Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 8457 del 13/04/2011

Cassazione civile sez. lav., 13/04/2011, (ud. 08/03/2011, dep. 13/04/2011), n.8457

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. FOGLIA Raffaele – Presidente –

Dott. DE RENZIS Alessandro – Consigliere –

Dott. FILABOZZI Antonio – Consigliere –

Dott. MELIADO’ Giuseppe – rel. Consigliere –

Dott. TRICOMI Irene – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

D.L., M.M., elettivamente domiciliati in ROMA,

PIAZZA RISORGIMENTO 59, presso lo studio dell’avvocato VIOLA

GIANCARLO, rappresentati e difesi dall’avvocato RICCIUTI BRUNO,

giusta delega in atti;

– ricorrenti –

contro

AZIENDA U.S.L. CHIETI, in persona del legale rappresentante pro

tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DELLA CONCILIAZIONE

10, presso lo studio dell’avvocato SCORDAMAGLIA VINCENZO,

rappresentata e difesa dall’avvocato GIUNGI RODOLFO, giusta delega in

atti;

– controricorrente incidentale –

avverso la sentenza n. 1326/2008 della CORTE D’APPELLO di L’AQUILA,

depositata il 10/12/2008 R.G.N. 42/04 + altri;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

08/03/2011 dal Consigliere Dott. GIUSEPPE MELIADO’;

udito l’Avvocato GIUNGI RODOLFO;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

CESQUI Elisabetta che ha concluso per il rigetto di entrambi i

ricorsi.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con sentenza in data 18 settembre/10 dicembre 2008 la Corte di appello dell’Aquila, in parziale accoglimento dell’appello proposto dall’Azienda USL di Chieti (di seguito l’Azienda) nelle cause riunite proposte avverso la stessa da M.M. e D.L. ed in riforma delle sentenze di primo grado, condannava l’Azienda a corrispondere a favore della M. la somma di Euro 1.365,35 e in favore del D. la somma di Euro 5.877,11, quali compensi dovuti in relazione all’attivita’ medico professionale svolta in regime di convenzione con il SSN. Osservava in sintesi la corte territoriale che, ai sensi della L. n. 724 del 1994, art. 6 doveva ritenersi la carenza di legittimazione passiva dell’Azienda per i debiti anteriori al 31.12.1994, non potendo le regioni far gravare sulle unita’ sanitarie locali i debiti facenti capo alle gestioni pregresse, dovendosi a tal fine predisporre apposite gestioni stralcio ed avvalersi dei commissari liquidatori di esse come propri organi, e che, in esito agli accertamenti contabili esperiti, i crediti degli appellati erano risultati inferiori a quelli liquidati con i decreti ingiuntivi opposti dall’Azienda. Per la cassazione della sentenza propongono ricorso D.L. e M.M. con sette motivi, illustrati con memoria. Resiste con controricorso l’Azienda, la quale ha anche proposto ricorso incidentale.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo del ricorso principale, svolto ai sensi dell’art. 360, n. 5 in relazione all’art. 347 c.p.c., comma 3, i ricorrenti eccepiscono la nullita’ del giudizio rubricato con il numero 64/2004, per non avere la corte territoriale disposto l’acquisizione del fascicolo di ufficio relativo al giudizio di primo grado, pur trattandosi di adempimento necessario per la corretta rilevazione del numero e dei nominativi dei pazienti in contestazione.

Con il secondo motivo i ricorrenti prospettano vizio di motivazione (art. 360 c.p.c., n. 5) con riferimento alla mancata declaratoria di inammissibilita’ dell’appello proposto avverso la sentenza n. 82/2004, relativa al processo rubricato con il numero 318/2004, stante la mancanza di idonea deliberazione di autorizzazione a stare in giudizio, nonche’ di idonea procura all’impugnazione.

Con il terzo motivo, svolto ai sensi dell’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5 i ricorrenti si dolgono della mancata applicazione della direttiva CE 14.2.1977 n. 187 e reiterano la richiesta di rinvio pregiudiziale alla Corte di Giustizia CE in ordine all’applicazione della direttiva ai medici convenzionati, in quanto lavoratori comunitari, atteso che tale nozione non puo’ definirsi con mero rinvio al diritto degli stati membri e che, comunque, non poteva essere interpretata restrittivamente, giacche’ la qualificazione formale di lavoratore autonomo, secondo il diritto nazionale, non esclude che una persona debba essere qualificata come lavoratore comunitario, se l’indipendenza dello stesso sia meramente fittizia.

