Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 8464 del 05/05/2020

Cassazione civile sez. III, 05/05/2020, (ud. 18/09/2019, dep. 05/05/2020), n.8464

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. VIVALDI Roberta – Presidente –

Dott. SESTINI Danilo – Consigliere –

Dott. FIECCONI Francesca – Consigliere –

Dott. GIANNITI Pasquale – Consigliere –

Dott. POSITANO Gabriele – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 17071/2018 proposto da:

UNIQUA SRL, IN LIQUIDAZIONE in persona del suo liquidatore p.t.

N.G., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA MONTE AMIATA, 33,

presso lo studio dell’avvocato MICHELA FUSCO, che la rappresenta e

difende unitamente all’avvocato GIOVANNI ADAMO;

– ricorrente –

contro

MAN SOCKS ITALIA SRL, in persona del legale rappresentante pro

tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DI PIETRALATA, 140,

presso lo studio dell’avvocato SAUL GUERRA, rappresentata e difesa

dall’avvocato MATTEO BONOLDI;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 1622/2017 della CORTE D’APPELLO di BRESCIA,

depositata il 30/11/2017;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

18/09/2019 dal Consigliere Dott. GABRIELE POSITANO.

Fatto

RILEVATO

che:

con atto di citazione del 19 febbraio 2006, la società Uniqua in liquidazione evocava in giudizio, davanti al Tribunale di Mantova -sezione distaccata di Castiglione delle Stiviere – la Man Socks Italia s.r.l., nonchè F.G., in proprio e quale direttore del franchising di Man Socks Italia s.r.l. individuando a carico dei convenuti una serie di profili di responsabilità precontrattuale, contrattuale e extra-contrattuale derivanti dal rapporto giuridico instaurato tra Man Socks Italia s.r.l. e Uniqua s.r.l. e aventi ad oggetto la conclusione di due contratti di franchising del 9 settembre 2005 e 15 febbraio 2006 finalizzati alla vendita di prodotti di abbigliamento con una serie di marchi. Quanto ai profili di responsabilità contrattuale, lamentava l’assenza di attività pubblicitaria e di organizzazione, di studio o progettazione; l’esistenza di gravi problematiche di riassortimento della merce; il mancato espletamento di servizio di reporting e retailing, l’assenza di una strategia correttiva e di attività di merchandising e l’applicazione di sconti in misura inferiore a quelli praticati dalla concorrenza, oltre all’imperizia, negligenza e inesperienza dell’affiliante e dei suoi dipendenti. Quanto alla responsabilità extracontrattuale, deduceva l’inadeguatezza della formula utilizzata tenendo conto che il punto vendita pilota era un semplice spaccio aziendale; che le stime contenute nel business plan redatto da F.G. erano fantasiose; i dati relativi al numero degli affiliati erano ingannevoli, come pure le informazioni riguardo all’esperienza e al supporto della rete commerciale. Quanto alla responsabilità contrattuale ed extra contrattuale, lamentava l’assenza di criteri scientifici, l’erroneità delle informazioni fornite nella fase precontrattuale e l’omissione, da parte di F.G., di ogni attività che riguardava gli obblighi successivi alla conclusione dei contratti. Sulla base di tali elementi chiedeva la risoluzione del contratto ai sensi dell’art. 1454 c.c. e il risarcimento di un danno pari a Euro 993.000;

si costituiva Man Socks Italia s.r.l. chiedendo il rigetto delle domande di Uniqua s.r.l. e spiegava domanda riconvenzionale per la risoluzione di diritto, ai sensi dell’art. 1456 c.c., dei contratti per inadempimento riferibile a Uniqua s.r.l. oltre alla condanna al pagamento della merce in conto vendita;

si costituiva F.G. eccependo di non aver redatto alcun business plan, deducendo che Uniqua s.r.l. non aveva partecipato ai corsi di formazione programmati e che il convenuto non era tenuto a svolgere alcuna attività successiva alla conclusione dei contratti;

il Tribunale di Mantova, sezione distaccata di Castiglione delle Stiviere, con sentenza del 16 marzo 2011 accoglieva le domande principali avanzate dall’attrice, dichiarava risolti i contratti di affiliazione commerciale, condannando Man Socks Italia s.r.l. al pagamento del minor importo di Euro 25.271. Accoglieva la domanda riconvenzionale avanzata da quest’ultima condannando Uniqua s.r.l. al pagamento della merce consegnata in conto vendita pari ad Euro 22.305 e compensava le spese di lite tra Uniqua s.r.l. e Man Socks Italia s.r.l., condannando la prima al pagamento delle spese di lite sostenute da F.G.;

