Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 8460 del 05/05/2020

Cassazione civile sez. III, 05/05/2020, (ud. 04/07/2019, dep. 05/05/2020), n.8460

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. TRAVAGLINO Giacomo – Presidente –

Dott. FRASCA Raffaele – rel. Consigliere –

Dott. OLIVIERI Stefano – Consigliere –

Dott. SCODITTI Enrico – Consigliere –

Dott. VALLE Cristiano – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 28176/2017 proposto da:

F.F., in qualità di erede universale di

FI.FR., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA FLAMINIA 71, presso

lo studio dell’avvocato WALTER FELICIANI, rappresentato e difeso

dagli avvocati RICCARDO LEONARDI, MARIO PINELLI;

– ricorrente –

contro

M.A., domiciliata ex lege in ROMA, presso la

CANCELLERIA DELLA CORTE DI CASSAZIONE, rappresentata e difesa

dall’avvocato ANDREA VINCENZO SPECIALE;

AZIENDA OSPEDALIERO UNIVERSITARIA OSPEDALI RIUNITI (OMISSIS), in

persona del Direttore Generale e legale rappresentante pro tempore

Dott. C.M., R.P., elettivamente domiciliati

in ROMA, VIA DELLE FORNACI 38, presso lo studio dell’avvocato FABIO

ALBERICI, che li rappresenta e difende unitamente all’avvocato MARIO

SCALONI;

– controricorrenti –

e contro

AZIENDA OSPEDALIERO UNIVERSITARIA OSPEDALI RIUNITI (OMISSIS),

S.I.V., F.R.;

– intimati –

avverso la sentenza n. 1167/2017 della CORTE D’APPELLO di ANCONA,

depositata il 07/08/2017;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

04/07/2019 dal Consigliere Dott. RAFFAELE FRASCA;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

SGROI Carmelo, che ha concluso per l’accoglimento p.q.r. del

ricorso;

udito l’Avvocato MARIO PINELLI;

udito l’Avvocato FABIO ALBERICI per Azienda Ospedaliera;

udito l’Avvocato FABIO ALBERICI per R.P..

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. F.F., in qualità di erede di Fi.Fr., ha proposto ricorso per cassazione contro M.A., l’Azienda Ospedaliero-Universitaria “(OMISSIS)” e R.P., nonchè nei confronti di S.I.V. e F.R., avverso la sentenza del 7 agosto 2017, con la quale è stato rigettato l’appello – proposto da Fi.Fr., poi deceduto nel corso del giudizio e cui erano subentrati la vedova sig.ra S. e i figli, F.F. e R. – contro la sentenza del settembre 2009, con cui il Tribunale di Ancona aveva rigettato la domanda proposta dal de cuius nel (OMISSIS), intesa ad accertare condotte dannose addebitabili ai dottori M. e R., fonte di responsabilità sanitaria a loro carico ed a carico della medesima.

2. Dette condotte erano consistite: a) nel colpevole ritardo da parte della M., suo medico curante nell’ambito del S.S.N., nell’individuare la malattia “Liposarcoma mixoide” ovvero nella colpevole imperizia della medesima nel prescrivere o richiedere la tempestiva effettuazioni di indagini strumentali, che, quando poi erano state eseguite, avevano consentito il riconoscimento di una patologia che però si era notevolmente aggravata, b) nell’esecuzione da parte del R., medico in servizio presso gli Ospedali Riuniti di (OMISSIS), di un intervento chirurgico di escissione marginale di liposarcoma mixoide al gluteo destro con rottura a fine intervento della capsula neoplastica, che aveva occasionato una recidiva per la quale il de cuius aveva dovuto sottoporsi ad un’ulteriore operazione presso l’Istituto (OMISSIS) con i conseguenti costi di trasferta ed assistenza e danni alla salute.

3. Al ricorso per cassazione, che è affidato a tre motivi, hanno resistito con congiunto controricorso l’azienda intimata ed il R. e con separato controricorso la M..

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo si denuncia “omesso esame, ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, circa fatto decisivi per il giudizio che sono stati oggetto di discussione tra le parti con riferimento alle circostanze di cui alla documentazione sanitaria prodotta a prova diretta dagli appellanti/istanti”.

Con un secondo motivo si prospetta “violazione o falsa applicazione, ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, art. 1176 c.p.c., il tema di diligenza nell’adempimento dell’obbligazione da parte del CTU e conseguente vizio di motivazione su fatto decisivo”.

Con il terzo motivo si prospetta “violazione o falsa applicazione, ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, art. 112 c.p.c.. Nullità della sentenza per omessa motivazione in ordine alle ragioni di gravame contenute nell’atto di appello con riferimento alla patente erroneità della CTU ed alle molteplici omissioni dell'”ausiliario”.

2. La lettura dei tre motivi evidenzia che le lunghe considerazioni che si svolgono nell’illustrazione del primo e quella breve articolata nel secondo in realtà risultano funzionali all’esame del terzo motivo, il quale, peraltro, già dall’intestazione appare logicamente preliminare, atteso che vi si lamenta sia l’omesso esame dell’oggetto di quanto devoluto in appello sia – al di là dell’omessa indicazione come paradigma normativo della violazione dell’art. 132 c.p.c., comma 2, n. 4 – una intrinseca mancanza di motivazione.

