Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 8459 del 31/03/2017

Cassazione civile, sez. lav., 31/03/2017, (ud. 07/12/2016, dep.31/03/2017),  n. 8459

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. NOBILE Vittorio – Presidente –

Dott. NEGRI DELLA TORRE Paolo – Consigliere –

Dott. PATTI Adriano Piergiovanni – rel. Consigliere –

Dott. LEO Giuseppina – Consigliere –

Dott. CINQUE Guglielmo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 20860-2011 proposto da:

POSTE ITALIANE S.P.A., C.F. (OMISSIS), in persona del legale

rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIALE

MAZZINI 134, presso lo studio dell’avvocato FIORILLO LUIGI, che la

rappresenta e difende giusta delega in atti;

– ricorrente –

contro

M.M., C.F. (OMISSIS), elettivamente domiciliato in ROMA, VIA

GERMANICO 172, presso lo studio dell’avvocato SERGIO NATALE EDOARDO

GALLEANO, che lo rappresenta e difende giusta delega in atti;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 3733/2010 della CORTE D’APPELLO di ROMA,

depositata il 10/09/2010 r.g.n. 5711/2007;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

07/12/2016 dal Consigliere Dott. ADRIANO PIERGIOVANNI PATTI;

udito l’Avvocato ANNA BUTTAFOCO per delega verbale Avvocato LUIGI

FIORILLO;

udito l’Avvocato ILARIA FARES per delega verbale SERGIO GALLEANO;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

CERONI Francesca, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Fatto

Con sentenza 10 settembre 2010, la Corte d’appello di Roma rigettava l’appello proposto da Poste Italiane s.p.a. avverso la sentenza di primo grado, che aveva accertato la nullità del termine apposto al contratto di lavoro stipulato dalla società il 1 febbraio 2002 con M.M. e la conversione in rapporto a tempo indeterminato, con la condanna della società datrice alla riammissione in servizio del lavoratore; essa dichiarava pure inammissibile l’appello incidentale del secondo.

A motivo della decisione, la Corte territoriale escludeva la risoluzione del contratto per mutuo consenso, nell’insufficienza del solo silenzio del lavoratore, in difetto di ulteriori elementi sintomatici della sua volontà abdicativa, neppure allegati.

Essa negava poi la sussistenza delle specifiche ragioni tecniche organizzative previste anche sotto il regime del D.Lgs. n. 368 del 2001, ritenuto applicabile ratione temporis (al contrario del Tribunale, con correzione della motivazione al riguardo, in riferimento agli scrutinati accordi sindacali richiamati), in quelle genericamente indicate (conseguenti a processi di riorganizzazione funzionali al riposizionamento di risorse sul territorio) nel contratto a termine stipulato tra le parti dal 1 febbraio al 30 aprile 2002, comportante la nullità del termine apposto (che travolgeva così quello stipulato tra le parti dal 1 al 30 giugno 2004); con la coerente conversione del rapporto da tempo determinato a tempo indeterminato, nell’inapplicabilità della disciplina di nullità parziale dell’art. 1419 c.c.

La Corte capitolina ravvisava, infine, l’inammissibilità dell’impugnazione incidentale del lavoratore, in assenza di prova della sua notificazione.

Con atto notificato il 27 agosto 2011, Poste Italiane s.p.a. ricorre per cassazione con cinque motivi; il lavoratore ha comunicato controricorso inammissibile, siccome tardivo (per la sua notificazione ben oltre il termine prescritto dall’art. 370 c.p.c., comma 1), con pari coerente inammissibilità della memoria comunicata ai sensi dell’art. 378 c.p.c.

Il collegio ha autorizzato, come da decreto del Primo Presidente in data 14 settembre 2016, la redazione della motivazione in forma semplificata.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Con il primo motivo, la ricorrente deduce violazione e falsa applicazione dell’art. 1372 c.c., comma 1, artt. 1175, 1375, 2697, 1427 e 1431 c.c., art. 100 c.p.c., ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, per erronea esclusione della risoluzione per mutuo consenso, ben applicabile anche ai contratti di lavoro a tempo determinato, di quello stipulato tra le parti il 1 febbraio 2002, chiaramente risultante dalla prolungata inerzia (oltre quattro anni) dalla cessazione del rapporto di lavoro (durato tre soli mesi), da leggere con le sintomatiche circostanze dell’avere M.M. lavorato alle proprie dipendenze una sola volta, senza sollecitazione di una nuova assunzione, nè giustificazione di una tanto lunga inerzia, ridondante in carenza di interesse ad agire.

