Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 8462 del 25/03/2021

Cassazione civile sez. VI, 25/03/2021, (ud. 11/02/2021, dep. 25/03/2021), n.8462

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE L

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DORONZO Adriana – rel. Presidente –

Dott. LEONE Margherita Maria – Consigliere –

Dott. PONTERIO Carla – Consigliere –

Dott. MARCHESE Gabriella – Consigliere –

Dott. DE FELICE Alfonsina – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 20153-2018 proposto da:

C.V., elettivamente domiciliata presso la cancelleria della

CORTE DI CASSAZIONE, PIAZZA CAVOUR, ROMA, rappresentata e difesa

dall’Avvocato ANTONIO MORLEO TONDO;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’ISTRUZIONE, UNIVERSITA’ E DELLA RICERCA, (OMISSIS);

– intimato –

avverso la sentenza n. 162/2018 della CORTE D’APPELLO di LECCE,

depositata il 26/02/2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata dell’11/02/2021 dal Consigliere Relatore Dott. ADRIANA

DORONZO.

 

Fatto

RILEVATO

Che:

Con sentenza pubblicata in data 26/2/2018, la Corte d’appello di Lecce, in accoglimento degli appelli proposti dal Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca (successivamente riuniti) e in riforma delle sentenze rese dal Tribunale tra l’appellante e C.V., ha rigettato le domande da questa proposte con separati ricorsi e aventi ad oggetto la declaratoria di illegittimità del termine apposto ai contratti di lavoro a tempo determinato, la conversione del primo dei detti contratti in un rapporto di lavoro a tempo indeterminato, il risarcimento dei danni subiti a causa dell’abusiva reiterazione dei contratti a termine, anche per la mancata o non corretta attuazione della Dir. n. 1999/70/Cee, nonchè delle clausole 4 e 5 del detto accordo.

A fondamento del decisum la Corte territoriale, dopo aver dato atto che la ricorrente aveva lavorato con reiterati contratti a tempo determinato per supplenze temporanee e solo in un caso fino al termine dell’attività didattica (su organico di diritto), ha escluso il diritto al risarcimento del danno per l’assorbente considerazione che l’appellata era stata stabilizzata; che, in forza dei principi espressi da questa Corte nella sentenza n. 22553/2016 (punti 121 e 122), e nelle numerose altre pure citate, l’intervenuta stabilizzazione era idonea a sanzionare debitamente l’abuso e a cancellare le conseguenze della violazione del diritto dell’unione, e, quindi, a riparare tutti i danni riferibili all’illegittima reiterazione dei contratti a tempo determinato in difetto di specifiche allegazioni circa l’esistenza di danni ulteriori, diversi rispetto a quelli esclusi dall’immissione in ruolo, nonchè circa il ricorso, da parte del Ministero, ad un uso improprio o distorto delle assunzioni a termine.

Contro la sentenza, la C. ha proposto ricorso per cassazione, sulla base di due motivi; il Ministero non ha svolto attività difensiva. La proposta del relatore, ai sensi dell’art. 380-bis c.p.c., è stata comunicata alle parti, unitamente al decreto di fissazione dell’adunanza in camera di consiglio non partecipata.

Diritto

CONSIDERATO

che:

1.- con il primo motivo, parte ricorrente lamenta la violazione e la falsa applicazione del D.Lgs. n. 368 del 2001, art. 4 bis, anche alla luce degli interventi giurisprudenziali della Corte di giustizia Europea, in particolare della sentenza Mascolo: censura la sentenza nella parte in cui ha ritenuto che la stabilizzazione abbia fatto venir meno il diritto al risarcimento del danno, nella misura determinabile ai sensi della L. 4 novembre 2010, n. 183, art. 32, in contrasto con quanto affermato nelle sentenze della Corte di Giustizia e della stessa Corte costituzionale, le quali hanno affermato l’illegittimità dell’operato della pubblica amministrazione in caso di illegittima reiterazione di contratti a tempo determinato oltre trentasei mesi; assume che la stabilizzazione opera ex nunc, quando già il danno si è del tutto verificato;

