Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 8456 del 13/04/2011

Cassazione civile sez. lav., 13/04/2011, (ud. 08/02/2011, dep. 13/04/2011), n.8456

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MIANI CANEVARI Fabrizio – Presidente –

Dott. DE RENZIS Alessandro – Consigliere –

Dott. DI CERBO Vincenzo – Consigliere –

Dott. FILABOZZI Antonio – rel. Consigliere –

Dott. BALESTRIERI Federico – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

POSTE ITALIANE S.P.A., in persona del legale rappresentante pro

tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, LUNGOTEVERE MICHELANGELO

9, presso lo studio dell’avvocato TRIFIRO’ & PARTNERS,

rappresentata

e difesa dall’avvocato BERETTA STEFANO, giusta delega in atti;

– ricorrente –

contro

D.M.E., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DEGLI

SCIPIONI 268/A, presso lo studio dell’avvocato FRATTARELLI PIERO,

rappresentato e difeso dall’avvocato TURCHETTA ATTILIO, giusta delega

in atti;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 391/2006 della CORTE D’APPELLO di VENEZIA,

depositata il 19/08/2006 R.G.N. 881/2004;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

08/02/2011 dal Consigliere Dott. ANTONIO FILABOZZI;

udito l’Avvocato PATRIZIA MITTIGA ZANDRI per delega BERETTA STEFANO;

udito l’Avvocato FRATTARELLI PIERO per delega TURCHETTA ATTILIO;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

MATERA Marcello, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

D.M.E. ha impugnato con ricorso davanti al Tribunale di Venezia le sanzioni disciplinari irrogategli dalla societa’ Poste Italiane spa con provvedimenti del 8.2.2000 e 27.2.2001, entrambe consistenti nella sospensione dal servizio e dalla retribuzione per giorni dieci, e il licenziamento intimatogli il 23.7.2001 per motivi disciplinari. Il primo provvedimento di sospensione era stato applicato a seguito del rifiuto del lavoratore di svolgere alcune mansioni richiestegli (timbratura e contazione della corrispondenza da avviare al recapito) e per errori e ritardi nel recapito della corrispondenza. Il secondo per essere rientrato in ritardo in ufficio al termine del servizio e per essere stato visto transitare con il motomezzo in dotazione fuori della zona di competenza. Il licenziamento seguiva alla contestazione di un ritardo nel rientro in ufficio, con parte della corrispondenza ancora da consegnare e in evidente stato di alterazione psichica dovuta a stato di ebbrezza.

Il Tribunale ha ritenuto la legittimita’ dei due provvedimenti di sospensione dal servizio e l’illegittimita’ della sanzione espulsiva, sul rilievo, quest’ultima, della sproporzione del provvedimento rispetto alla gravita’ degli addebiti, cosi’ come tipizzata anche dalle previsioni del contratto collettivo.

La Corte di Appello di Venezia ha confermato la sentenza di primo grado escludendo, in particolare, che la legittimita’ del licenziamento potesse essere giustificata sulla base delle previsioni contrattuali in materia di recidiva, posto che i comportamenti contestati non costituivano recidiva di illeciti disciplinari comportanti la sospensione dal servizio per almeno dieci giorni e che non era stata contestata la reiterazione dello stato di ubriachezza.

Avverso tale sentenza ricorre per cassazione la societa’ Poste Italiane affidandosi a sei motivi cui resiste con controricorso D.M.E..

Entrambe le parti hanno depositato memoria ai sensi dell’art. 378 c.p.c..

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1.- Con il primo motivo si lamenta violazione della L. n. 604 del 1966, art. 3 sull’assunto che la decisione della Corte territoriale sarebbe fondata su un parametro giuridico – quello di un comportamento di “stridente e insanabile contrasto con l’adempimento dei doveri fondamentali connessi al rapporto di lavoro” – diverso da quello previsto dalla norma di legge, consistente invece in un inadempimento di non scarsa importanza, avuto riguardo all’interesse del creditore, al complesso delle circostanze e alla colpa o negligenza del prestatore di lavoro.

2.- Con il secondo motivo e il terzo motivo la ricorrente deduce l’esistenza di vizi di motivazione in relazione al giudizio espresso dalla Corte territoriale in ordine alla insussistenza del giustificato motivo di licenziamento ed alla interpretazione della disciplina collettiva in tema di sanzioni disciplinari, osservando che la motivazione della sentenza impugnata risulterebbe carente e contraddittoria nella parte in cui avrebbe omesso di valutare i fatti addebitati al lavoratore in base al complesso delle circostanze contestate e laddove, pur dando atto della contestazione di precedenti disciplinari, non ne avrebbe poi tenuto conto ai fini della valutazione dell’ipotesi di recidiva specificamente prevista dalla contrattazione collettiva, contestata al lavoratore e posta a base del licenziamento.

