Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 8465 del 27/03/2019

Cassazione civile sez. III, 27/03/2019, (ud. 08/01/2019, dep. 27/03/2019), n.8465

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. AMENDOLA Adelaide – Presidente –

Dott. DI FLORIO Antonella – Consigliere –

Dott. FIECCONI Francesca – Consigliere –

Dott. PORRECA Paolo rel. Consiglie – –

Dott. MOSCARINI Anna – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 25977/2016 proposto da:

B.F., G.M.E., elettivamente domiciliati in

ROMA, VIA CESARE FERRERO DI CAMBIANO 82, presso lo studio

dell’avvocato GREGORIO STANIZZI, rappresentati e difesi

dall’avvocato EDOARDO STEFANO giusta procura speciale a margine del

ricorso;

– ricorrenti –

contro

GU.LU., C.M., GR.GI.;

– intimati –

avverso la sentenza n. 1261/2015 della CORTE D’APPELLO di CATANZARO,

depositata il 19/10/2015;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

08/01/2019 dal Consigliere Dott. PAOLO PORRECA.

Fatto

FATTI DI CAUSA

B.F. ed G.E. convenivano in giudizio Gu.Lu. per ottenerne la condanna al risarcimento dei danni subiti al proprio appartamento e a titolo di anticipato recesso dei conduttori dello stesso, cagionati dalle infiltrazioni provenienti dall’immobile sovrastante del convenuto.

Gu.Lu., resistendo alla pretesa, otteneva la chiamata in causa della curatela del fallimento della (OMISSIS) s.r.l., costruttrice dell’immobile, deducendo che, in tesi, il danno sarebbe stato da imputare alla stessa.

Il tribunale, per quanto qui ancora rileva, accoglieva la domanda nei confronti del convenuto, con obbligo della costruttrice a tenerlo indenne.

La sentenza era in parte riformata dalla corte di appello, che distingueva tra responsabilità custodiale, per le parti in proprietà esclusiva di Gu. e responsabilità per difetti di costruzione, riferiti, a loro volta, sia alle parti comuni che a quelle in dominio singolo, condannando in solido, in correlazione a queste ultime, il convenuto e la terza chiamata, cui riteneva estesa la domanda attorea, e la sola amministrazione fallimentare, rimasta contumace, quanto al resto.

Avverso questa decisione ricorrono per cassazione B.F. ed G.E., articolando undici motivi.

Non hanno svolto difese nè Gu.Lu. nè C.M. e Gr.Gi. intimati quali già soci limitatamente responsabili della (OMISSIS) s.r.l., prima fallita e poi cancellata.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo si prospetta la violazione e falsa applicazione degli artt. 99,100,112,189,345 c.p.c., poichè la corte di appello avrebbe errato nell’omettere di considerare che la domanda di condanna della (OMISSIS) s.r.l., quale responsabile dei danni nei confronti degli attori o in rivalsa, era stata tacitamente rinunciata in sede di precisazione delle conclusioni davanti al giudice di primo grado, per essere riproposta, quindi inammissibilmente, in grado di appello.

Con il secondo motivo si prospetta la violazione e falsa applicazione dell’art. 106 c.p.c., artt. 1669,2051 c.c., poichè la corte di appello avrebbe errato nell’omettere di considerare che, in assenza di domanda degli originari attori, stante l’autonomia del rapporto principale da quello di garanzia in cui si era tradotta la chiamata in causa secondo la stessa qualificazione datane dalla corte territoriale, era preclusa ogni estensione della domanda per il risarcimento dei danni di cui doveva rispondere il proprietario inizialmente convenuto, salvo regresso.

Con il terzo motivo si prospetta la violazione dell’art. 132 c.p.c., art. 118 disp. att. c.p.c., poichè la corte di appello sarebbe incorsa in insanabile contraddizione per un verso affermando che la responsabilità del costruttore non poteva limitare quella del custode, e per altro verso limitando, infine, quest’ultima in relazione alla prima.

