Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 8465 del 05/05/2020

Cassazione civile sez. III, 05/05/2020, (ud. 18/09/2019, dep. 05/05/2020), n.8465

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. VIVALDI Roberta – Presidente –

Dott. SESTINI Danilo – Consigliere –

Dott. FIECCONI Francesca – Consigliere –

Dott. GIANNITI Pasquale – Consigliere –

Dott. POSITANO Gabriele – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 21708/2018 proposto da:

S.G., nella qualità di titolare e legale rappresentante

dell’omonima impresa di costruzioni, elettivamente domiciliata in

ROMA, LARGO DEI COLLI ALBANI, 23, presso lo studio dell’avvocato

VINCENZO ROCCO ALECCI, rappresentata e difesa dall’avvocato CARMELO

MACRI’;

– ricorrente –

contro

COMUNITA’ MONTANA ASPROMONTE ORIENTALE BOVALINO;

– intimata –

avverso la sentenza n. 151/2018 della CORTE D’APPELLO di REGGIO

CALABRIA, depositata il 14/03/2018;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

18/09/2019 dal Consigliere Dott. GABRIELE POSITANO.

Fatto

RILEVATO

che:

con atto di citazione del 12 gennaio 2012, S.G., legale rappresentante dell’omonima impresa di costruzioni, evocava in giudizio, davanti al Tribunale di Locri, la Comunità Montana Aspromonte esponendo che, a seguito di una gara pubblica d’appalto esperita il 25 novembre 1986 era divenuto aggiudicatario dei lavori di realizzazione di una strada, consegnando le opere il 5 maggio 1989, nei termini. Aggiungeva che durante l’esecuzione dei lavori era stato necessario eseguire uno strato di fondazione non previsto nel contratto e il profilo dell’indispensabilità dell’opera sarebbe stato verificato in sede di collaudo, l’8 settembre 1990. Ciò premesso, richiedeva il pagamento dei maggiori lavori eseguiti a titolo di indebito arricchimento, per complessivi Euro 37.580. La Comunità Montana Aspromonte restava contumace e il Tribunale, con sentenza del 28 febbraio 2014, accoglieva la domanda condannando la comunità al pagamento della somma di Euro 85.636;

avverso tale decisione la Comunità Montana Aspromonte proponeva appello con atto notificato il 28 aprile 2014, lamentando l’insufficienza della motivazione e il contrasto della stessa con la L. n. 2248 del 1865, art. 342, che non consentiva all’appaltatore di introdurre variazioni al lavoro assunto. Inoltre, ai sensi del R.D. n. 350 del 1895, art. 103, sarebbe stato necessario un ordine scritto con la indicazione degli estremi della specifica approvazione dei lavori. Si costituiva in giudizio S.G. chiedendo il rigetto dell’impugnazione e rilevando che la direzione dei lavori, rispetto alla richiesta dell’impresa di eseguire maggiori opere indispensabili, non aveva frapposto alcun diniego e il collaudatore aveva riconosciuto i maggiori lavori eseguiti come indispensabili;

con sentenza del 14 marzo 2018 la Corte d’Appello di Reggio Calabria, in accoglimento dell’appello, rigettava la domanda proposta da S.G. provvedendo sulle spese. La Corte territoriale inquadrava l’azione proposta nel disposto dell’art. 2041 c.c.. Pur non essendo più necessario il riconoscimento dell’utilità, la pubblica amministrazione, per evitare la condanna, avrebbe dovuto provare di non essere stata consapevole dell’arricchimento. Nel caso di specie sussisterebbe l’ipotesi di cd arricchimento imposto poichè la Comunità Montana Aspromonte non era stata messa nelle condizioni di rifiutare o meno l’arricchimento;

avverso tale decisione propone ricorso per cassazione S.G. affidandosi a tre motivi. La parte intimata non svolge attività processuale in questa sede.

Diritto

CONSIDERATO

che:

con il primo motivo si deduce la violazione del R.D. n. 350 del 1895, art. 103, art. 112 c.p.c. e l’omesso esame di un fatto decisivo, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5. La L. n. 2248 del 1865, art. 342, all. F, non consente all’appaltatore di introdurre addizioni di sorta al lavoro assunto e tale divieto è ribadito anche dal R.D. citato; a tale principio è possibile derogare nell’ipotesi in cui ricorrano alcune condizioni: quando i lavori siano stati oggetto di riserva da parte dell’impresa, siano qualificati come indispensabili in sede di collaudo e siano riconosciuti come tali anche dall’amministrazione committente, comportando un costo aggiuntivo che si collochi all’interno dei limiti delle spese approvate. Il giudice di appello non avrebbe verificato la sussistenza di tali eccezioni al divieto, mentre dalla documentazione in atti emergerebbe che l’opera eseguita presentava proprio quelle caratteristiche. La sentenza impugnata, inoltre, erroneamente avrebbe disatteso le conclusioni del consulente di ufficio, secondo cui il direttore dei lavori avrebbe implicitamente avallato i maggiori lavori eseguiti. Secondo la Corte, al contrario, si tratterebbe di una mera congettura del professionista. L’affermazione sarebbe errata, poichè i giudici di appello non avrebbero valutato una serie di elementi fattuali riguardanti le caratteristiche del manufatto eseguito, omettendo di pronunziarsi, sia su un fatto decisivo per il giudizio, sia su una specifica domanda formulata dall’attore;