2.- con il secondo motivo si fa rilevare che la Corte d’appello di Trento, con ordinanza del 13 luglio 2017, aveva nuovamente sollevato questione di pregiudizialità comunitaria con riferimento alla compatibilità con il diritto unionale di una norma, come quella contenuta nella L. n. 107 del 2015, art. 1, interpretata nel senso che la stabilizzazione ha l’effetto di cancellare l’abuso conseguente alla reiterata stipulazione di contratti a tempo determinato, senza che possa rilevare al riguardo la natura delle supplenze, se poste a copertura di vacanti in organico di fatto o di diritto.

3.- I motivi, che si esaminano congiuntamente, sono inammissibili ai sensi dell’art. 360 bis c.p.c., avendo la Corte territoriale deciso le questioni conformemente ai principi già espressi da questa Corte e le ragioni poste a sostegno dei motivi medesimi non sono idonee ad indurre un diverso convincimento anche con riguardo alla esperibilità di nuovo rinvio pregiudiziale alla Corte di giustizia o di nuovo incidente di costituzionalità.

3.1.- Questa Corte, con sentenza pubblicata in data 12/2/2020, n. 3474 (cui adde, da ultimo, Cass. 9/3/2020, n. 6641), nel rigettare la domanda risarcitoria proposta dai lavoratori, ha richiamato i principi già enunciati nelle sentenze n. 22553/2016 e n. 22556/2016, nonchè nella sentenza n. 27563/2016 qui integralmente condivisi e ai quali si rinvia anche ai sensi dell’art. 132 c.p.c. e art. 118 disp. att. c.p.c..

L’elemento di novità di questa sentenza sta nel fatto che si sono riesaminati i riflessi sul quadro normativo e giurisprudenziale della sentenza della Corte di Giustizia dell’8 maggio 2019, nella Causa C494/17 – Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca – MIUR contro Fa. Ro. e Conservatorio di Musica F.A. Bo. (anche Ro., di seguito), ritenendo che essi non conducono ad una diversa soluzione rispetto ai precedenti citati.

3.2. – Nella sentenza citata, la Corte di giustizia ha così statuito “La clausola 5, punto 1, dell’accordo quadro sul lavoro a tempo determinato, concluso il (OMISSIS), allegato alla Dir. del Consiglio 28 giugno 1999, n. 1999/70/CE, relativa all’accordo quadro CES, UNICE e CEEP sul lavoro a tempo determinato, deve essere interpretata nel senso che essa non osta ad una normativa nazionale che, così come applicata dagli organi giurisdizionali supremi, esclude – per docenti del settore pubblico che hanno beneficiato della trasformazione del loro rapporto di lavoro a tempo determinato in un rapporto di lavoro a tempo indeterminato con un effetto retroattivo limitato – qualsiasi diritto al risarcimento pecuniario in ragione dell’utilizzo abusivo di una successione di contratti a tempo determinato, allorchè una siffatta trasformazione non è nè incerta, nè imprevedibile, nè aleatoria e la limitazione del riconoscimento dell’anzianità maturata in forza della suddetta successione di contratti di lavoro a tempo determinato costituisce una misura proporzionata per sanzionare tale abuso, circostanze che spetta al giudice del rinvio verificare”.

3.3.- Nel pervenire alla sua decisione, la Corte di Giustizia non ha mancato di rilevare il diverso contesto normativo esistente all’epoca della sentenza Mascolo (Mascolo e a., C- 22/2013, da C-61/13 a C63/13 e C-418/13, nonchè delle sentenze Santoro, C-494/16, Sciotto C- 331/2017, Fiammingo e a, C-362/13, C-363/13 e C-407/13), sottolineando (p. 30), che, nel contesto anteriore alla L. 13 luglio 2015, n. 107, la normativa nazionale non conteneva alcuna sanzione di carattere sufficientemente energico e dissuasivo idoneo a garantire la piena efficacia delle norme adottate in applicazione dell’accordo quadro (p.31).