Con il quarto e quinto motivo i ricorrenti lamentano che la corte territoriale non aveva considerato che la L. n. 724 del 1994, art. 6 non risultava riferibile ai crediti derivanti da un rapporto di lavoro e che, comunque, nel caso doveva trovare applicazione la speciale disciplina posta dalla L.R. 24 dicembre 1996, n. 146, art. 41 ribadita dalla Legge di Interpretazione Autentica 29 novembre 1999, n. 123 che aveva previsto la successione delle aziende sanitarie, e non della regione, alle unita’ sanitarie locali.

Con il sesto motivo la sentenza impugnata viene censurata per difetto di motivazione su un punto decisivo della controversia non avendo i giudici del riesame tenuto conto, ai fini del calcolo dei compensi dovuti, dei documenti acquisiti al processo e degli specifici rilievi svolti dal consulente tecnico di parte.

Con l’ultimo motivo, infine, i ricorrenti lamentano, riguardo alla liquidazione delle spese processuali, la violazione dei minimi inderogabili di tariffa, nonche’ della regola per cui, in caso di giudizi riuniti, la liquidazione delle competenze difensive va operata con riferimento a ciascun giudizio, e non in misura globale e senza tener conto delle somme partitamente riconosciute e dei singoli scaglioni di riferimento. Lamentano, altresi’, la mancata liquidazione delle spese relative al procedimento monitorio.

2. Con i due motivi del ricorso incidentale l’Azienda lamenta vizio di motivazione (art. 360 c.p.c., n. 5) sulle circostanze, ritualmente dedotte, che, con riferimento ad alcuni degli assistiti, i compensi dovuti erano stati regolarmente corrisposti e che le somme oggetto di condanna erano state in toto determinate senza tener conto degli oneri contributivi e tributari di legge.

3. I ricorsi vanno preliminarmente riuniti ai sensi dell’art. 335 c.p.c..

4. Il primo motivo e’ infondato, per inammissibilita’ della relativa censura. Anche a non considerare, infatti, che l’acquisizione del fascicolo di ufficio di primo grado ha una funzione meramente sussidiaria, nel senso che la sua acquisizione e’ disposta discrezionalmente dal giudice dell’impugnazione qualora lo ritenga necessario, appare, nel caso, dirimente la costatazione che non risulta in alcun modo documentato ove (e, quindi, in quale atto ed in quali termini) la richiesta di acquisizione del fascicolo sia stata formulata, per come richiesto dal canone di necessaria autosufficienza del ricorso per cassazione, che, come noto, secondo il costante insegnamento di questa Suprema Corte, impone alla parte che denuncia, in sede di legittimita’, il difetto di motivazione su un’istanza di ammissione di un mezzo istruttorio o sulla valutazione di un documento o di atti e risultanze probatori e processuali, l’onere di documentare specificamente l’istanza istruttoria, le circostanze oggetto della prova o il contenuto del documento o dell’atto trascurato o erroneamente interpretato dal giudice di merito, provvedendo alla relativa trascrizione, al fine di consentire il controllo della decisivita’ dei fatti allegati e da provare, dato che questo controllo, per il principio di autosufficienza del ricorso per cassazione, deve poter essere compiuto dalla Corte di cassazione sulla base delle deduzioni contenute nell’atto, alle cui lacune non e’ consentito sopperire con indagini integrative.

5. Il secondo motivo e’, invece, inammissibili per inosservanza dell’art. 366 bis c.p.c., ultima parte vigente ratione temporis.

Con tale motivo, infatti, i ricorrenti prospettano, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5 omessa decisione su un punto decisivo della controversia, senza che, tuttavia, risulti, per come richiesto dalla norma indicata, un quid pluris rispetto all’illustrazione del motivo, e cioe’ una autonoma e sintetica rilevazione dei fatti processuali rispetto ai quali si assume il vizio di motivazione.

Deve, infatti, confermarsi, in aderenza a quanto gia’ ritenuto da questa Suprema Corte, come l’onere imposto in parte qua dall’art. 366 bis c.p.c. deve essere adempiuto non solo illustrando il motivo, ma anche formulando, al termine di esso e , comunque, in una parte del motivo a cio’ espressamente dedicata, una indicazione riassuntiva e sintetica che costituisca un quid pluris rispetto all’illustrazione del ricorso e valga ad evidenziare, in termini immediatamente percepibili, il vizio motivazionale prospettato, e quindi l’ammissibilita’ del ricorso stesso (cfr. Cass. ord. n. 8897/2008;

Cass. ord. n. 20603/2007; Cass. ord. n. 16002/2007).