il motivo è inammissibile perchè la questione prospettata non è oggetto di alcuna argomentazione da parte della Corte territoriale che si disinteressa della tematica. Opera il principio giurisprudenziale secondo cui, nel ricorso per cassazione, quando la parte introduca una questione nuova che richieda specifiche indagini in fatto è necessario che alleghi di avere sottoposto la questione al giudice di appello, individuando la fase processuale nella quale tali questioni sarebbero state sottoposte al suo esame. Al contrario, la questione è dedotta in violazione l’art. 366 c.p.c., n. 6;

quanto alle valutazioni espresse dal consulente, occorre premettere che la deduzione presa in esame dalla Corte non è una considerazione di natura tecnica (per la quale l’apporto del professionista appare indispensabile), ma giuridica e la censura si traduce in una inammissibile richiesta di una nuova valutazione da parte della Corte di legittimità dell’intero materiale probatorio, al fine di verificare la correttezza delle deduzioni del consulente le quali, peraltro, non sono trascritte o allegate al fine di consentire a questa Corte di operare una qualsiasi forma di valutazione sulla congruità delle argomentazioni del giudice di appello. Infine, la censura – apparentemente riferita alla violazione di legge o all’omessa considerazione di un fatto storico – in realtà tende a censurare un’omessa pronunzia su una “specifica domanda posta dall’attore”, così ponendosi al di fuori del perimetro previsto dal nuovo testo dell’art. 360 c.p.c., n. 5. Si traduce, di fatto, in una doglianza per la mancata considerazione di una questione di diritto, che la parte neppure allega di avere sottoposto preventivamente alla Corte territoriale;

con il secondo motivo si lamenta la violazione dell’art. 115 c.p.c., ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3. La comunità montana non avrebbe contestato i fatti posti a fondamento della domanda non avendo eccepito l’insussistenza dei presupposti di operatività del citato art. 103;

il motivo è infondato, poichè la parte censura la violazione del principio di non contestazione ex art. 115 c.p.c., riferendola ad una fattispecie che, invece, si riferisce alla presunta mancata deduzione in ordine ad una questione giuridica, rispetto alla quale la parte non ha la disponibilità del diritto. Il rilievo, infatti, non riguarda la non contestazione di un fatto principale o secondario, ma la presunta assenza di rilievi riguardo alla ricostruzione di un istituto giuridico e cioè la mancata formulazione di eccezioni rispetto alla disciplina dettata dal R.D. n. 350 del 1895, art. 103. La questione, quindi, si pone al di fuori del principio di non contestazione codificato dal nuovo testo dell’art. 115 c.p.c.;

con il terzo motivo si deduce la violazione degli artt. 112 e 345 c.p.c.. Secondo la Corte territoriale la responsabilità dell’amministrazione rispetto all’azione di arricchimento senza causa può essere evitata solo se la PA dimostra “di non aver voluto o di non essere stata consapevole” dell’oggettivo arricchimento o depauperamento. In sostanza, la Comunità avrebbe dovuto dimostrare il rifiuto dell’arricchimento oppure, come nel caso di specie, l’impossibilità di apprezzare l’opera e esprimere un rifiuto consapevole, ricorrendo l’ipotesi del cd arricchimento imposto. Nel valutare tale profilo la Corte territoriale non avrebbe tenuto in considerazione che la Comunità Montana Aspromonte era stata contumace nel giudizio di primo grado, non formulando alcuna eccezione o contestazione. Pertanto, costituendosi tardivamente avrebbe accettato il giudizio nello stato in cui si trovava con il maturare delle preclusioni relative alle eccezioni che avrebbe dovuto, al contrario, formulare tempestivamente. Trattandosi di eccezioni in senso stretto, non rilevabili d’ufficio dal giudice, la Corte non avrebbe potuto ritenere dimostrata l’ipotesi di “impossibilità del rifiuto per sua inconsapevolezza”;

il motivo è infondato, poichè le deduzioni relative alla concreta possibilità di accettare o rifiutare i lavori costituiscono una mera difesa della Comunità montana, fondata sulla documentazione prodotta dalla stessa parte attrice e indicata dalla Corte d’Appello a pagina 5 (si tratta di documentazione esibita dall’attrice). Nel caso di specie la prova della “impossibilità di opporre un rifiuto consapevole” si rinviene dalla documentazione in atti e costituisce oggetto di una mera difesa, in quanto tale non assoggettata alle decadenze proprie dell’eccezione in senso stretto;

ne consegue che il ricorso deve essere rigettato. Nulla per le spese poichè la parte intimata non ha svolto attività processuale in questa sede. Infine, va dato atto – mancando ogni discrezionalità al riguardo (tra le prime: Cass. 14/03/2014, n. 5955; tra molte altre: Cass. Sez. U. 27/11/2015, n. 24245) della sussistenza dei presupposti per l’applicazione del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, inserito dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, in tema di contributo unificato per i gradi o i giudizi di impugnazione e per il caso di reiezione integrale, in rito o nel merito.

PQM

Rigetta il ricorso e nulla per le spese.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Terza della Corte Suprema di Cassazione, il 18 settembre 2019.

Depositato in Cancelleria il 5 maggio 2020

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