3.4. Per contro, nell’attuale assetto normativo: “il legislatore nazionale, al fine di garantire la transizione verso un nuovo sistema comportante misure destinate a prevenire e a sanzionare il ricorso abusivo a contratti di lavoro a tempo determinato, ha adottato un piano straordinario di assunzioni che prevede la trasformazione, nel corso dell’anno scolastico 2015/2016, di tutti i rapporti di lavoro a tempo determinato con docenti “precari”, attraverso il progressivo e definitivo esaurimento delle graduatorie e degli elenchi dai quali l’amministrazione attingeva per l’assunzione di docenti a tempo determinato”; accanto a questo piano straordinario di sono stati cui, “in parallelo, e fino al loro esaurimento, i procedimenti di immissione in ruolo in corso per i docenti che si trovavano già inseriti in cima alle graduatorie….La L. n. 107 del 2015, art. 1, comma 95, prevede, a tal riguardo, che il piano straordinario di assunzioni è attuato per la copertura di tutti i posti (…) rimasti vacanti e disponibili all’esito delle operazioni di immissione in ruolo effettuate per il medesimo anno scolastico ai sensi del (D.Lgs. n. 297 del 1994), art. 399, vale a dire le immissioni in ruolo sulla base dell’avanzamento nella graduatoria permanente”.

3.5.- La Corte di Giustizia ha quindi affermato (p. 34-36) che “contrariamente alla situazione dei docenti di cui trattavasi nella causa decisa con la suddetta sentenza” (Mascolo, ndr) nel caso “Ro”, sottoposto al suo giudizio, “la trasformazione del rapporto di lavoro non era incerta e non aveva carattere imprevedibile e aleatorio, dato che era stata resa obbligatoria dalla L. n. 107 del 2015”. La Corte di Giustizia, con riguardo all’assenza di risarcimento nel caso di trasformazione del rapporto di lavoro, ha ribadito (punto 38) che gli Stati membri dispongono di un ampio margine di discrezionalità nella scelta delle misure atte a realizzare gli obiettivi della loro politica sociale e che (p. 39) “come emerge dalla clausola 5, punto 2, dell’accordo quadro, gli Stati membri hanno la facoltà, nell’ambito delle misure volte a prevenire il ricorso abusivo a una successione di contratti di lavoro a tempo determinato, di trasformare i rapporti di lavoro a tempo determinato in rapporti di lavoro a tempo indeterminato, dato che la stabilità dell’impiego derivante da questi ultimi costituisce l’elemento portante della tutela dei lavoratori”.

3.6.- Essa ha anche ricordato (p. 40) che “una normativa recante una norma imperativa ai sensi della quale, in caso di ricorso abusivo a contratti di lavoro a tempo determinato, questi ultimi sono trasformati in un rapporto di lavoro a tempo indeterminato, è tale da costituire una misura che sanziona in modo efficace un abuso di questo tipo e, quindi, da soddisfare i criteri ricordati ai punti 27 e 28 della presente sentenza”. Inoltre, in linea di continuità con la sua giurisprudenza, ha ribadito (punto 41) che “La giurisprudenza non richiede, tuttavia, un cumulo di misure” e che (p. 42) “nè il principio del risarcimento integrale del danno subito nè il principio di proporzionalità impongono il versamento di danni punitivi. Tanto sul rilievo (p. 43) che “tali principi impongono agli Stati membri di prevedere un’adeguata riparazione, che deve andare oltre il risarcimento puramente simbolico, senza tuttavia oltrepassare la compensazione integrale”.

