Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 8464 del 13/04/2011

Cassazione civile sez. lav., 13/04/2011, (ud. 29/03/2011, dep. 13/04/2011), n.8464

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MIANI CANEVARI Fabrizio – Presidente –

Dott. BANDINI Gianfranco – rel. Consigliere –

Dott. ZAPPIA Pietro – Consigliere –

Dott. FILABOZZI Antonio – Consigliere –

Dott. TRIA Lucia – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 19596/2007 proposto da:

N.A., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA TEODORO

MONTICELLI 12, presso lo studio dell’avvocato PILEGGI ANTONIO, che lo

rappresenta e difende, giusta delega in atti;

– ricorrente –

contro

CASSA NAZIANALE DI PREVIDENZA E ASSISTENZA DEI DOTTORI

COMMERCIALISTI, in persona del legale rappresentante prò tempore,

elettivamente domiciliata in ROMA, VIA TOSCANA 10, presso lo studio

dell’avvocato RIZZO ANTONIO, che la rappresenta e difende unitamente

all’avvocato MANIGLIO PEZZOTTI ALESSANDRA, giusta delega in atti;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 34 0/2 007 della CORTE D’APPELLO di GENOVA,

depositata il 03/04/2007 r.g.n. 665/06;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

29/03/2011 dal Consigliere Dott. GIANFRANCO BANDINI;

udito l’Avvocato PILEGGI ANTONIO;

udito l’Avvocato MANIGLIO PEZZOTTI ALESSANDRA;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

BASILE Tommaso, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Il Tribunale di Genova respinse il ricorso proposto da N. A. contro la Cassa Nazionale di Assistenza e Previdenza dei Dottori Commercialisti (qui di seguito, per brevità, indicata anche come Cassa) con il quale era stato richiesto accertarsi che il D.L. n. 269 del 2003, art. 33, convertito in L. n. 326 del 2003 (ed concordato fiscale) era applicabile nei confronti della Cassa laddove era previsto che “Sul reddito che eccede quello minimo determinato secondo le modalità di cui al comma 4 non sono dovuti contributi previdenziali per la parte eccedente il minimale reddituale”, e, conseguentemente, dichiararsi che, per l’anno 2003, la Cassa non aveva diritto a pretendere il versamento di contributi sul maggior reddito rispetto a quello concordato con il Fisco ai sensi del ridetto art. 33. La Corte d’Appello di Genova, con sentenza del 9.3 – 12.4.2007, pronunciando sull’impugnazione principale proposta dal N. e su quella incidentale svolta dalla Cassa, accolse quest’ultima e dichiarò l’inammissibilità del ricorso di primo grado per difetto dell’interesse ad agire, essendo stata l’azione di accertamento proposta “…in assenza di qualsiasi richiesta di pagamento da parte della Cassa di Previdenza ed Assistenza, avendo provveduto ad inviare al suddetto Ente la dichiarazione contenente l’indicazione dell’ammontare del proprio reddito annuale (che nel caso corrisponde a quello “concordato”) ed avendo egli stesso determinato l’ammontare delle somme che riteneva dovute, ai sensi della L. n. 21 del 1986, art. 17, che prevede il meccanismo di autoliquidazione delle imposte, salva la possibilità di verifica da parte della Cassa circa la correttezza della dichiarazione e del conseguente versamento”. Avverso l’anzidetta sentenza della Corte territoriale N.A. ha proposto ricorso per cassazione fondato su un motivo e illustrato con memoria.

L’intimata Cassa Nazionale di Assistenza e Previdenza dei Dottori Commercialisti ha resistito con controricorso, illustrato con memoria, con la quale ha altresì eccepito il passaggio in giudicato della sentenza impugnata nella parte in cui, dichiarata l’inammissibilità del ricorso, ha confermato per il resto la pronuncia di prime cure, senza che sul punto il ricorrente abbia svolto doglianza alcuna.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. Con l’unico motivo il ricorrente denuncia violazione dell’art. 100 c.p.c., e art. 24 Cost., nonchè vizio di motivazione, assumendo la sussistenza nella fattispecie del proprio interesse ad agire, stante la sussistenza di uno stato di incertezza oggettiva sull’esatta portata dei diritti e degli obblighi scaturenti dal rapporto giuridico contributivo dedotto in giudizio, derivante dal contrario orientamento espresso, sia giudizialmente che stragiudizialmente, dalla Cassa e dovendo ritenersi irrilevante che quest’ultima non avesse ancora richiesto il pagamento dei residui contributi sul reddito effettivo.