Il terzo motivo, esaminato nel modo indicato, cioè considerando quanto si illustra nei primi due motivi, risulta fondato nei sensi di cui si verrà dicendo.

3. Nel terzo motivo si lamenta in primo luogo che il giudice d’appello abbia “giustificato l’operato del Tribunale allegando una serie di arresti della S.C. secondo i quali è consentito al giudicante, laddove aderisca al portato della CTU, non esporre le ragioni del suo convincimento” e, quindi, si sostiene che “laddove però il CTU abbia omesso di riferire uno o più fatti decisivi (ut supra argomentato: la “rapportabilità” al lipoma, e l’aumento delle dimensioni già nel (OMISSIS), la presenza di letteratura scientifica di segno contrario alle proprie valutazioni, peraltro non supportate da alcun riscontro) non si può ritenere che il Giudice che aderisce alla CTU abbia implicitamente valutato ed esaminato le contrarie deduzioni delle parti e che, soprattutto, la citata adesione al parere del CTU delinei il percorso logico della decisione e costituisca motivazione adeguata”.

Si sostiene, quindi, che: “le critiche operate dalla difesa F. e sottoposte al vaglio dapprima del Tribunale indi della Corte d’Appello, dunque, non tendevano al riesame degli elementi di giudizio già valutati dal consulente tecnico, anche perchè (…) la consulenza tecnica officiosa si era svolta nel 2005, ossia secondo le modalità previgenti alle modifiche all’art. 195 c.p.c., dell’anno 2009 ergo senza che il CTP avesse potuto formulare rilievi di sorta prima del deposito della CTU. Pertanto, non avendo potuto il CTU prendere posizione argomentativa nei confronti dei rilievi dei consulenti di parte e, soprattutto, considerata l’omessa trattazione/menzione di fatti decisivi da parte dello stesso Dott. P., tanto il giudice di prime cure quanto il giudice dell’impugnazione avrebbero dovuto soffermare la rispettiva attenzione sulle contrarie deduzioni del consulente di parte e prendere precisa ed esplicita posizione sulle stesse, senza la possibilità di ritenerle implicitamente disattese in quanto incompatibili con le argomentazioni accolte”.

Si argomenta, quindi, che, “Al riguardo merita sottolineare che pars appellante, coerentemente con quanto già aveva fatto in primo grado, aveva trasfuso le proprie considerazioni critiche, mosse al CTU anche sulla base delle osservazioni del proprio CTP al verbale di udienza dell’8 novembre 2005 (si vedano il verbale di udienza dell’8 novembre 2005, le deduzioni dell’attore e le osservazioni critiche del proprio CTP, riprodotti nel fascicolo del presente giudizio come docc. 12-14), in specifici motivi di impugnazione della sentenza, formulati nel rispetto delle prescrizioni stabilite dall’art. 342 c.p.c.”.

Di seguito, dopo avere argomentato – nelle pagine 52-53 – che già il Tribunale aveva omesso di rispondere alla critiche svolte all’operato del c.t.u. e che la sua motivazione di adesione alla relazione del medesimo non poteva assumere il valore di motivazione c.d. per relationem, si sostiene “l’erroneità delle considerazioni svolte dalla Corte d’Appello in ordine alla perizia di parte”, là dove essa ha affermato a pagina 16 che “il giudice, ove di contrario avviso, non è tenuto ad analizzarne ed a confutarne il contenuto, quando ponga a base del proprio convincimento considerazioni con esso incompatibili e conformi al parere del proprio consulente”. Tale erroneità viene sostenuta adducendo che “Nel caso in disputa, tanto il Tribunale quanto la Corte d’Appello non hanno espresso alcuna “considerazione incompatibile” con la CTP e con le contestazioni dell’attore/appellante, bensì hanno entrambi omesso di effettuare il vaglio critico della CTU sulla base dell’analitico portato confutativo della parte dissenziente, vertente come detto non su mere opinioni ma su fatti decisivi, i quali non potevano essere impunemente pretermessi, nè dal CTU nè dal Giudice”. A sostegno dell’assunto si evoca – citando Cass. nn. 26694 del 2006 e n. 10668 del 2005 – il principio di diritto secondo cui “Il giudice del merito non è tenuto a giustificare diffusamente le ragioni della propria adesione alle conclusioni del consulente tecnico d’ufficio, ove manchino contrarie argomentazioni delle parti o esse non siano specifiche, potendo, in tal caso, limitarsi a riconoscere quelle conclusioni come giustificate dalle indagini svolte dall’esperto e dalle spiegazioni contenute nella relativa relazione, ma non può esimersi da una più puntuale motivazione, allorquando le critiche mosse alla consulenza siano specifiche e tali, se fondate, da condurre ad una decisione diversa da quella adottata”.