A cio’ si aggiunga che il motivo appare inammissibile anche sotto altro, ma collegato aspetto, dal momento che con lo stesso si denuncia contestualmente, e, quindi, contraddittoriamente, sia il vizio di omessa pronuncia che di omessa motivazione su un punto decisivo della controversia. E cio’ sebbene il primo implichi la completa omissione del provvedimento indispensabile per la soluzione del caso concreto, traducendosi in una violazione dell’art. 112 c.p.c. che deve essere fatta valere esclusivamente a norma dell’art. 360 c.p.c., n. 4 e non con la violazione di norme di diritto sostanziale, ovvero del vizio di motivazione ex art. 360 c.p.c., n. 5; il secondo l’erroneo apprezzamento da parte del giudice di merito delle questioni prospettate dalla parte e dal primo esaminate, che va denunciato, invece, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5 (per come e’ da costante insegnamento di questa Corte: v. ad es. Cass. n. 15882/2007).

6. Il terzo motivo e’ infondato.

Lamentano i ricorrenti che i giudici di merito non hanno ravvisato i presupposti per l’applicazione, nella fattispecie del rapporto di lavoro dei medici convenzionati, della direttiva comunitaria n. 77/187, temporalmente vigente, pur essendo la nozione di lavoratore comunitario riferibile anche a questi ultimi e non prevedendo la disciplina comunitaria alcuna esclusione in caso di riorganizzazione amministrativa.

Non si puo’, tuttavia, non rammentare, sotto il primo aspetto, che, in forza di una giurisprudenza costante, la nozione di lavoratore, che riveste una portata comunitaria e non puo’ essere interpretata restrittivamente, deve essere definita in base ai criteri obiettivi che caratterizzano il rapporto di lavoro sotto il profilo dei diritti e degli obblighi delle persone interessate. Ne deriva che la caratteristica essenziale del rapporto di lavoro e’ la circostanza che una persona fornisca, per un certo periodo di tempo, a favore di un’altra e sotto la direzione di quest’ultima, prestazioni in contropartita delle quali riceve una retribuzione.

Sebbene, quindi, ne’ la natura sui generis del rapporto di lavoro rispetto al diritto nazionale, ne’ tanto meno la produttivita’ piu’ o meno elevata dell’interessato o l’origine delle risorse per la retribuzione o ancora la modesta entita’ di quest’ultima possono avere alcuna incidenza sulla qualita’ di lavoratore ai sensi del diritto comunitario, appare essenziale, ai fini dell’acquisizione di tale status, che il giudice verifichi lo svolgimento di una attivita’ lavorativa effettiva e reale, l’esistenza di un vincolo di subordinazione e la corresponsione di una retribuzione (v. fra le altre C. Giust., sez. 5^, 17.7.2008, causa n. 94/07, Raccanelli, punti 32 e 33; C. Giust. , sez. 4^, 20.9.2007, causa C- 116/06, Kiiski, punti 25 e 26 ; C. Giust. 23.3.2004, seduta plenaria, causa C- 138/02, Collins, punto 26; C. Giust, sez 6^, 19.11.2002, causa C 188/00, Kurz, punto 32).

Secondo l’ordinamento interno, e’ acquisita l’affermazione che i rapporti fra i medici convenzionati esterni e le unita’ sanitarie locali, disciplinati dalla L. n. 833 del 1978, art. 48 e dagli accordi collettivi nazionali stipulati in attuazione di tale norma, pur se costituiti allo scopo di soddisfare le finalita’ istituzionali del servizio sanitario nazionale, dirette a tutelare la salute pubblica, corrispondono a rapporti libero professionali, che si svolgono di norma su un piano di parita’, non esercitando l’ente pubblico nei confronti del medico convenzionato alcun potere autoritativo, al di fuori di quello di sorveglianza, ne’ potendo incidere unilateralmente, limitandole o degradandole ad interessi legittimi, sulle posizioni di diritto soggettivo discendenti per il professionista dal rapporto di lavoro autonomo (v. ad es. Cass. SU. n. 20344/2005).