Con il quarto motivo si prospetta la violazione e falsa applicazione degli artt. 112,115,116, c.p.c., art. 2697, c.c., poichè la corte di appello, al fine di supportare la conclusione dell’estensione della domanda nei confronti del costruttore, avrebbe errato nel presumere, senza allegazione, senza elementi probatori e senza conoscere alcuna circostanza della relativa vendita, che gli attori avessero acquistato il loro immobile dalla società fallita chiamata.

Con il quinto motivo si prospetta la violazione e falsa applicazione dell’art. 2043 c.c., artt. 115,116 c.p.c., poichè la corte di appello avrebbe errato omettendo di considerare che la circostanza per cui il proprietario responsabile era stato informato delle infiltrazioni e aveva omesso d’intervenire, era stata dedotta in primo e secondo grado e comportava comunque un’alternativa responsabilità a titolo aquiliano generale se non custodiale, sicchè sulla stessa corte aveva anche omesso, sul punto, la pronuncia.

Con il sesto motivo si prospetta la violazione dell’art. 1117 c.c., artt. 115,116 c.p.c., poichè la corte di appello avrebbe omesso di considerare che la canalina di scolo posticcio delle acque meteoriche, provenendo dal terrazzo ad uso esclusivo, era fatto che doveva imporre la responsabilità anche a titolo custodiate.

Con il settimo motivo si prospetta la violazione dell’art. 345 c.p.c., poichè la corte di appello avrebbe errato nella quantificazione del danno da anticipato recesso dei conduttori, atteso che il minor canone risultante dal contratto registrato rispetto ai diversi accordi tra le parti contrattuali, era stato dedotto tardivamente solo in comparsa conclusionale in primo grado, peraltro limitandosi a chiedere l’acquisizione del contratto registrato, per poi farne oggetto di allegazione esclusivamente in appello.

Con l’ottavo motivo si prospetta la violazione e falsa applicazione della L. 9 dicembre 1998, n. 431, art. 13 e degli artt. 2043,2051,1418 c.c., nonchè art. 115 c.p.c., poichè la corte di appello avrebbe errato nell’omettere di considerare che il contratto di locazione era del 2003 e quindi era inapplicabile la norma introdotta dalla L. 30 dicembre 2004, n. 311, art. 1, comma 346, sulla nullità degli accordi contrattuali locativi non registrati, sicchè, tenuto conto dell’indipendenza dei profili tributari da quelli civili, avrebbe dovuto dar rilievo al canone maggiore effettivamente pagato, eventualmente desumendolo dalle altre prove di quello, orali, divenute in tesi decisive in relazione alla discussa nullità contrattuale.

Con il nono motivo si prospetta la violazione dell’art. 132 c.p.c., art. 118 disp. att. c.p.c., poichè la corte di appello avrebbe errato rendendo impossibile seguire l’iter” logico aritmetico sotteso alla somma liquidata, inferiore di 400 Euro rispetto alle singole voci quantificate dallo stesso collegio di merito.

Con il decimo motivo si prospetta la violazione e falsa applicazione dell’art. 88 c.p.c., poichè la corte di appello avrebbe errato nel disporre una segnalazione disciplinare a carico dell’avvocato difensore dei deducenti in relazione al patto dissimulato di maggior canone e alla produzione di una copia contraffatta del contratto registrato, posto che il patrocinante non aveva l’obbligo di verificare le informazioni e l’autenticità degli atti offerti al medesimo dagli assistiti, fermo restando: che già in primo grado, e non solo in appello come addotto dal giudice di quel gravame, era stata fatta presente la circostanza; e che erano stati i contraenti a optare per correggere, a fini “inter partes”, la copia del negozio oggetto di registrazione, tenuto conto del fatto che il patto dissimulato non aveva necessità di forme particolari.

Con l’undicesimo motivo si prospetta la violazione e falsa applicazione dell’art. 91 c.p.c., art. 92 c.p.c., comma 2, poichè la corte di appello avrebbe errato, in conseguenza dei vizi oggetto delle precedenti censure, a riformare la regolazione delle spese effettuata dal tribunale.

2. Preliminarmente va rilevata l’inammissibilità dell’intimazione dei soci limitatamente responsabili della s.r.l. prima fallita e poi cancellata.