3.7.- Ha, quindi, concluso che (p. 45) “l’accordo quadro non impone agli Stati membri di prevedere, in caso di ricorso abusivo a contratti di lavoro a tempo determinato, un diritto al risarcimento del danno che si aggiunga alla trasformazione del rapporto di lavoro a tempo determinato in un rapporto di lavoro a tempo indeterminato”.

3.8.- I principi enunciati dalla Corte di Giustizia nella sentenza Rossato consentono di risolvere la controversia in esame, giacchè essi confermano e non smentiscono gli approdi giurisprudenziali di questa Corte (punto 84 della sentenza di questa Corte n. 22552 del 2016) secondo cui l’immissione in ruolo scelta dal legislatore italiano del 2015 rappresenta una delle misure alternative, idonee a sanzionare e a cancellare l’illecito comunitario, individuate dalla Corte di Giustizia, che si è compendiato nella indebita reiterazione da parte della P.A. datrice di lavoro di contratti a tempo determinato.

3.9.- Nella sentenza di questa Corte n. 22552 del 2016 (pp. nn. 81 e 82) è stato precisato che la strada satisfattiva della immissione in ruolo con previsione rigorosa dei tempi, costituisce ad un tempo una sanzione e, dal punto di vista del beneficiario, una riparazione “in linea di principio la più ragionevole e soddisfacente tanto per lo Stato che vede assicurata la indispensabile provvista di docenti stabili- quanto per il richiedente, in quanto gli attribuisce il bene della vita, la cui certezza di acquisizione era stata lesa dalla condotta inadempiente realizzata dalla Amministrazione”, ed è stato considerato (p. n. 83) che la stabilizzazione è “ben più satisfattiva di quella per equivalente che sarebbe spettata al personale scolastico assunto con una serie ripetuta e non consentita di contratti a termine sulla scorta del “diritto vivente” costituito dai principi affermati dalle SSUU di questa Corte nella sentenza n. 5072/2016…” ed ai quali la sentenza n. 22552/2016 ha dato continuità.

3.10.- Deve, pertanto, essere pure ribadito il principio secondo cui anche l’immissione in ruolo effettuata sulla base del sistema di avanzamento reso possibile dalle previgenti regole sul reclutamento rispetta i principi di equivalenza ed effettività (p. n. 85 della sentenza n. 22552 del 2016) poichè “il soggetto leso dall’abusivo ricorso ai contratti a termine ha, comunque, ottenuto, per il (tardivo, imprevedibile nè atteso) funzionamento del sistema di reiterate assunzioni, il medesimo “bene della vita” per il riconoscimento del quale ha agito in giudizio: ed in tal guisa l’abuso perpetrato e l’illecito commessi sono stati, rispettivamente, oggettivamente represso e tendenzialmente riparato”.

4.- Applicando questi principi al caso in esame, il ricorso non può essere accolto. Risulta infatti dalla sentenza impugnata che il ricorrente, benchè assunto in virtù di ripetuti contratti a tempo determinato, è stato immesso nei ruoli e ciò consente di escludere il danno derivante dalla precarizzazione del rapporto.

Nè risulta dagli atti del giudizio che la parte ricorrente abbia, nell’originaria domanda, allegato l’esistenza di danni ulteriori e diversi rispetto a quelli “risarciti” dalla immissione in ruolo, la cui prova grava sul lavoratore e che comunque non potrebbero identificarsi con quelli “da mancata conversione e quindi da perdita del posto di lavoro”, secondo quanto affermato nella predetta decisione delle SS.UU. n. 5072 del 2016.

5. La complessità della questione giuridica, risolta sulla base della pronuncia della Corte di Giustizia intervenuta in corso di causa, giustifica la integrale compensazione delle spese dell’intero processo. I ricorrenti vanno comunque condannati al versamento dell’ulteriore importo pari al contributo unificato versato.

P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibile il ricorso e compensa le spese.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 11 febbraio 2021.

Depositato in Cancelleria il 25 marzo 2021

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