Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 8465 del 25/03/2021

Cassazione civile sez. VI, 25/03/2021, (ud. 11/02/2021, dep. 25/03/2021), n.8465

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE L

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DORONZO Adriana – rel. Presidente –

Dott. LEONE Margherita Maria – Consigliere –

Dott. PONTERIO Carla – Consigliere –

Dott. MARCHESE Gabriella – Consigliere –

Dott. DE FELICE Alfonsina – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 23886-2018 proposto da:

P.C., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA BREGNANO

9, presso lo studio dell’avvocato CINZIA PIETROLUCCI, rappresentata

e difesa dall’avvocato NARCISO RICOTTA;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’ISTRUZIONE, DELL’UNIVERSITA’ E DELLA RICERCA, in

persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente

domiciliato in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso AVVOCATURA

GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende, ope legis;

– resistente –

contro

MINISTERO DELL’ISTRUZIONE, DELL’UNIVERSITA’ E DELLA RICERCA – UFFICIO

SCOLASTICO REGIONALE DEL LAZIO – UFFICIO (OMISSIS);

– intimato –

avverso la sentenza n. 515/2018 della CORTE D’APPELLO di ROMA,

depositata il 14/02/2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata dell’11/02/2021 dal Consigliere Relatore Dott. ADRIANA

DORONZO.

 

Fatto

RILEVATO

Che:

con sentenza pubblicata in 14/2/2018, la Corte d’appello di Roma ha accolto l’appello proposto dal Ministero della Istruzione, Università e Ricerca, nonchè dall’USR per il Lazio e, per l’effetto, in riforma della sentenza resa dal Tribunale di Roma tra l’appellante e P.C., ha rigettato la domanda proposta dalla P., avente ad oggetto la conversione dei contratti a tempo determinato in un unico contratto a tempo indeterminato o, in via subordinata, il risarcimento del danno da illegittima reiterazione di contratti a termine intercorsi inter partes, nonchè la condanna dell’amministrazione al pagamento degli scatti biennali di anzianità previsti dal L. n. 312 del 1980, art. 53, comma 3.

A fondamento del decisum la Corte territoriale ha ritenuto che la intervenuta stabilizzazione del rapporto di lavoro tra le parti aveva di fatto cancellato il danno da illecita reiterazione dei contratti a tempo determinato, avendo la ricorrente ottenuto il bene della vita per il quale ha agito in giudizio; ha rigettato altresì la domanda volta ad ottenere gli scatti biennali di anzianità previsti dalla L. n. 312 del 1980, art. 53, comma 3, dal momento che esse erano stati aboliti e persistevano solo per gli insegnanti di religione.

Contro la sentenza la P. ha proposto ricorso per cassazione sulla base di quattro motivi, illustrati da successiva memoria; il MIUR ha depositato procura al solo fine di partecipare alle eventuale discussione orale della causa.

Diritto

CONSIDERATO

che:

1. i primi tre motivi sono tutti formulati sub speciae dell’omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5;

1.1. con il primo, si assume che la Corte di appello non avrebbe esaminato la questione della tempestività del deposito del ricorso in appello del MIUR, nonostante la illeggibilità della data di deposito e della nota di iscrizione a ruolo;

1.2. con il secondo motivo, si assume che la corte d’appello non avrebbe esaminato l’eccezione di inammissibilità dell’impugnazione per il mancato rispetto delle prescrizioni previste negli artt. 342434 c.p.c.;

1.3. con il terzo, si assume che la Corte d’appello non avrebbe considerato l’acquiescenza tacita prestata dall’amministrazione alla sentenza con il pagamento spontaneo delle somme come riconosciuta dal tribunale, incompatibile con la volontà di impugnare;

1.4. Con il quarto, proposto ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3, si censura la sentenza nella parte in cui ha ritenuto che la stabilizzazione ha cancellato l’illecito commesso dall’amministrazione attraverso la reiterazione dei contratti di lavoro a tempo determinato; precisa che l’immissione nei ruoli è avvenuto non attraverso il piano di assunzioni straordinario varato dalla L. n. 107 del 2015, bensì in forza di 1 ricalcolo dei posti della Legge Letta.