Questa Corte (v. di recente la ricostruzione in Cass., 31/01/2017 n. 2444, pag. 4) ha infatti chiarito che ai sensi dell’art. 2495 c.c. (nel testo risultante dopo la riforma del diritto societario, attuata dal D.Lgs. n. 6 del 2003), a seguito dell’estinzione sociale, si determina un fenomeno di tipo successorio, in virtù del quale l’obbligazione della società non si estingue ma si trasferisce ai soci, i quali ne rispondono, nei limiti di quanto riscosso a seguito della liquidazione o illimitatamente, a seconda che, pendente il rapporto sociale, fossero limitatamente o illimitatamente responsabili per i debiti sociali.

Trattandosi nel caso di specie di società di capitali, gli ex soci possono dunque ritenersi subentrati dal lato passivo dell’obbligazione solo se e nei limiti di quanto riscosso a seguito della liquidazione.

L’accertamento di tali circostanze costituisce presupposto dell’assunzione, in capo al socio, della qualità di successore e, correlativamente, della legittimazione ai fini della prosecuzione del processo ai sensi dell’art. 110 c.p.c. (con dimostrazione da ritenersi ammissibile anche, per la prima volta, nel giudizio di cassazione, ai sensi dell’art. 372 c.p.c., in quanto diretta a comprovare, sotto il profilo detto, l’ammissibilità del gravame di legittimità).

Nel ricorso non si deduce la sussistenza dei presupposti per la successione, non allegandosi gli esiti, anche liquidatori residui, della procedura fallimentare.

3. I primi tre motivi, da esaminare congiuntamente per connessione, sono in parte inammissibili, in parte infondati. Con assorbimento del quarto.

La corte territoriale ha statuito:

a) la responsabilità di Gu. ex art. 2051 c.c., quanto ai danni riferibili alla sua proprietà esclusiva, ritenendo, pertanto, lo stesso convenuto a tale titolo;

b) la concorrenza della responsabilità del costruttore ex art. 1669 c.c., per difetti edificatori, con quella del proprietario esclusivo a titolo custodiale, salva, quindi, analoga concorrenza con quella del condominio per le parti in proprietà comune.

Ne consegue che:

i) non vi è alcuna contraddizione della motivazione nella parte in cui afferma la concorrenza sub b) e, al contempo, ne fa derivare l’esclusione della responsabilità di Gu. per i danni accertati come riferibili alle parti in proprietà condivisa (infondatezza del terzo motivo);

ii) non vi è interesse a impugnare, da parte dei deducenti, svolgendo le censure di cui ai primi due motivi (perciò inammissibili), poichè dall’esclusione della responsabilità del costruttore non deriverebbe la responsabilità, neppure a titolo solidale, di Gu. per le parti di proprietà non esclusiva;

iii) resta assorbita, per logica, la questione sottesa alla quarta censura.

4. Il quinto motivo di ricorso è in parte inammissibile in parte infondato.

I ricorrenti, infatti, non hanno allegato e dimostrato nell’atto di gravame (pag. 36 e note 2 e 5 del ricorso, posto che le note 3 e 4 si riferiscono ad atti illustrativi e come tali privi di valenza assertiva) di aver posto la circostanza della colposa inerzia di Gu. a base di una domanda alternativa o subordinata ex art. 2043 c.c..

Altro infatti è prospettare la stessa circostanza, altro è utilizzarla conclusivamente quale “causa petendi” di una domanda, congiunta o gradata rispetto a quella che la corte territoriale ha affermato essere la pretesa formulata e in delibazione.

L’art. 112 c.p.c., richiamato nel corpo della censura, obbliga il giudice a pronunciarsi sulle domande e non sulle “circostanze” (cfr. pag. 35, terzo capoverso, del ricorso).

Ne deriva, sotto tale profilo, il difetto di specificità della censura.

In relazione agli altri richiami normativi della censura va invece ribadito che, in tema di valutazione delle prove, il principio del libero convincimento, posto a fondamento degli invocati artt. 115 e 116 c.p.c., opera sul piano dell’apprezzamento di merito, insindacabile in sede di legittimità, sicchè, in questa chiave, la denuncia della violazione delle predette regole da parte del giudice del merito non configura un vizio di violazione o falsa applicazione di norme processuali, bensì un errore di fatto, che dev’essere censurato attraverso il corretto paradigma normativo del difetto di motivazione, e dunque nei limiti consentiti dall’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 (Cass., 12/10/2017, n. 23940).