Si continua, quindi, in via consequenziale, così argomentando: “pertanto, qualora la parte – come accaduto nel caso di specie muova critiche precise e puntuali supportate da elementi probatori concreti e decisivi per la decisione della controversia in relazione ad aspetti essenziali dell’elaborato del CTU, il giudice è tenuto a prenderle in esame espressamente e ad esporre le ragioni per cui le disattenda. Difatti, adoperare espressioni quali “fondato convincimento” ovvero “piena condivisibilità” rispetto ad un elaborato scientifico non solo di produzione altrui ma, soprattutto, costellato da omissioni su circostanze di fatto decisive, senza illustrare, almeno per sommi capi, su quali ragioni riposano tali giudizi, non può certo valere a rendere adeguata motivazione, a ciò non risultando bastevole il mero richiamo a fantomatici “rigorosi criteri logici” senza che gli stessi vengano enunciati, ancorchè in termini sintetici. La “assenza di contraddizioni” ed il “fondamento su adeguate motivazioni” sono locuzioni che, nella loro assoluta apoditticità, non solo rappresentano vere e proprie petizioni di principio (e, come tali, del tutto incapaci di costituire fulcro motivo di qualsivoglia sentenza, estrinsecandosi in argomentazioni non idonee a rivelare la ratio decidendi del Giudice, nè a lasciar trasparire il percorso argomentativo da questi seguito) ma soprattutto risultano impossibili da condividere in quanto fondate su un presupposto completamente errato, ossia la completezza d’indagine da parte del CTU.. Il tutto senza voler considerare come le suddette asserzioni possano essere adoperate a proposito di qualsiasi elaborato peritale, proprio perchè prive di ogni riferimento alla specifica vicenda oggetto di vaglio e come, per tale limpida ragione, le stesse giammai possano essere valutate alla stregua di un sostanziale “salvacondotto” per il Giudice che abbia affidato alle stesse la motivazione del proprio decisum, il quale resta invece comunque viziato”.

Si citano, quindi, i principi di diritto affermati da Cass. n. 8785 de 1992 e da Cass. n. 7041 del 2013.

Ed in fine, per coerenziare l’assunto dell’assenza di motivazione in ordine alle contestazioni svolte con l’appello, si fanno riferimenti alla “tecnica redazionale con cui la decisione (…) impugnata è stata confezionata”.

Tali riferimenti risultano esplicitati in questi termini: “Alla luce di tali consolidati principi, è allora evidente l’assenza di motivazione in ordine alle circostanziate e puntuali contestazioni degli appellanti presenti negli scritti difensivi in primo grado e doverosamente riportate nel gravarne di merito, sia rispetto alle evidenze documentali, sia alle conseguenti valutazioni del c.t.u.. Basterà, a tal proposito esaminare la tecnica redazionale con cui la decisione qui impugnata è stata confezionata. Il giudice di secondo grado, dopo l’affermazione contenuta a pag. 11) della decisione, peraltro neppure del tutto intelligibile, secondo cui i motivi d’appello sarebbero stati esaminati congiuntamente in ragione della loro connessione, procedeva, in realtà, ad un esame separato degli stessi, data la palese alterità delle diverse questioni poste nell’impugnazione. Venendo, quindi, e per quanto di interesse, alla disamina del merito della decisione, la Corte anconetana procedeva ad una lunga elencazione di principi giuridici relativi, in generale, agli obblighi motivazionali dei giudici di merito nel caso di contestazione dell’elaborato peritale (v. sentenza n. 1167/2017, pagg. 14-17), senza però mai entrare nel merito delle questioni specificatamente dedotte dagli appellanti. Faceva poi seguire a tali aspecifici e generalistici richiami, l’illustrazione delle conclusioni cui era giunto il CTU, per gran parte in termini letterati, dapprima riportandone i passi che riguardavano la Dott.ssa M. (v. sentenza n. 1167/2017, pagg. 14-17), indi riportandone il contenuto che riguardava la posizione del Dott. R. (v. sentenza n. 1167/2017, pagg. 17-21). E’ evidente ai più, pertanto, che sino a pag. 21) della sentenza 1167/2017 non vi è alcuna presa di posizione sulle specifiche doglianze degli appellanti, nè di essa vi è traccia nella parte successiva della motivazione, che si conclude, per invero, con un’ennesima circonlocuzione verbale, valida per qualunque giudizio: “In definitiva, pertanto, le critiche mosse alla pronuncia impugnata sotto gli aspetti in considerazione, si risolvono in valutazioni di carattere soggettivo (??) mirando ad un più appagante coordinamento degli elementi fattuali, che, tuttavia, rimane nell’ambito delle possibilità di apprezzamento che non ha trovato adeguato supporto in base alle risultanze processuali acquisite” (v. sentenza n. 1167/2017, pag. 21). In buona sostanza, pertanto, l’attenta disamina delle ragioni degli appellanti si è risolta, dapprima, in un’elencazione di generiche – siccome non afferenti al caso di specie – massime giurisprudenziali, indi – siccome specificamente illustrato nel superiore primo motivo di impugnazione – alla ripetizione del contenuto della consulenza criticata dagli appellanti e null’altro. E’ lampante, in definitiva, la totale assenza di un corredo motivazionale che abbia affrontato e respinto le doglianze, lungamente evidenziate nel primo motivo di ricorso, e qui richiamate, doglianze alle quali la corte non ha mai risposto, abdicando al dovere di rendere la motivazione sulle domande sottoposte al suo vaglio. A fronte di quanto sinora argomentato può legittimamente predicarsi la fondatezza del motivo di censura qui articolato”.