2. I primi due motivi sono inammissibili. Pur a voler prescindere dall’erroneo riferimento all’ipotesi di cui all’art. 360 c.p.c., n. 5, e a voler ricondurre i vizi nell’ipotesi più appropriata, costituita dall’art. 360 c.p.c., n. 4 (in tal senso, Cass. 7/11/2017, n. 26310), essi sono del tutto privi di autosufficienza.

La parte non trascrive nè produce nè infine indica l’attuale collocazione del ricorso in appello del MIUR sicchè non è possibile esaminare sia la questione relativa alla sua tempestività sia la sua redazione nel rispetto delle prescrizioni di cui agli artt. 342 e 434 c.p.c.. In particolare, il ricorrente ha omesso di indicare gli elementi necessari per una verifica della correttezza della decisione della corte territoriale, limitandosi ad una generica quanto vaga denuncia di “non intelligibilità della data del deposito della nota di iscrizione a ruolo”; l’omessa trascrizione del ricorso in appello impedisce altresì di valutarne la difformità dallo schema legale.

Un tale onere di specificità si imponeva alla luce dell’accertamento fattuale compiuto dalla Corte territoriale che ha espressamente ritenuto tempestivo il ricorso (sentenza pubblicata in data 16/12/2014, appello depositato in data 28/5/2015, entro il termine previsto dall’art. 327 c.p.c.), e specifici i motivi di impugnazione, idonei ad evidenziare le critiche mosse alla sentenza.

Al riguardo va richiamato il principio consolidato di questa Corte in forza del quale “in tema di ricorso per cassazione, l’esercizio del potere di esame diretto degli atti del giudizio di merito, riconosciuto alla S.C. ove sia denunciato un “error in procedendo”, presuppone l’ammissibilità del motivo, ossia che la parte riporti in ricorso, nel rispetto del principio di autosufficienza, gli elementi ed i riferimenti che consentono di individuare, nei suoi termini esatti e non genericamente, il vizio suddetto, così da consentire alla Corte di effettuare il controllo sul corretto svolgimento dell'”iter” processuale senza compiere generali verifiche degli atti.” (Cass. 25/09/2019, n. 23834).

3. Anche il terzo motivo è inammissibile, in difetto di trascrizione e produzione in giudizio degli atti di pagamento compiuti dal MIUR, dai quali dovrebbe evincersi la volontà solutoria incompatibile con quella di impugnare.

4. Il quarto motivo è inammissibile ai sensi dell’art. 380 bis c.p.c., avendo la Corte territoriale deciso la questione in modo conforme alla giurisprudenza consolidata di questa Corte e i motivi di ricorso non inducono ad un ripensamento nè sollecitano una nuova rimessione della questione alla Corte di giustizia Europea o un nuovo incidente di legittimità costituzionale alla Corte costituzionale.

4.1. Questa Corte, con sentenza pubblicata in data 12/2/2020, n. 3474 (cui adde, da ultimo, Cass. 9/3/2020, n. 6641), nel rigettare la domanda risarcitoria proposta dai lavoratori, ha richiamato i principi già enunciati nelle sentenze n. 22553/2016 e n. 22556/2016, nonchè nella sentenza n. 27563/2016 qui integralmente condivisi e ai quali si rinvia anche ai sensi dell’art. 132 c.p.c. e art. 118 disp. att. c.p.c..

L’elemento di novità di questa sentenza sta nel fatto che si sono riesaminati i riflessi sul quadro normativo e giurisprudenziale della sentenza della Corte di Giustizia dell’8 maggio 2019, nella Causa C494/17 – Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca – MIUR contro Fabio Rossato e Conservatorio di Musica F.A. Bonporti (anche Rossato, di seguito), ritenendo che essi non conducono ad una diversa soluzione rispetto ai precedenti citati.

4.2. – Nella sentenza citata, la Corte di giustizia ha così statuito “La clausola 5, punto 1, dell’accordo quadro sul lavoro a tempo determinato, concluso il 18 marzo 1999, allegato alla Dir. del Consiglio 28 giugno 1999, n. 1999/70/CE, relativa all’accordo quadro CES, UNICE e CEEP sul lavoro a tempo determinato, deve essere interpretata nel senso che essa non osta ad una normativa nazionale che, così come applicata dagli organi giurisdizionali supremi, esclude – per docenti del settore pubblico che hanno beneficiato della trasformazione del loro rapporto di lavoro a tempo determinato in un rapporto di lavoro a tempo indeterminato con un effetto retroattivo limitato – qualsiasi diritto al risarcimento pecuniario in ragione dell’utilizzo abusivo di una successione di contratti a tempo determinato, allorchè una siffatta trasformazione non è nè incerta, nè imprevedibile, nè aleatoria e la limitazione del riconoscimento dell’anzianità maturata in forza della suddetta successione di contratti di lavoro a tempo determinato costituisce una misura proporzionata per sanzionare tale abuso, circostanze che spetta al giudice del rinvio verificare”.