Ne deriva che, alla stregua del diritto del lavoro nazionale, nel rapporto in esame non sono riscontrabili gli indici normativi della subordinazione, ma quelli del rapporto di lavoro autonomo parasubordinato, che rendono irriferibile, secondo la univoca giurisprudenza rammentata, la prestazione d’opera alla nozione comunitaria di lavoratore, che, per quanto destinata ad incidere sui molteplici ambiti di intervento della disciplina europea, presuppone l’esistenza del vincolo della subordinazione. L’esclusione dall’ambito di applicazione della direttiva di persone non tutelate in quanto lavoratori in base alla normativa nazionale rende di per se’ superfluo l’esame degli ulteriori rilievi dei ricorrenti, rispetto ai quali va, comunque, osservato che, secondo l’orientamento del giudice comunitario, dalla sfera oggettiva di applicazione della direttiva 77/187 resta, in ogni caso, esente la riorganizzazione di strutture della pubblica amministrazione o il trasferimento di funzioni amministrative tra pubbliche amministrazioni.

Una tale interpretazione- si e’ osservato- appare in linea con la finalita’ della disciplina, consistente nel garantire la continuita’ dei rapporti di lavoro esistenti all’interno di una unita’ economica, indipendentemente dal mutamento del titolare di quest’ultima, ed e’ avvalorata dalle modificazioni introdotte dalla direttiva n. 50 del 1998 al testo originario di quella del 1977 (art. 1, n. 1 lett. c), essendosi in questa sede espressamente confermato che una riorganizzazione amministrativa di enti amministrativi pubblici o il trasferimento di funzioni amministrative tra enti amministrativi pubblici non costituisce trasferimento ai sensi della direttiva medesima (cfr. C. Giust. 26.9.2000, causa C- 175/99, Mayeur, punti 33 e 34). Quanto, poi, alla asserita coesistenza in capo al D. di un rapporto di lavoro dipendente con l’ex USL di Chieti, basti osservare che, non solo non si e’ dimostrato che tale censura fosse stata tempestivamente prospettata (nel giudizio di primo grado), ma che, in ogni caso, la stessa appare irrilevante, traendo origine i crediti in contestazione dal rapporto di lavoro convenzionato.

7. Alla luce dei precedenti questa Suprema Corte, non meritevoli di accoglimento appaiono anche il quarto e quinto motivo del ricorso.

Costituisce, infatti, giurisprudenza acquisita che, a seguito dell’entrata in vigore della L. n. 724 del 1994, art. 6 e della successiva L. n. 549 del 1995, art. 2, comma 14 si e’ verificata una successione ex lege, a titolo particolare, delle regioni nei rapporti obbligatori di pertinenza delle soppresse USL, con la conseguenza che i debiti di pertinenza di queste ultime non possono piu’ gravare sulle neo costituite AUSL, essendo state individuate nelle regioni i soggetti giuridici obbligati ad assumere a proprio carico i debiti degli organismi soppressi (v. ad es. Cass. n. 5063/2010; Cass. n. 8826/2007; Cass. n. 11755/2006, Cass. n. 7529/2005). Con riferimento, poi, alla L.R. Abruzzo n. 146 del 1996, art. 41, va, in parti modo, ribadito che tale disposizione deve essere interpretata, in conformita’ alle rammentate disposizioni della legislazione nazionale, nel senso che, nelle controversie relative ai debiti delle soppresse USL, ente passivamente legittimato e’ la regione, quale titolare delle singole gestioni liquidatorie, e non le aziende sanitarie, e che, in tal contesto, la successiva L.R. n. 123 del 1999, art. 1, comma 7 (ai sensi della quale “e’ esclusa ogni legittimazione passiva- sostanziale e processuale della regione- stante la diretta ed esclusiva responsabilita’ contabile delle gestioni liquidatorie a tutto il 31.12.1994”) , pur qualificata di interpretazione autentica della L. n. 146, ha, in realta’, valore innovativo, in quanto divergente dai principi posti dalla legislazione nazionale, e non puo’ trovare applicazione in fattispecie realizzatesi, come nel caso in esame, prima della sua entrata in vigore (cfr. Cass. n. 10060/2010; Cass. n. 18449/2007).

8. Infondato e’ anche il sesto motivo.

Da atto sul punto la sentenza impugnata che il consulente nominato in grado di appello ha determinato il numero degli assistiti tenendo anche conto dei rilievi mossi dai ricorrenti ed elaborando i conteggi “sulla base del compenso medio di ciascun assistito, che, per il dott. D., il quale nei periodi interessati aveva piu’ di 500 assistiti, e’ pari a L. 986, per la dr.ssa M. a L. 1.103, in base alle tabelle fornite dal servizio della regione Abruzzo, allegate agli atti. Servizio che elabora direttamente i compensi spettanti ai medici di base”.