avverso tale decisione Uniqua s.r.l. proponeva appello deducendo la violazione delle norme in tema di responsabilità contrattuale, precontrattuale e aquiliana. Si costituiva Man Socks Italia s.r.l. chiedendo il rigetto dell’impugnazione, spiegando appello incidentale riguardo all’inadempimento di Man Socks Italia s.r.l. ritenuto sussistente e quantificando il danno in Euro 25.271. Si costituiva F.G. chiedendo la conferma della decisione di primo grado;

la Corte d’Appello di Brescia, con sentenza del 30 novembre 2017, confermava l’esclusione di responsabilità in capo a F.G. che non aveva assunto obblighi successivi all’apertura dei punti vendita e in difetto della prova di avere fornito informazioni non veritiere e di avere tenuto un comportamento doloso o colposo. Non era prospettabile una responsabilità da contatto sociale. Quanto ai criteri di determinazione del danno, la Corte riteneva inammissibile la produzione documentale tardiva non sussistendo, contestualmente, il requisito dell’indispensabilità della prova e quello dell’impossibilità di depositare la documentazione in primo grado trattandosi, al contrario, di documenti che erano già in possesso di Uniqua s.r.l. Sulla base di tali premesse la Corte territoriale di Brescia rigettava l’appello principale e quello incidentale provvedendo sulle spese;

avverso tale statuizione propone ricorso per cassazione Uniqua s.r.l. in liquidazione affidandosi a due motivi che illustra con memoria. Resiste con controricorso Man Socks Italia S.r.l..

Diritto

CONSIDERATO

che:

con il primo motivo si deduce la nullità della sentenza ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 4, o la violazione, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3, dell’art. 345 c.p.c., nel testo applicabile alla vicenda processuale, con riferimento alla quantificazione del danno imputabile a F.G. e a Man Socks Italia s.r.l., oltre al vizio di motivazione riguardo alla produzione documentale depositata in sede di gravame e l’omessa motivazione da parte della Corte d’Appello riguardo al requisito dell’indispensabilità della produzione. Uniqua s.r.l., a seguito delle carenze probatorie evidenziate dal Tribunale di Mantova, aveva chiesto di depositare ulteriori 12 documenti deducendone la indispensabilità ai fini della decisione. Tale profilo non sarebbe stato preso in esame dalla Corte. Il giudice di appello ha interpretato l’art. 345 c.p.c., nel testo modificato dalla L. n. 69 del 2009 (giudizio di appello è stato introdotto il 2 agosto 2011) nella parte in cui dispone il divieto di ammissione di nuovi mezzi di prova e di produzione di nuovi documenti “salvo il collegio non li ritenga indispensabili ai fini della decisione della causa ovvero che la parte dimostri di non aver potuto proporli o produrli nel giudizio di primo grado, per causa ad essa non imputabile” sostenendo che la deroga al divieto di nuova produzione in appello prevede la sussistenza di entrambi i requisiti. Al contrario la norma e il conseguente orientamento di legittimità sarebbero chiari nell’evidenziare che tali requisiti sono posti in via alternativa (“ovvero”). Muovendo da una premessa errata la Corte avrebbe omesso di esprimere un giudizio sull’indispensabilità della prova rappresentata dai documenti quale autonomo requisito. Tale indispensabilità deve intendersi come influenza causale più incisiva rispetto alle prove già rilevanti per la decisione della controversia, come affermato dalle Sezioni Unite della Cassazione nella decisione del 4 maggio 2017 n. 10790. Il giudice di merito avrebbe dovuto argomentare riguardo all’eventuale mancanza di attitudine dei nuovi documenti a dissipare lo stato di incertezza sui fatti controversi;

con il secondo motivo si deduce la nullità della sentenza ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 4, o la violazione di norme ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3, riguardo alle regole di giudizio derivanti dalla lettura combinata degli artt. 2727 c.c. e segg. E art. 116 c.p.c.. Dalla disamina della documentazione esclusa la Corte d’Appello avrebbe certamente potuto ritenere provato, anche sulla base di presunzioni, un maggiore pregiudizio;

con il terzo motivo si deducono le medesime violazioni con riferimento all’art. 116 c.p.c. e artt. 2214 c.c. e segg., riguardo al valore delle scritture contabili della ricorrente, già prodotte in primo grado. La ricorrente avrebbe esibito in copia i libri contabili e da tali elementi il giudice di merito avrebbe potuto ritenere provato un maggiore danno;