4.3.- Nel pervenire alla sua decisione, la Corte di Giustizia non ha mancato di rilevare il diverso contesto normativo esistente all’epoca della sentenza Mascolo (Mascolo e a., C- 22/2013, da C-61/13 a C63/13 e C-418/13, nonchè delle sentenze Santoro, C-494/16, Sciotto C- 331/2017, Fiammingo e a, C-362/13, C-363/13 e C-407/13), sottolineando (p. 30), che, nel contesto anteriore alla L. 13 luglio 2015, n. 107, la normativa nazionale non conteneva alcuna sanzione di carattere sufficientemente energico e dissuasivo idoneo a garantire la piena efficacia delle norme adottate in applicazione dell’accordo quadro (p. 31).

4.4. Per contro, nell’attuale assetto normativo: “il legislatore nazionale, al fine di garantire la transizione verso un nuovo sistema comportante misure destinate a prevenire e a sanzionare il ricorso abusivo a contratti di lavoro a tempo determinato, ha adottato un piano straordinario di assunzioni che prevede la trasformazione, nel corso dell’anno scolastico 2015/2016, di tutti i rapporti di lavoro a tempo determinato con docenti “precari”, attraverso il progressivo e definitivo esaurimento delle graduatorie e degli elenchi dai quali l’amministrazione attingeva per l’assunzione di docenti a tempo determinato”; accanto a questo piano straordinario di sono stati cui, “in parallelo, e fino al loro esaurimento, i procedimenti di immissione in ruolo in corso per i docenti che si trovavano già inseriti in cima alle graduatorie….La L. n. 107 del 2015, art. 1, comma 95, prevede, a tal riguardo, che il piano straordinario di assunzioni è attuato per la copertura di tutti i posti (…) rimasti vacanti e disponibili all’esito delle operazioni di immissione in ruolo effettuate per il medesimo anno scolastico ai sensi del (D.Lgs. n. 297 del 1994), art. 399, vale a dire le immissioni in ruolo sulla base dell’avanzamento nella graduatoria permanente”.

4.5.- La Corte di Giustizia ha quindi affermato (p. 34-36) che “contrariamente alla situazione dei docenti di cui trattavasi nella causa decisa con la suddetta sentenza” (Mascolo, ndr) nel caso “Rossato”, sottoposto al suo giudizio, “da trasformazione del rapporto di lavoro non era incerta e non aveva carattere imprevedibile e aleatorio, dato che era stata resa obbligatoria dalla L. n. 107 del 2015”. La Corte di Giustizia, con riguardo all’assenza di risarcimento nel caso di trasformazione del rapporto di lavoro, ha ribadito (punto 38) che gli Stati membri dispongono di un ampio margine di discrezionalità nella scelta delle misure atte a realizzare gli obiettivi della loro politica sociale e che (p. 39) “come emerge dalla clausola 5, punto 2, dell’accordo quadro, gli Stati membri hanno la facoltà, nell’ambito delle misure volte a prevenire il ricorso abusivo a una successione di contratti di lavoro a tempo determinato, di trasformare i rapporti di lavoro a tempo determinato in rapporti di lavoro a tempo indeterminato, dato che la stabilità dell’impiego derivante da questi ultimi costituisce l’elemento portante della tutela dei lavoratori”.

4.6.- Essa ha anche ricordato (p. 40) che “una normativa recante una norma imperativa ai sensi della quale, in caso di ricorso abusivo a contratti di lavoro a tempo determinato, questi ultimi sono trasformati in un rapporto di lavoro a tempo indeterminato, è tale da costituire una misura che sanziona in modo efficace un abuso di questo tipo e, quindi, da soddisfare i criteri ricordati ai punti 27 e 28 della presente sentenza”. Inoltre, in linea di continuità con la sua giurisprudenza, ha ribadito (punto 41) che “La giurisprudenza non richiede, tuttavia, un cumulo di misure” e che (p. 42) “nè il principio del risarcimento integrale del danno subito nè il principio di proporzionalità impongono il versamento di danni punitivi. Tanto sul rilievo (p. 43) che “tali principi impongono agli Stati membri di prevedere un’adeguata riparazione, che deve andare oltre il risarcimento puramente simbolico, senza tuttavia oltrepassare la compensazione integrale”.