3.1. Quanto si è riportato evidenzia – a conferma di quanto si è prima premesso – che il tessuto argomentativo del motivo, come riassuntivamente esplicitato nella parte finale, si sviluppa sostenendo che la corte anconetana avrebbe enunciato una motivazione che, per un verso avrebbe omesso completamente di esaminare le critiche che erano state rivolte alla sentenza di primo grado ed al suo adagiarsi sulla c.t.u., sicchè il giudice d’appello non avrebbe adempiuto al suo dovere di esaminare i motivi di appello, e per altro verso, a prescindere da tale profilo, priva nella sua stessa consistenza formale della dignità di motivazione.

Sicchè, il motivo dev’essere esaminato in questa sua duplice articolazione, la prima delle quali appare, peraltro, logicamente preliminare rispetto all’altra.

4. E’ opportuno a questo punto, per comprendere se la censura preliminare sia valida, riportare la motivazione resa dalla corte territoriale.

4.1. Essa, per quanto interessa, ha avuto un tenore che si è sviluppato anzitutto con una premessa – comune rispetto all’invocata responsabilità dei due medici – nella quale la corte anconetana richiama giurisprudenza di questa Corte in ordine al modo di apprezzamento della consulenza tecnica d’ufficio e di parte da parte del giudice del merito ed all’uopo enuncia quanto segue:

“Venendo all’esame del merito dell’appello, va osservato, anzitutto, in linea generale, che la consulenza tecnica d’ufficio ha la finalità di aiutare il giudice nella valutazione di elementi acquisiti o nella soluzione di questioni che necessitino di specifiche conoscenze, tanto che, come tale, è mezzo istruttorie sottratto alla disponibilità delle parti per essere affidato al prudente apprezzamento del giudice del merito; ciò posto, è orientamento della giurisprudenza di legittimità più che consolidato quello secondo cui, qualora sia stata disposta una c.t.u. e il giudice ne condivida i risultati, questi non è tenuto ad esporre in modo specifico le ragioni del suo convincimento, atteso che la decisione di aderire alle risultanze della consulenza implica valutazione ed esame delle contrarie deduzioni delle parti, mentre l’accettazione del parere del consulente, delineando il percorso logico della decisione, ne costituisce motivazione adeguata (cfr. per l’affermazione del principio Cass. 10202/2008; Cass. 3881/2006); in siffatto ambito la consulenza tecnica d’ufficio può costituire fonte oggettiva di prova quando si risolva in uno strumento non solo di valutazione tecnica ma anche di accertamento di situazioni di fatto rilevabili soltanto mediante il ricorso a determinate cognizioni tecniche; in altri termini l’autorità giudiziaria può affidare al consulente tecnico anche l’incarico di accertare i fatti dedotti in controversia e le relative risultanze consentono al giudice, ove egli ritenga di condividerle, di non esporre in modo specifico ed articolato le ragioni che lo abbiano indotto a far propri gli argomenti esposti nella perizia essendo sufficiente che la motivazione adottata, attraverso opportuni richiami all’elaborato, lasci desumere che le contrarie deduzioni delle parti sono state ritualmente disattese dato che, in tal caso, l’obbligo della motivazione è assolto con l’indicazione della fonte dell’apprezzamento espresso (“ben potendo la sentenza di merito… richiamarsi alle conclusioni cui è approdato il c.t.u. senza apposita motivazione atta a riprodurre l’iter tecnico-valutativo dell’ausiliario del giudice”: cfr. in termini Cass. n. 5400/2014); Va ulteriormente rilevato, in proposito, che la consulenza di parte, ancorchè confermata sotto il vincolo del giuramento, costituisce una semplice allegazione difensiva di carattere tecnico, priva di autonomo valore probatorio, con la conseguenza che il giudice, ove di contrario avviso, non è tenuto ad analizzarne e a confutarne il contenuto, quando ponga a base del proprio convincimento considerazioni con esso incompatibili e conformi al parere del proprio consulente (v. Cass. 2063/2010; Cass. 5687/2001; 5151/1998)”.

4.2. Di seguito la corte territoriale enuncia – in via evidentemente consequenziale a quanto enunciato prima – quanto segue:

“Svolte tali considerazioni si rileva che il nominato consulente tecnico d’ufficio ha evidenziato, in sostanza, come gli addebiti mossi a fondamento dell’intrapresa azione risarcitoria non abbiano trovato positivo riscontro, non essendo emersi nella condotta della M. e del R. elementi tali da metterne in luce un comportamento colposo”.

4.3. La corte marchigiana passa, poi, ad esaminare le posizioni dei medici.

Per quanto attiene alla Dott.ssa M., così si esprime:

“Il medesimo ausiliario ha riferito, in particolare, che la Dott.ssa M. dopo aver prescritto un’ecografia dei tessuti molli della regione glutea destra, ha preso atto della diagnosi risultante dal referto che riferiva di “quadro rapportabile a lipoma” che, come noto, è un tumore benigno formato da tessuto adiposo solitamente circoscritto e limitato da una capsula, per cui non si presentava necessario procedere ad ulteriori indagini tanto da poter affermare che “l’operato della Dott.ssa M. è stato… adeguato alla realtà dei fatti, sia in relazione alla necessità di prescrizione di controllo diagnostico strumentale (l’ecografia, espletata già due giorni dopo la sua visita), sia per quanto attenga a eventuali doverose ulteriori indagini (non ve n’era la necessità, la diagnosi era stata fatta dagli specialisti radiologi…)”. In ordine alla presenza nel referto dell’indicazione “meritevole di controllo TC o RM”, in considerazione della diagnosi risultante all’esito della ecografia di sostanziale attuale tranquillità, non appare censurabile l’operato del medico di attendere l’evoluzione della situazione così riscontrata al fine di verificare l’eventuale stabilizzazione della stessa ovvero una sua modifica in senso accrescitivo; verificatasi quest’ultima ipotesi e constatato l’aumento della massa, la M., informata dal paziente, in data (OMISSIS), ha opportunamente “ritenuto di dover far valutare il caso ad un chirurgo” onde eventualmente procedere all’asportazione della neoformazione: “la consulenza, espletata l'(OMISSIS)… ha confermato la diagnosi di lipoma intragluteo destro, certo di maggiori dimensioni rispetto al (OMISSIS), ma pur sempre lipoma, come da diagnosi specialistica”. Soltanto a seguito dell’indagine ecografica del (OMISSIS) la diagnosi risulta mutata nel senso che veniva segnalata “importante tumefazione solida, disomogenea, circa 11×6 cm prevalentemente ipoecogene con inscritte aree iperecogene: indispensabile esame R.M.”, pervenendosi cosi alla risonanza magnetica in data (OMISSIS) e al successivo prelievo di materiale biologico attraverso l’effettuazione, in data (OMISSIS), di agoaspirato che ha condotto all’accertamento di una diversa e più grave patologia, essendo stato evidenziato “un quadro di proliferazione mesenchimale a cellule fusate di incerta malignità. E’ indispensabile asportazione”. Sulla base di tali evenienze, il c.t.u. ha concluso in maniera inequivoca nel senso della insussistenza di “alcun profilo di responsabilità professionale a carico della Dott.ssa M., la cui condotta professionale è stata sempre dettata da prudenza, diligenza e perizia, anche in relazione alle realtà diagnostiche come da consulenze specialistiche, alle quali necessariamente doveva necessariamente attenersi”.

4.4. Per quanto attiene alla posizione del Dottor R., osserva:

“Quanto alla posizione del Dott. R., questi ha effettuato l’intervento di asportazione della neoformazione in data (OMISSIS) in cui si è potuto accertare la presenza di una “lesione incapsulata e con un buon piano di clivaggio rispetto ai tessuti circostanti” e si è proceduto all’asportazione “della lesione di blocco che viene inviata in esame istologico”, ciò che ha giustificato la mancata “radicalizzazione del primo intervento”, dovendosi considerare che la necessità di un ulteriore intervento si è prospettata soltanto a seguito dell’esito dell’esame istologico della massa asportata, effettuato il successivo (OMISSIS) che ha portato alla diagnosi di “liposarcoma mixoide con aree poco differenziate di tipo rotondocellulare, localmente rivestito da una sottile capsula fibrosa. Alla periferia del tumore non si osserva tessuto libero da neoplasia” che “ha condotto i sanitari dell’Oncologia medica di (OMISSIS) a pensare alla possibilità di procedere con ulteriore intervento chirurgico di allargamento radicalizzazione”. Pertanto “non si può… parlare di secondo intervento evitabile in caso di diverso primo approccio chirurgico” stante la “difficoltà di indagine istologica del pezzo operatorio” e la necessaria verifica dell’interessamento della neoplasia ai tessuti marginali della capsula asportata da cui desumere lo stadio di avanzamento. Quanto alla rottura parziale della capsula che parte appellante vorrebbe far risalire in occasione dell’intervento chirurgico ad opera del R. nel riportare la dichiarazione da questi resa in ordine a tale incidente che sarebbe avvenuto “a fine intervento”, da quest’ultima affermazione non può evincersi in maniera inequivoca che la lacerazione si sarebbe verificata nel corso dell’operazione, quanto piuttosto una volta che questa era stata portata a termine, nelle fasi appena successive relative alla conservazione e preparazione del reperto anatomico da inviare all’esame istologico. Infine, per quanto riguarda “eventuali maggiori dimensioni attuali della cicatrice post chirurgica non costituiscono danno da responsabilità professionale, essendo state causate dall’essenza stessa della patologia in oggetto, nella sua intrinseca difficoltà di approccio chirurgico e nel successivo difficile (comunque accurato e scevro di errori) studio istologico del pezzo operato (dopo il primo e secondo intervento, entrambi condotti in maniera adeguata, senza errori)”: cfr. pag. 6 della relazione di c.t.u.”.

4.5. La motivazione si conclude, quindi, affermando in primo luogo che:

“In definitiva, pertanto, le critiche mosse alla pronuncia impugnata sotto gli aspetti in considerazione, si risolvono valutazioni di carattere soggettivo mirando ad un più appagante coordinamento degli elementi fattuali, che, tuttavia, rimane nell’ambito delle possibilità di apprezzamento che non ha trovato adeguato supporto in base alle risultanze processuali acquisite”.