Con il secondo, la ricorrente deduce violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 368 del 2001, art. 1, commi 1 e 2, art. 4, comma 2, art. 12 preleggi, art. 1362 c.c. e ss., art. 1325 c.c. e ss., ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, per erronea esclusione della ricorrenza delle specifiche ragioni tecniche organizzative individuate dal rinvio puntuale del contratto a termine stipulato agli accordi sindacali del 17, 18 e 23 ottobre, 11 dicembre 2001, 11 gennaio, 13 febbraio e 17 aprile 2002.

Con il terzo, la ricorrente deduce vizio di omessa ed insufficiente motivazione, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, sul fatto controverso e decisivo di ricorrenza delle specifiche ragioni tecniche organizzative giustificanti il contratto a termine stipulato nell’effettivo processo di riorganizzazione e riposizionamento delle risorse sul territorio, documentato dagli accordi sindacali suindicati.

Con il quarto, la ricorrente deduce vizio di omessa ed insufficiente motivazione, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, sulla mancata ammissione del capitolo di prova dedotto sub 11), decisivo ai fini dell’integrazione probatoria della ricorrenza delle ragioni tecniche ed organizzative giustificanti la stipulazione del contratto a termine.

Con il quinto, la ricorrente deduce violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 368 del 2001, art. 4, comma 2, art. 2697 c.c., artt. 115, 116, 244 e 253 c.p.c., art. 421 c.p.c., comma 2, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, per erronea attribuzione dell’onere probatorio della ricorrenza delle ragioni tecniche e organizzative (peraltro documentata in base ai suindicati accordi sindacali), alla società datrice (cui invece spettante solo in caso di proroga e non di prima istituzione del contratto), anzichè della loro insussistenza alla lavoratrice.

Il primo motivo, relativo a violazione e falsa applicazione dell’art. 1372 c.c., comma 1, artt. 1175, 1375, 2697, 1427 e 1431 c.c., art. 100 c.p.c., per erronea esclusione della risoluzione per mutuo consenso, è infondato.

Il solo decorso del tempo, in assenza di circostanze significative di una chiara e certa comune volontà delle parti medesime di porre definitivamente fine ad ogni rapporto lavorativo, è infatti inidoneo ad integrare un’ipotesi di risoluzione per mutuo consenso (Cass. 28 gennaio 2014, n. 1780; Cass. 1 luglio 2015, n. 13535; Cass. 22 dicembre 2015, n. 25844).

Del resto, si tratta comunque di valutazione del significato e della portata del complesso di elementi di fatto di competenza del giudice di merito (Cass. 13 febbraio 2015, n. 2906) le cui conclusioni non sono censurabili in sede di legittimità se non sussistono vizi logici o errori di diritto (Cass. 4 agosto 2011, n. 16932, con affermazione di principio ai sensi dell’art. 360bis c.p.c., n. 1), da escludere nel caso di specie (per le ragioni esposte negli ultimi due capoversi di pg. 2 della sentenza).

Il secondo motivo (violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 368 del 2001, art. 1, commi 1 e 2, D.Lgs. n. 368 del 2001, art. 4, comma 2, art. 12 preleggi, art. 1362 c.c. e ss., art. 1325 c.c. e ss., per erronea esclusione della ricorrenza delle specifiche ragioni tecniche organizzative individuate negli accordi sindacali del 17, 18 e 23 ottobre, 11 dicembre 2001, 11 gennaio, 13 febbraio e 17 aprile 2002) può essere congiuntamente esaminato, per ragioni di stretta connessione, con il terzo (omessa ed insufficiente motivazione sulla ricorrenza delle suddette ragioni tecniche organizzative) e con il quarto (omessa e insufficiente motivazione sulla mancata ammissione del capitolo di prova dedotto sub 11).