il primo motivo è fondato. L’art. 345 c.p.c., comma 3, nel testo introdotto dalla L. n. 353 del 1990 e successivamente modificato della L. n. 69 del 2009, artt. 46 e 58, prevedeva che: “Non sono ammessi nuovi mezzi di prova e non possono essere prodotti nuovi documenti, salvo che il collegio non li ritenga indispensabili ai fini della decisione della causa ovvero che la parte dimostri di non aver potuto proporli o produrli nel giudizio di primo grado per causa ad essa non imputabile. Può sempre deferirsi il giuramento decisorio”. Le parole “e non possono essere prodotti nuovi documenti” e “o produrli” sono state aggiunte con L. 18 giugno 2009, n. 69. La norma chiariva che non possono essere prodotti nuovi documenti, tranne nelle ipotesi descritte;

tale testo della norma è quello applicabile al caso di specie. Infatti, l’art. 345 c.p.c., nel testo modificato con la L. n. 69 del 2009, rappresenta una delle tre disposizioni immediatamente applicabili a procedimenti che, alla data di entrata in vigore della legge (4 luglio 2009) erano già pendenti (il giudizio in oggetto è stato instaurato nel 2006 è definito in primo grado nel 2011);

con la riforma del 2012 è stato, poi, eliminato il riferimento all’indispensabilità della prova a tale disposizione non si applica al presente giudizio, ma a quelli introdotti dopo l’entrata in vigore di tale disposizione. Pertanto, la questione decisiva riguarda l’interpretazione della disposizione con riferimento alle due differenti ipotesi, rispettivamente: quella del deposito tardivo di documenti per causa non imputabile alla parte e quella dell’indispensabilità della prova ai fini del decidere. Come correttamente evidenziato dalla parte ricorrente la giurisprudenza di legittimità ha da tempo affermato che i due requisiti devono sussistere in via alternativa. Opera il principio secondo cui “nel rito ordinario, con riguardo alla produzione di nuovi documenti in grado di appello, l’art. 345 c.p.c., comma 3, va interpretato nel senso che esso fissa sul piano generale il principio dell’inammissibilità di mezzi di prova “nuovi” – la cui ammissione, cioè, non sia stata richiesta in precedenza – e, quindi, anche delle produzioni documentali, indicando nello stesso tempo i limiti di tale regola, con il porre in via alternativa i requisiti che tali documenti, al pari degli altri mezzi di prova, devono presentare per poter trovare ingresso in sede di gravame (sempre che essi siano prodotti, a pena di decadenza, mediante specifica indicazione degli stessi nell’atto introduttivo del giudizio di secondo grado, a meno che la loro formazione non sia successiva e la loro produzione non sia stata resa necessaria in ragione dello sviluppo assunto dal processo): requisiti consistenti nella dimostrazione che le parti non abbiano potuto proporli prima per causa ad esse non imputabile, ovvero nel convincimento del giudice dell’indispensabilità degli stessi per la decisione” (Cass. Sez. U., Sentenza n. 8203 del 20/04/2005). La norma, in sostanza, individua l’impossibilità non imputabile alla parte come motivo di superamento della preclusione formatasi in primo grado e pone tale impossibilità in alternativa con l’indispensabilità;

pertanto, la Corte territoriale, avendo erroneamente interpretato la disposizione sul presupposto che la stessa prevedesse dei requisiti cumulativi, ha omesso di valutare in concreto il profilo dell’indispensabilità della prova. A ciò dovrà provvedere il giudice del rinvio sulla base dell’orientamento della giurisprudenza di legittimità maturato nel periodo di vigenza dell’art. 345 c.p.c., u.c.;

il secondo e terzo motivo sono assorbiti;

ne consegue che il ricorso per cassazione deve essere accolto; la sentenza va cassata con rinvio, atteso che, in forza dell’errata questione preliminare il giudice di appello ha mancato di esaminare, in concreto, il requisito dell’indispensabilità della prova; tema che dovrà evidentemente sciogliere il giudice di rinvio.

PQM

La Corte accoglie primo motivo; dichiara assorbiti il secondo e terzo motivo;

cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e rinvia la causa, anche per le spese del presente giudizio di legittimità, alla Corte d’Appello di Brescia, in diversa composizione.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Terza della Corte Suprema di Cassazione, il 18 settembre 2019.

Depositato in Cancelleria il 5 maggio 2020

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