Quindi, si soggiunge che:

“Le esposte considerazioni consentono di disattendere la richiesta di rinnovo dell’espletata consulenza tecnica d’ufficio, essendo, tra l’altro, ingiustificato l’assunto che la specializzazione del professionista incaricato attenesse ad una branca estranea a quanto oggetto di controversia (cfr. in generale Cass. n. 17693/2013 per cui “il giudice di merito non è tenuto, anche a fronte di una esplicita richiesta di parte, a disporre una nuova consulenza d’ufficio, atteso che il rinnovo dell’indagine tecnica rientra tra i poteri discrezionali del giudice di merito, sicchè non è neppure necessaria una espressa pronunzia sul punto”). Da ultimo va ribadito il principio in base al quale la valutazione dei documenti acquisiti e delle risultanze istruttorie, come la scelta, tra i vari elementi probatori di quelli ritenuti più idonei a sorreggere la motivazione, involgono apprezzamenti di fatto riservati al giudice, il quale, nel porre a fondamento della propria decisione una fonte di prova con esclusione di altre, non incontra limiti se non quello di indicare le ragioni del proprio convincimento: avuto riguardo, dunque, all’intero quadro probatorio acquisito, l’insieme dei suddetti dati, in una loro valutazione complessiva e sintetica, consente di condividere le conclusioni a cui è pervenuto il Tribunale che si fondano su argomenti logici correttamente motivati, come tali non censurabili in questa sede, avendo fornito del proprio convincimento una giustificazione adeguata contraddittoria”.

5. L’apprezzamento alla stregua dell’art. 132 c.p.c., comma 2, n. 4, della riportata motivazione in funzione della verifica della sua effettività, deve procedere sulla base di un primo rilievo che risulta adeguato rispetto alla premessa di essa, riprodotta sopra sub paragrafo 4.1.

5.1. Il Collegio osserva che i principi di diritto ivi richiamati evidenziano un approccio motivazionale che risulta del tutto privo di giustificazione ed inadeguato in relazione alla funzione che deve svolgere il giudice di appello nella logica che il relativo giudizio conserva nell’ordinamento. Tale giudizio non è, anche dopo le ultime modifiche legislative del 2012, e dunque non era a maggior ragione secondo la disciplina che ebbe a regolare quello che ha giudicato la sentenza impugnata, un giudizio di impugnazione meramente rescindente, ma si connota tuttora e si connotava, sebbene con le limitazioni segnate dal principio di specificità dei motivi, come una impugnazione che nell’ambito di essi ha effetti devolutivi del giudizio e che, dunque, pone il giudice di appello – anche in ragione del rinvio all’art. 359 c.p.c., in generale e al lume dell’art. 356 c.p.c., in particolare – in una posizione per cui nel rendere il suo giudizio si trova sulle questioni prospettate dai motivi nella stessa posizione del giudice di primo grado e, dunque, nella stessa condizione di giudice del merito di quel giudice.

Ciò è stato claris verbis ribadito da Cass., Sez. Un., n. 27199 del 2017, là dove ha statuito che nel senso “della permanente natura di revisio prioris instantiae del giudizio di appello, il quale mantiene la sua diversità rispetto alle impugnazioni a critica vincolata”.

Tanto premesso, quanto emerge dalla parte di motivazione riportata sub 4.1. come una sorta di manifesto programmatico cui la corte anconetana ha dichiarato di ispirarsi, cioè come regola per l’adempimento del suo dovere di giudice d’appello, risulta palesemente contrario al modo in cui un giudice d’appello deve porsi se la decisione di primo grado sia stata sottoposta a critica là dove ha deciso sulla base delle risultanze della c.t.u..

Invero, i principi di diritto che quella corte ha richiamato evocando giurisprudenza di questa corte di legittimità, là dove sottolineano che il giudice di merito, quando condivida i risultati della c.t.u., non è tenuto ad esporre in modo specifico le ragioni della condivisione del percorso logico seguito dal c.t.u., atteso che tale con condivisione fa proprio quel percorso, e che non è tenuto ad analizzare e confutare il contenuto della consulenza di parte quando ponga alla base della propria motivazione considerazioni con esse incompatibili e conformi al parere del c.t.u., risultano innanzitutto richiamati in modo improprio e non consono al dovere di motivare proprio perchè lo sono in via preventiva e senza alcuna giustificazione del perchè sarebbero adeguati all’oggetto dell’appello.

Ma in secondo luogo, quanto ai principi relativi alla possibilità del giudice di merito di richiamarsi alle considerazioni e conclusioni del c.t.u. (evocati nella prima parte della riportata motivazione), risultano richiamati in modo del tutto ingiustificato rispetto alla logica decisionale che deve seguire il giudica di appello.

La ragione è che questa Corte li ha enunciati in sede di giudizio di legittimità nell’esercizio del controllo sulla decisione di merito impugnata con il ricorso per cassazione e, quindi, nell’esercizio di un sindacato che, anche nelle versioni dell’art. 360, n. 5, anteriori a quello vigente, risultava limitato da specifici parametri che indirizzavano come indirizzano il controllo in punto di logicità della motivazione del giudice di merito entro confini ristretti, com’è consono alla natura del giudizio di cassazione, che è processo scritto innestato da una impugnazione a motivi limitati e tipizzati.

Se la corte territoriale, leggendo le massime delle decisioni evocate e le relative motivazioni, avesse riflettuto sul fatto che esse sono state enunciate espressamente alludendo alla censurabilità della motivazione del giudice di merito in sede di legittimità, sarebbe dovuta ben guardare dall’assumerle come premessa della sua motivazione.