Essi sono infondati.

La Corte territoriale ha in proposito condotto un argomentato e critico esame del contenuto dei citati accordi sindacali, richiamati, nel contratto individuale stipulato da Poste Italiane s.p.a. con M.M., a giustificazione delle “esigenze tecniche, organizzative e produttive anche di carattere straordinario conseguenti a processi di riorganizzazione, ivi ricomprendendo un più funzionale riposizionamento di risorse sul territorio, anche derivanti da innovazioni tecnologiche, ovvero conseguenti all’introduzione e/o sperimentazione di nuove tecnologie, prodotti o servizi nonchè all’attuazione delle previsioni” in essi indicate. Ed ha pertanto operato un accertamento in fatto, insindacabile in sede di legittimità, per la sua motivazione congrua e corretta (per le ragioni esposte al secondo e terzo capoverso di pg. 7 della sentenza), in ordine alla non ricorrenza in concreto della specificità delle ragioni indicate D.Lgs. n. 368 del 2001, ex art. 1: e ciò neppure per relationem agli accordi richiamati (Cass. 11 febbraio 2015, n. 2680; Cass. 25 maggio 2012, n. 8286; Cass. 1 febbraio 2010, n. 2279).

La Corte d’appello, inoltre, ha anche escluso la sussistenza delle ragioni “genericamente” indicate.

Ed anche l’esclusione del mezzo istruttorio dedotto da Poste Italiane è stato oggetto di valutazione congrua ed argomentata, sia pure succinta (per le ragioni esposte al quarto capoverso, in riferimento al terzo, di pg. 7 della sentenza), pertanto insindacabile in sede di legittimità. Inoltre il quarto mezzo è pure viziato per difetto della specificità prescritta dall’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6, in violazione del principio di autosufficienza, per omessa trascrizione, non parlandone esplicitamente la sentenza, della sua reiterazione nell’atto di appello (Cass. 19 agosto 2015, n. 16900; Cass. 9 aprile 2013, n. 8569; Cass. 16 marzo 2012, n. 4220; Cass. 23 marzo 2010, n. 6937).

Il quinto motivo, relativo a violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 368 del 2001, art. 4, comma 2, art. 2697 c.c., artt. 115, 116, 244 e 253 c.p.c., art. 421 c.p.c., comma 2, per erronea attribuzione dell’onere probatorio della ricorrenza delle ragioni tecniche e organizzative alla società datrice, anzichè della loro insussistenza alla lavoratrice, è infondato.

La Corte capitolina ha correttamente attribuito al datore di lavoro l’onere probatorio delle ragioni di carattere tecnico, produttivo, organizzativo o sostitutivo, giustificanti l’apposizione del termine al contratto di lavoro subordinato, ai sensi del D.Lgs. n. 368 del 2001, art. 1, in quanto regime derogatorio alla forma comune del rapporto di lavoro, che è a tempo indeterminato (Cass. 27 marzo 2014, n. 7244; Cass. 21 maggio 2008, n. 12985). Per tale ragione, esso costituisce a fortiori onere datoriale rispetto a quello, esplicitamente normato (art. 4, secondo comma d.lg. cit.), dell’ipotesi di proroga del termine (Cass. 21 gennaio 2016, n. 1058).

Dalle superiori argomentazioni discende coerente il rigetto del ricorso, con la regolazione delle spese del giudizio secondo il regime di soccombenza, tenuto conto dell’inammissibilità del controricorso (e della memoria ai sensi dell’art. 378 c.p.c.), limitatamente alla partecipazione del difensore all’odierna discussione e con distrazione in suo favore, conforme a richiesta.

PQM

LA CORTE

rigetta il ricorso e condanna Poste Italiane s.p.a. alla rifusione, in favore di M.M., delle spese del giudizio, che liquida in Euro 100,00 per esborsi e Euro 1.500,00 per compensi professionali, oltre rimborso per spese generali in misura del 15% e accessori di legge, con distrazione al difensore antistatario.

Così deciso in Roma, il 7 dicembre 2016.

Depositato in Cancelleria il 31 marzo 2017

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