Ciò posto, la violazione dell’art. 116, c.p.c., è idonea a integrare il vizio di cui all’art. 360 c.p.c., n. 4, solo quando il giudice di merito disattenda il suddetto principio in assenza di una deroga normativamente prevista, ovvero, all’opposto, valuti secondo prudente apprezzamento una prova o risultanza probatoria soggetta a un diverso regime; mentre la violazione dell’art. 115 c.p.c., può essere dedotta come analogo vizio solo denunciando che il giudice ha dichiarato espressamente di non dover osservare la regola contenuta nella norma, ovvero ha giudicato sulla base di prove non introdotte dalle parti, ma disposte di sua iniziativa fuori dei poteri officiosi riconosciutigli, e non anche che il medesimo, nel valutare le prove proposte dalle parti, ha attribuito maggior forza di convincimento ad alcune piuttosto che ad altre (Cass., 10/06/2016, n. 11892, Cass., Sez. U., 05/08/2016, n. 16598, pag. 33).

Nella descritta cornice risulta evidente che, a tale riguardo, la censura è infondata poichè nulla di quanto sopra emerge dalla ovvero in relazione alla stessa.

5. Il sesto motivo è in parte inammissibile, in parte infondato.

La censura mira a una rilettura istruttoria inammissibile in questa sede di legittimità. Inoltre prospetta un fatto che non dimostra non essere nuovo rispetto a quelli allegati e discussi nelle fasi di merito, con ulteriore profilo d’inammissibilità.

In primo luogo, parte ricorrente rilegge, in particolare, l’accertamento evinto, nella sentenza di appello, dalla consulenza officiosa, in cui si afferma che parte delle infiltrazioni erano da ascriversi a “un elemento di scolo a sezione quadrata in lamiera, che fuoriesce dal terrazzo sovrastante di proprietà del signor Gu.” (pag. 3 della decisione): nella prospettiva della censura si tratterebbe di infiltrazioni “originate dallo scolo del terrazzo ad uso esclusivo” del proprietario. Si tratta, come evidente, di un accertamento differente da quello operato dalla corte territoriale che sul punto ha “riferito” la canalina di scolo “ai beni comuni” (pag. 7 della sentenza).

In secondo luogo, nel ricorso si riportano solo stralci degli atti assertivi delle fasi di merito, come tali rilevanti diversamente da quelli meramente illustrativi secondo quanto già osservato, in cui si discorre genericamente di “scolo del terrazzo”, in citazione di prime cure, e “scolo esclusivo dell’appartamento”, in comparsa di costituzione in appello, senza che emerga in alcun modo se si trattasse di fatto costitutivo della pretesa fatto proprio nelle conclusioni di primo grado e riproposto, dalla parte in quella sede vittoriosa, ex art. 346 c.p.c..

6. Il settimo e l’ottavo motivo, da esaminare congiuntamente per connessione, sono in parte inammissibili, in parte infondati.

L’entità del rateo locatizio rappresenta un fatto costitutivo della pretesa risarcitoria (dei danni da anticipato recesso dei conduttori) e la corte di appello ha rilevato che gli odierni ricorrenti e allora appellati avevano ammesso la riscossione di un canone, di 300 Euro, maggiore di quello dichiarato nel contratto registrato (pag. 9 della decisione). Tale ammissione è peraltro confermata dagli stessi ricorrenti nel corpo della ottava censura (pag. 49 del ricorso). Dal che deriva che non vi è alcuna violazione dell’art. 345 c.p.c., bensì semplicemente l’accertamento della misura del danno sul punto corrispondente alle ammissioni della parte attrice.

Ciò posto, la corte di appello ha escluso potesse integrare un danno la maggior misura pattuita con accordo dissimulatorio del prezzo nullo.