A fronte di tale accertamento i ricorrenti lamentano l’erroneita’ degli importi liquidati, “nonostante le specifiche e circostanziate critiche mosse dal consulente tecnico” di parte, che la corte di merito ha, invero, preso in considerazione e che, in questa sede, peraltro, i ricorrenti nemmeno hanno puntualmente documentato, con la trascrizione delle difese richiamate, per come era pur imposto dal canone di necessaria autosufficienza del ricorso per cassazione.

In ogni caso, deve rammentarsi come costituisca giurisprudenza acquisita di questa Suprema Corte, in tema di criteri di valutazione degli accertamenti tecnici disposti dal giudice, che il giudice di merito che riconosce convincenti le conclusioni del consulente tecnico non e’ tenuto ad esporre in modo specifico le ragioni che inducono a far propri gli argomenti dell’ausiliare se dalle indicazioni della consulenza tecnica possa desumersi che le contrarie indicazioni delle parti siano state rigettate, dato che in tal caso l’obbligo della motivazione e’ assolto con l’indicazione delle fonti dell’apprezzamento espresso (v. ad es. da ultimo Cass. n. 10688/2008;

Cass. n. 8165/2001), senza che sia neppure necessario che egli si soffermi sulle contrarie deduzioni dei consulenti di fiducia, che, anche se non espressamente confutate, restano implicitamente disattese perche’ incompatibili con le argomentazioni accolte (cfr.

Cass. n. 8355/2007).

9. Inammissibile e’, infine, il settimo motivo.

Se e’ vero, infatti, che il giudice, in presenza di una nota specifica prodotta dalla parte , in tutto o in parte, vittoriosa, non puo’ limitarsi ad una globale determinazione, in misura inferiore a quella esposta, dei diritti di procuratore e degli onorari di avvocato, ma ha l’onere di dare adeguata motivazione della eliminazione o riduzione di voci da lui operata, allo scopo di consentire, attraverso il sindacato di legittimita’, l’accertamento della conformita’ della liquidazione a quanto risulta dagli atti e dalle tariffe, in relazione alla inderogabilita’ dei relativi minimi, a norma della L. n. 794 del 1942, art. 24 tuttavia, ove il ricorso per cassazione avverso la liquidazione delle spese processuali operata dal giudice di merito non riporti le singole voci della nota spese ridotta globalmente, esso non consente di verificare la pretesa violazione dei minimi tariffari, sia per i diritti che per gli onorari, e, pertanto, non essendo autosufficiente, e’ inammissibile.

Principi che valgono per tutti i casi di scostamento dagli importi richiesti con la nota spese, anche se dovuti a pura pretermissione di quest’ultima, perche’ cio’ che rileva e’ il rispetto dei minimi tariffari (cfr., ad es. Cass. n. 21325/2005).

Nel caso, i ricorrenti hanno prodotto, unitamente al ricorso per cassazione, non l’originaria nota spesa allegata al giudizio di appello, ne’, comunque, ne hanno trascritto il contenuto, quanto delle nuove note, redatte successivamente alla definizione del processo di appello e relative alle competenze che la corte territoriale avrebbe dovuto liquidare in relazione al valore dei singoli giudizi (che la corte abbruzzese, peraltro, aveva riunito e deciso con un’unica sentenza). Palese risulta, pertanto, la violazione del canone di autosufficienza del ricorso, alla luce dei principi indicati.

10. Quanto, poi, ad entrambi i motivi del ricorso incidentale, deve dichiararsene l’inammissibilita’ per inosservanza dell’art. 366 bis c.p.c., ultima parte.

Con tale motivo, infatti, i ricorrenti prospettano, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5 omessa decisione su un punto decisivo della controversia, senza che, tuttavia, risulti, per come richiesto dalla norma indicata, un quid pluris rispetto all’illustrazione del motivo, e cioe’ una autonoma e sintetica rilevazione dei fatti processuali rispetto ai quali si assume il vizio di motivazione, in conformita’ ai principi di diritto gia’ in precedenza richiamati (v.

secondo motivo del ricorso principale).

11. Entrambi i ricorsi vanno pertanto rigettati.

Stante la reciproca soccombenza, ricorrono giusti motivi per compensare integralmente le spese.

P.Q.M.

LA CORTE riunisce i ricorsi e li rigetta, compensa le spese.

Cosi’ deciso in Roma, il 8 marzo 2011.

Depositato in Cancelleria il 13 aprile 2011

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