Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 8458 del 05/05/2020
Cassazione civile sez. VI, 05/05/2020, (ud. 18/06/2019, dep. 05/05/2020), n.8458
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SESTA CIVILE
SOTTOSEZIONE L
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. DORONZO Adriana – Presidente –
Dott. ESPOSITO Lucia – Consigliere –
Dott. RIVERSO Roberto – Consigliere –
Dott. SPENA Francesca – Consigliere –
Dott. CAVALLARO Luigi – rel. Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 8315-2018 proposto da:
L.A., elettivamente domiciliato in ROMA, PIAZZA CAVOUR,
presso la CORTE DI CASSAZIONE, rappresentato e difeso dall’avvocato
CARLO LINDO DEL GAUDIO;
– ricorrente –
contro
NUOVA EDILIZIA DI G.A.D. & C. S.AS, in persona
del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in
ROMA, VIA PARTENOPE 131, presso lo studio dell’avvocato LUIGI
VELTRI, rappresentata e difesa dall’avvocato MARIA CLARA CICONTE;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 2199/2017 della CORTE D’APPELLO di CATANZARO,
depositata il 09/01/2018;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non
partecipata del 18/06/2019 dal Consigliere Relatore Dott. CAVALLARO
LUIGI.
Fatto
RILEVATO IN FATTO
che, con sentenza depositata il 9.1.2018, la Corte d’appello di Catanzaro, in riforma della pronuncia di primo grado, ha rigettato la domanda proposta da L.A. volta al pagamento di differenze retributive maturate nel corso del rapporto di lavoro precorso con Nuova Edilizia di G.A.D. & C. s.a.s.;
che avverso tale pronuncia L.A. ha proposto ricorso per cassazione, deducendo tre motivi di censura;
che Nuova Edilizia di G.A.D. & C. s.a.s. ha resistito con controricorso;
che è stata depositata proposta ai sensi dell’art. 380-bis c.p.c., ritualmente comunicata alle parti unitamente al decreto di fissazione dell’adunanza in camera di consiglio.
Diritto
CONSIDERATO IN DIRITTO
che, con il primo motivo, il ricorrente denuncia violazione e falsa applicazione dell’art. 437 c.p.c., per avere la Corte di merito ammesso la produzione da parte dell’odierna controricorrente di una “perizia attestante lavori ultimati molto prima del ricorso in appello” (così il ricorso, pag. 3) che avrebbe potuto e dovuto essere depositata nel corso del giudizio di primo grado;
che, con il secondo motivo, il ricorrente lamenta violazione dell’art. 2697 c.c. per avere la Corte territoriale ritenuto che i fatti costitutivi della sua domanda fossero rimasti indimostrati;
che, con il terzo motivo, il ricorrente si duole di “omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa le risultanze probatorie” (così il ricorso, pag. 6) per avere la Corte di merito ritenuto scarsamente significative le deposizioni dei testi V. e Va.;
che il primo motivo è inammissibile per difetto di specificità, non essendo stato trascritto nel ricorso per cassazione il contenuto della perizia che si assume erroneamente ammessa ex art. 437 c.p.c. e non potendosi conseguentemente compiere alcun giudizio prognostico circa la sua effettiva indispensabilità ai fini del decidere, ciò che è invece necessario al fine di poter ritenere sussistente l’error in procedendo denunciato (cfr. Cass. n. 1277 del 2016);
che del pari inammissibile è il secondo motivo, avendo questa Corte ormai consolidato il principio secondo cui una violazione dell’art. 2697 c.c. censurabile per cassazione ex art. 360 c.p.c., n. 3 è configurabile soltanto nell’ipotesi in cui il giudice abbia attribuito l’onere della prova ad una parte diversa da quella che ne era onerata secondo le regole di scomposizione delle fattispecie basate sulla differenza tra fatti costitutivi ed eccezioni e non anche quando – come nella specie – l’oggetto della censura sia la valutazione che il giudice abbia svolto delle prove proposte dalle parti, che invece è sindacabile in sede di legittimità entro i limiti dell’art. 360 c.p.c., n. 5 (cfr. da ult. Cass. n. 13395 del 2018);
che del tutto inammissibile, infine, è il terzo motivo, mirando all’evidenza ad un riesame del materiale istruttorio acquisito al processo e utilizzato dai giudici per pervenire al giudizio (di fatto) di insussistenza dei presupposti fattuali della domanda, del quale si propone una diversa e soggettivamente più appagante lettura che, tuttavia, non è possibile in questa sede di legittimità (Cass. S.U. n. 8053 del 2014);
che il ricorso, conclusivamente, va dichiarato inammissibile, provvedendosi come da dispositivo sulle spese del giudizio di legittimità, giusta il criterio della soccombenza;
che sussistono i presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, ove dovuto.
P.Q.M.
La Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna parte ricorrente alla rifusione delle spese del giudizio di legittimità, che si liquidano in Euro 2.700,00, di cui Euro 2.500,00 per compensi, oltre spese generali in misura pari al 15% e accessori di legge.
Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.
Così deciso in Roma, nell’adunanza camerale, il 18 giugno 2019.
Depositato in Cancelleria il 5 maggio 2020