La giurisprudenza di questa Corte ha chiarito che, nella locazione immobiliare ad uso abitativo, la nullità prevista dalla L. n. 431 del 1998, art. 13, comma 1 – applicabile al contratto anche nella prospettiva dei ricorrenti che sottolineano la loro stipula nel 2003 prospettando l’inoperatività della L. n. 311 del 2004, art. 1, comma 346, fatto anch’esso nuovo ma prim’ancora irrilevante – sanziona esclusivamente il patto occulto di maggiorazione del canone, oggetto di procedimento simulatorio, mentre resta valido il contratto registrato rimanendo dovuto il canone apparente, fermo che il patto occulto, in quanto nullo, non è sanato neppure dall’eventuale registrazione tardiva (qui non accertata), fatto extranegoziale inidoneo a influire sulla validità civilistica (Cass., Sez. U., 17/09/2015, n. 18213, e succ. conf.).

I ricorrenti deducono che la conclusione non opererebbe “al di fuori dello stretto rapporto obbligatorio locatizio”, ma, in tal modo:

a) non si misurano con la “ratio decidendi” – che quindi non colgono con cui la corte territoriale ha escluso che “un introito illecito” (pag. 9 della decisione) fosse sussumibile, come tale, quale danno ingiusto;

b) al contempo, e comunque, entrano in frizione con la giurisprudenza

delle Sezioni Unite di questa Corte appena richiamate che (pag. 29 dell’arresto richiamato) hanno supportato la conclusione della nullità del solo patto occulto anche con ragioni storiche e sistematiche rimarcando, sul punto, l’inferenza reciproca tra i profili tributari e quelli civili: è vero che, a fronte della fattispecie che scrutinavano, le Sezioni Unite si sono riferite ai profili negoziali, ma è anche vero che lo hanno fatto attribuendo alla ricostruzione dei rapporti tra regime tributario e civile una valenza generale il cui corollario, necessario per evitare antinomie, non può che essere l’operatività del principio anche in un ambito extranegoziale quale quello qui vagliato.

Dal che deriva l’anticipato rigetto delle prospettazioni contenute nell’ottavo motivo.

7. Il nono motivo, previa riqualificazione in istanza di correzione di errore materiale, va accolto.

I ricorrenti spiegano, infatti, come sia desumibile dalla stessa motivazione della sentenza di appello che il dispositivo contiene un errore aritmetico di somma.

Non è presente quindi un vizio motivazionale bensì una svista correggibile nel senso anticipato.

Sul punto, deve ribadirsi che quando l’errore materiale venga denunciato col ricorso per cassazione fondato anche su altri motivi, esso può essere vagliato dal giudice di legittimità in considerazione dei principi di economia processuale e di ragionevole durata del processo di cui all’art. 111 Cost., comma 2, senza che residui alcuna possibile lesione del diritto di difesa delle controparti, essendosi pienamente dispiegato il contraddittorio una volta notificato il ricorso stesso (Cass., 13/11/2018, n. 29029).

8. Il decimo motivo è manifestamente inammissibile.

Si tratta infatti di prospettazioni rilevanti nella sede disciplinare differente da questa.

9. L’undicesimo motivo è inammissibile prim’ancora che logicamente assorbito, posto che non si allega un errore della sentenza ma si richiede, in tesi, una modifica del regime delle spese processuali conseguente alla differente valutazione delle pretese, sicchè, a ben vedere, non si tratta neppure di un motivo di ricorso in senso proprio.

10. Non deve disporsi sulle spese in assenza di difese degli intimati. Posto quanto indicato sub 7., non sussistono i presupposti di cui al D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, per il versamento, da parte dei ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso.

PQM

La Corte, dichiara inammissibile il ricorso nei confronti di C.M. e Gr.Gi.; quanto al ricorso proposto nei confronti di Gu.Lu., rigetta i motivi dal primo all’ottavo, dichiara inammissibili i motivi decimo e undicesimo; in accoglimento del nono motivo di ricorso per quanto di ragione, dispone la correzione dell’errore materiale della sentenza della Corte di appello di Catanzaro n. 1261 del 2015 nel senso che, al punto 2) del dispositivo, dove si legge “somma di Euro 3.313,00” deve leggersi “somma di Euro 3.713,00”.

Nulla sulle spese.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, la Corte dà atto della non sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso.

Così deciso in Roma, il 8 gennaio 2019.

Depositato in Cancelleria il 27 marzo 2019

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