4.7.- Ha, quindi, concluso che (p.45) “l’accordo quadro non impone agli Stati membri di prevedere, in caso di ricorso abusivo a contratti di lavoro a tempo determinato, un diritto al risarcimento del danno che si aggiunga alla trasformazione del rapporto di lavoro a tempo determinato in un rapporto di lavoro a tempo indeterminato”.

4.8.- I principi enunciati dalla Corte di Giustizia nella sentenza Rossato consentono di risolvere la controversia in esame, giacchè essi confermano e non smentiscono gli approdi giurisprudenziali di questa Corte (punto 84 della sentenza di questa Corte n. 22552 del 2016) secondo cui l’immissione in ruolo scelta dal legislatore italiano del 2015 rappresenta una delle misure alternative, idonee a sanzionare e a cancellare l’illecito comunitario, individuate dalla Corte di Giustizia, che si è compendiato nella indebita reiterazione da parte della P.A. datrice di lavoro di contratti a tempo determinato.

4.9.- Nella sentenza di questa Corte n. 22552 del 2016 (pp. nn. 81 e 82) è stato precisato che la strada satisfattiva della immissione in ruolo con previsione rigorosa dei tempi, costituisce ad un tempo una sanzione e, dal punto di vista del beneficiario, una riparazioni “in linea di principio la più ragionevole e soddisfacente tanto per lo Stato che vede assicurata la indispensabile provvista di docenti stabili – quanto per il richiedente, in quanto gli attribuisce il bene della vita, la cui certezza di acquisizione era stata lesa dalla condotta inadempiente realizzata dalla Amministrazione”, ed è stato considerato (p. n. 83) che la stabilizzazione è “ben più satisfattiva di quella per equivalente che sarebbe spettata al personale scolastico assunto con una serie ripetuta e non consentita di contratti a termine sulla scorta del “diritto vivente” costituito dai principi affermati dalle SSUU di questa Corte nella sentenza n. 5072/2016…” ed ai quali la sentenza n. 22552/2016 ha dato continuità.

4.10. – Deve, pertanto, essere pure ribadito il principio secondo cui anche l’immissione in ruolo effettuata sulla base del sistema di avanzamento reso possibile dalle previgenti regole sul reclutamento rispetta i principi di equivalenza ed effettività (p. n. 85 della sentenza n. 22552 del 2016) poichè “il soggetto leso dall’abusivo ricorso ai contratti a termine ha, comunque, ottenuto, per il (tardivo, imprevedibile nè atteso) funzionamento del sistema di reiterate assunzioni, il medesimo “bene della vita” per il riconoscimento del quale ha agito in giudizio: ed in tal guisa l’abuso perpetrato e l’illecito commessi sono stati, rispettivamente, oggettivamente represso e tendenzialmente riparato”.

5. Applicando questi principi al caso in esame, il ricorso non può essere accolto. Risulta infatti dalla sentenza impugnata che il ricorrente, benchè assunto in virtù di ripetuti contratti a tempo determinato, è stato immesso nei ruoli e ciò consente di escludere il danno derivante dalla precarizzazione del rapporto.

Nè risulta dagli atti del giudizio che la parte ricorrente abbia, nell’originaria domanda, allegato l’esistenza di danni ulteriori e diversi rispetto a quelli “risarciti” dalla immissione in ruolo, la cui prova grava sul lavoratore e che comunque non potrebbero identificarsi con quelli “da mancata conversione e quindi da perdita del posto di lavoro”, secondo quanto affermato nella predetta decisione delle SS.UU. n. 5072 del 2016.

5. La complessità della questione giuridica, risolta sulla base della pronuncia della Corte di Giustizia intervenuta in corso di causa, giustifica la integrale compensazione delle spese dell’intero processo. La parte ricorrente deve essere condannata al versamento dell’ulteriore importo pari al contributo unificato versato.

PQM

La Corte dichiara inammissibile il ricorso e compensa le spese.

Ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater, del D.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 11 febbraio 2021.

Depositato in Cancelleria il 25 marzo 2021

 

 

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