Che le decisioni evocate si riferiscano dalla logica del giudizio di cassazione e, quindi, alla sede di scrutinio di legittimità, emerge chiaramente. Si vedano: a) per l’espresso riferimento a tale sede anche nella massima Cass. n. 3881 del 2006, mentre Cass. n. 102020 del 2008 risulta del tutto priva di pertinenza, in quanto non ha affermato il principio indicato dai giudici anconetani; b) il paragrafo 4.3. di Cass. n. 5400 del 2014, non massimata, dal quale risulta evidente che il passo di essa riportato dalla sentenza impugnata si colloca proprio in una enunciazione più ampia tesa ad individuare i limiti del sindacato del giudice di legittimità espletato sulla base del testo dell’art. 360, n. 5, modificato dal D.Lgs. n. 40 del 2006.

Ne segue allora che per questa parte la premessa programmatica motivazionale risulta di per sè fallace, in quanto evidenzia che la corte anconetana ha ritenuto di espletare il suo compito di giudice d’appello come se avesse rivestito la funzione di giudice di legittimità e, quindi, come se avesse avuto i limiti di sindacato proprio del giudizio di cassazione, i quali rappresentano la giustificazione dei richiamati principi di diritto.

La sentenza impugnata, dunque, se, incoerenza con la premessa, si fosse mossa secondo la prospettata logica programmatica, risulterebbe palesemente inadempiente al dovere di rendere la motivazione come dovrebbe fare un giudice d’appello e perciò avrebbe reso una motivazione nulla ai sensi dell’art. 132 c.p.c., comma 2, n. 4.

5.2. La considerazione dei passi motivazionali successivi alla premessa programmatica, sopra riportati, conferma che la corte marchigiana ha reso il suo giudizio proprio conformandosi alla prospettata logica programmatica.

Infatti:

a) l’assunto esplicitato nella breve enunciazione sopra riportata al paragrafo 4.2., che dovrebbe risultare successivamente esplicitato e coerenziato, risulta seguito, come emerge da quanto riportato sopra sub paragrafi 4.3. e 4.4., da un esame rispettivamente delle condotte della Dott.ssa M. e del Dottor R. che si risolve nella mera riproduzione di asserti della c.t.u. privi della pur minima spiegazione del perchè essi sarebbero condivisibili e ciò sia in assoluto, sia al lume del contenuto dell’appello (che la sentenza riassume alle pagine 8-10 e che parte ricorrente ha a sua volta esposto sia nell’esposizione del fatto sia nell’illustrazione del primo motivo);

b) quanto alla condotta della M. la proposizione finale che chiude l’esame si concreta nella mera riproduzione della conclusione della c.t.u., preceduta dalla proposizione “sulla base di tali evenienze, il c.t.u. ha concluso in maniera inequivoca…”: essa risulta del tutto inspiegata in entrambi i termini in cui si articola, così evidenziando che i giudici anconetani hanno palesemente assunto i “panni”, per così dire “ristretti”, che programmaticamente hanno enunciato prima;

c) sempre quanto alla condotta della M., la stessa considerazione – che, peraltro, non si comprende se mutuata dalla c.t.u. o espressa in proprio dalla corte territoriale: ma l’alternativa è ininfluente – svolta a proposito della segnalazione nel referto del 1998 della indicazione “meritevole di controllo TC o RM”, in considerazione delle risultanze dell’ecografia allora eseguita, cioè quella che non appariva “censurabile l’operato del medico di attendere l’evoluzione della situazione così riscontata al fine di verificare l’eventuale stabilizzazione della stessa ovvero una sua modifica in senso accrescitivo”, risulta:

c1) per un verso, del tutto assertoria e, dunque, se espressa come motivazione propria dalla corte territoriale, una vera e propria motivazione inesistente, perchè non esprime il processo logico che la giustifica, mentre, se espressa come condivisione di un assunto della c.t.u., risulta parimenti assertoria di riflesso;

c2) per altro verso, se la spiegazione si rinvenisse enunciata nella finalità di verificare l’evoluzione in senso accrescitivo, essa risulterebbe del tutto priva di logica e, dunque, come tale ridonante sempre in mancanza di motivazione, giacchè non è dato comprendere, secondo un ovvio principio di precauzione tecnica per cui il medico generico non deve ignorare le raccomandazioni del medico specialista, come la Dott.ssa M. abbia potuto ignorare la prescrizione della meritevolezza del controllo TC o RM che veniva dal medico specialista: l’esistenza di tale prescrizione imponeva alla M. di rinvenire e motivare adeguatamente una giustificazione della deroga a quel principio, tanto più tenuto conto del fatto che era stata la stessa M. a prescrivere l’accertamento, e, dunque, risulta palese l’assoluta carenza di una motivazione in proposito da parte della corte marchigiana, la quale avrebbe dovuto dare adeguata spiegazione di come il principio di precauzione sarebbe stato irrilevante;

d) anche quanto alla condotta del R., la motivazione della sentenza impugnata, per come riprodotta sopra, si risolve parimenti nella acritica riproduzione degli asserti del c.t.u., i quali, peraltro, appaiono essi stessi non sempre esplicitati nel loro fondamento e giustificati sul piano logico, mentre l’unica affermazione che parrebbe essere fatta direttamente dalla corte territoriale, quella sul rilievo della “rottura parziale della capsula” appare, quanto all’esegesi dell’espressione “a fine intervento”: d1) non solo del tutto priva di spiegazione sia quanto al fondamento logico della relativa interpretazione ab intrinseco, sia quanto all’eventuale fondamento ab extinseco, dato che nulla si evoca quanto ad elementi probatori acquisiti idonei a giustificarla; d2) ma anche del tutto priva di congruenza.