2. Dev’essere preliminarmente esaminata – siccome inerente a questione rilevabile anche d’ufficio – l’eccezione di giudicato interno sollevata dalla controricorrente con la memoria illustrativa.

Osserva il Collegio che il dispositivo della sentenza va letto in relazione alla motivazione e, così facendo, resta chiarito, per quanto testualmente ivi espresso, che la conferma della pronuncia di primo grado venne confermata “unicamente in punto spese – che sono state compensate – ravvisandosene giusti motivi. Nessun giudicato interno si è dunque formato sul merito della controversia, non esaminato per la ritenuta assorbente inammissibilità del ricorso introduttivo e, conseguentemente, nient’affatto confermato (com’è del resto ovvio) dalla decisione resa in grado d’appello.

3. Secondo il condiviso orientamento di questa Corte l’interesse ad agire è un requisito della domanda consistente nell’esigenza di ottenere un risultato utile giuridicamente apprezzabile e non conseguibile senza l’intervento del giudice e, nelle azioni di mero accertamento, presuppone uno stato di incertezza oggettiva in ordine alla sussistenza di un diritto, senza che sia però necessaria la sua attuale lesione, e ciò quand’anche la contestazione al riguardo risulti a seguito della proposizione del giudizio (cfr, ex plurimis, Cass., SU, n. 565/2000; Cass., nn. 6046/2000; 17026/2006).

Nel caso che ne occupa l’incertezza oggettiva sulla situazione giuridica dedotta in giudizio emerge sia dalla posizione assunta in sede stragiudiziale dalla Cassa, manifestatasi, secondo quanto già accertato dal primo Giudice e richiamato espressamente in ricorso, dall’adozione di comunicati sul concordato preventivo che avevano avuto la chiara finalità di orientare la condotta degli iscritti e che avevano avuto la propria ricaduta operativa in sede di istruzioni per la compilazione dei modelli dichiarativi, con particolare riferimento al comunicato del 27 luglio 2004, sia, in sede giudiziale, dalle contrapposte tesi delle parti, avendo in particolare la Cassa, come dalla medesima allegato nel controricorso, chiesto il rigetto delle domande formulate ex adverso, riservandosi ogni iniziativa per il recupero dei contributi non versati dal ricorrente alla luce delle “chiare disposizioni” fornite ai propri iscritti e deducendo che la diversa interpretazione del D.L. n. 269 del 2003, art. 33, avrebbe portato ad un’asserita e contestata deroga tacita alle prerogative ed all’autonomia impositiva delle Casse previdenziali privatizzate. Le conseguenze dell’infedele comunicazione (nel caso di specie ravvisabile, in ipotesi di fondatezza dell’interpretazione resa dalla Cassa, nell’essere stato denunciato un reddito inferiore a quello effettivo) derivano inoltre direttamente dalla legge (cfr, in particolare, quanto alle sanzioni, la L. n. 21 del 1986, art. 17, comma 4, nonchè, quanto agli interessi, il successivo art. 18, comma 5) e, come tali, vincolano anche l’Ente previdenziale, essendo pertanto irrilevante che, al momento della proposizione del ricorso introduttivo, non fosse stato ancora avanzata una richiesta di pagamento.

4. In definitiva la censura svolta deve essere accolta e, con essa, il ricorso.

Per l’effetto la sentenza impugnata va cassata, con rinvio al Giudice indicato in dispositivo, che deciderà conformandosi al suddetto principio di diritto e provvederà altresì sulle spese del presente giudizio di cassazione.

P.Q.M.

La Corte accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia, anche per le spese, alla Corte d’Appello di Torino.

Così deciso in Roma, il 29 marzo 2010.

Depositato in Cancelleria il 13 aprile 2011

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