diversa composizione.

Così deciso in Roma, il 11 gennaio 2017.

Depositato in Cancelleria il 31 marzo 2017

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