e) tutto il preteso ordito motivazionale risulta assolutamente carente di qualsiasi riferimento a quelle che genericamente a pagina 21 vengono indicate come “le critiche mosse alla pronuncia impugnata”, sicchè il successivo assunto del loro risolversi “in valutazioni di carattere soggettivo mirando ad un più appagante coordinamento degli elementi fattuali, che, tuttavia, rimane nell’ambito delle possibilità di apprezzamento che non ha trovato adeguato supporto in base alle risultanze processuali acquisite” appare basato sul totale deserto motivazionale ed anzi nuovamente ispirato all’errata logica esposta nella premessa programmatica, come se la corte territoriale fosse stata sollecitata in qualità di giudice di legittimità.

6. Le svolte considerazioni evidenziano allora che la complessiva “motivazione” della corte anconetana sopra riprodotta risulta assolutamente inidonea ad assumere l’effettivo contenuto di una motivazione resa dal giudice d’appello quale giudice di merito, sì da doversi rilevare la manifesta violazione del requisito di contenuto-forma che la sentenza avrebbe dovuto avere come sentenza di merito di un giudice di appello, sicchè la sentenza impugnata risulta nulla per violazione dell’art. 132 c.p.c., comma 2, n. 4 (alla stregua dei consolidati canoni richiamati da Cass., Sez. Un., nn. 8053 e 8054 del 2014).

Il principio di diritto che viene in rilievo è il seguente: “posto che il giudizio di appello continua ad ispirarsi ad una logica devolutiva e, quindi, di revisio prioris istantiae sebbene nei limiti della specificità dei motivi di appello, si deve ritenere affetta da nullità ai sensi dell’art. 132 c.p.c., comma 2, n. 4, la sentenza di appello, la quale, sollecitata dall’appello a controllare la decisione del giudice di primo grado in quanto adagiatasi sulle conclusioni di una c.t.u., con critiche rivolta sia sotto il profilo della mancata considerazione della c.t.p. di parte sia sotto il profilo della intrinseca congruenza, proceda all’esame dell’appello assumendo come premessa programmatica i principi di diritto affermati dalla Corte di Cassazione a proposito dei limiti del sindacato di legittimità sul controllo della motivazione del giudice di merito che abbia condiviso la c.t.u. e, quindi, si limiti ad evocare quest’ultima dichiarando genericamente di condividerne gli assunti, così finendo per procedere all’adempimento del dovere motivazionale non come giudice di appello, ma come se fosse investito di un giudizio di legittimità”.

Quanto ai profili specifici su quali la motivazione è risultata inesistente (l’avere ignorato la raccomandazione dello specialista quanto alla M., la rottura della capsula per il R.), la motivazione risulta talmente incongrua da ridondare in motivazione inesistente.

7. Con riferimento al terzo motivo la censura di mancata pronuncia sulle ragioni dell’appello risulta, se esaminata alla luce delle specifiche indicazioni fornite nel primo motivo, riscontrate dall’esame dell’atto di appello, fondata anch’essa ancorchè superfluamente dato l’accoglimento dell’altra censura. Invero, il tenore dell’atto di appello non è stato nella sostanza esaminato in ragione dell’errato approccio motivazionale seguito dai giudici anconetani.

Restano assorbiti il primo motivo e così pure il secondo.

8. La corte di rinvio, che si designa in altra sezione della Corte di Appello di Ancona, comunque in diversa composizione, provvederà a rendere nuova motivazione ispirandosi alla logica corretta che deve seguire il giudice d’appello come giudice di merito nell’esaminare un appello che critichi una c.t.u. espletata in primo grado e su cui si assuma essersi adagiato il primo giudice e considerando espressamente le ragioni dell’appello particolarmente quanto alle critiche alla c.t.u..

Se del caso la corte di rinvio potrà procedere all’eventuale rinnovazione della c.t.u. sollecitata con l’appello, in quanto la sua statuizione di rigetto dell’istanza di rinnovazione (emergente nelle ultime quattro righe della pagina 21 e nelle prime sei della pagina successiva), essendosi basata sulla caducata motivazione, rimane travolta ai sensi dell’art. 336 c.p.c., comma 1. E ciò a prescindere dalla palese incongruità, dato che è motivata sempre nella logica motivazionale che è stata ritenuta sopra errata.

Al giudice di rinvio è rimesso di provvedere sulle spese del giudizio di legittimità.

P.Q.M.

La Corte accoglie il terzo motivo e cassa in relazione la sentenza impugnata, con assorbimento dei primi due. Rinvia ad altra Sezione della Corte d’Appello di Ancona, comunque in diversa composizione, anche per le spese del giudizio di cassazione.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Terza Civile, il 4 luglio 2019.

Depositato in Cancelleria il 5 maggio 2020

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