3.- Con il quarto motivo si deduce violazione della L. n. 300 del 1970, art. 7 e dell’art. 54 del c.c.n.l. del 11.1.2001, anche in relazione all’art. 1362 c.c. e segg., per non avere la sentenza impugnata fatto corretta applicazione di quanto previsto dal contratto collettivo in materia di sanzioni e di infrazioni in relazione alle quali ciascuna di esse puo’ essere applicata, ed in particolare delle norme della contrattazione collettiva che prevedono l’applicazione di determinate sanzioni in relazione alle ipotesi di recidiva ivi specificamente considerate.

4.- Con il quinto motivo si lamenta violazione degli artt. 2727 e 2729 c.c., degli artt. 115 e 116 c.p.c., nonche’ omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione, in relazione al punto in cui i giudici di appello non hanno ritenuto sufficientemente provati, in relazione ai due illeciti sanzionati con il licenziamento, lo stato di alterazione psichica dovuta all’assunzione di sostanze al coliche e la colpa nell’incompleta consegna della corrispondenza, pur in presenza di circostanze univoche e concordanti che avrebbero consentito di ritenere provati sia l’uno che l’altra.

5.- Con l’ultimo motivo si deduce violazione degli artt. 112, 416, 418 c.p.c. e della L. n. 300 del 1970, art. 7 nonche’ omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione, sull’assunto della erroneita’ della decisione con cui e’ stato affermato che non sarebbe consentito al giudice applicare, ove cio’ sia richiesto dal lavoratore, una sanzione meno grave in luogo di quella, ritenuta eccessiva, applicata dal datore di lavoro.

6.- Sia il primo che il quinto motivo devono ritenersi inammissibili per inadeguata formulazione del quesito di diritto, ex art. 366 bis c.p.c. 1 – Ai sensi dell’art. 366 bis c.p.c., applicabile ai ricorsi per cassazione proposti avverso le sentenze e gli altri provvedimenti pubblicati a decorrere dalla data di entrata in vigore del D.Lgs. n. 40 del 2006, e quindi anche al ricorso in esame, nei casi previsti dall’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 1), 2), 3) e 4), l’illustrazione di ciascun motivo si deve concludere, a pena d’inammissibilita’, con la formulazione di un quesito di diritto. Anche nel caso in cui venga dedotto un vizio di motivazione (art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5), l’illustrazione del motivo deve contenere, a pena d’inammissibilita’, la “chiara indicazione del fatto controverso in relazione al quale la motivazione si assume omessa o contraddittoria, ovvero le ragioni per le quali la dedotta insufficienza della motivazione la rende inidonea a giustificare la decisione”. Cio’ comporta, in particolare, che la relativa censura deve contenere un momento di sintesi (omologo del quesito di diritto) che ne circoscriva puntualmente i limiti, in maniera da non ingenerare incertezze in sede di formulazione del ricorso e di valutazione della sua ammissibilita’. Al riguardo, inoltre, non e’ sufficiente che tale fatto sia esposto nel corpo del motivo o che possa comprendersi dalla lettura di questo, atteso che e’ indispensabile che sia indicato in una parte del motivo stesso, che si presenti a cio’ specificamente e riassuntivamente dedicata (cfr. ex plurimis Cass. 8555/2010, Cass. sez. unite 4908/2010, Cass. 16528/2008, Cass. 8897/2008, Cass. 16002/2007).

8.- Questa Corte ha piu’ volte ribadito che, nel vigore dell’art. 366 bis c.p.c., non puo’ ritenersi sufficiente – perche’ possa dirsi osservato il precetto di tale disposizione – la circostanza che il quesito di diritto possa implicitamente desumersi dall’esposizione del motivo di ricorso, ne’ che esso possa consistere o ricavarsi dalla formulazione del principio di diritto che il ricorrente ritiene corretto applicarsi alla specie. Una siffatta interpretazione della norma positiva si risolverebbe, infatti, nella abrogazione tacita dell’art. 366 bis, secondo cui e’ invece necessario che una parte specifica del ricorso sia destinata ad individuare in modo specifico e senza incertezze interpretative la questione di diritto che la S.C. e’ chiamata a risolvere nell’esplicazione della funzione nomofilattica che la modifica di cui al D.Lgs. n. 40 del 2006 ha inteso valorizzare (Cass. 5208/2010, Cass. 20409/2008). E’ stato altresi’ precisato che il quesito deve essere formulato in modo tale da consentire l’individuazione del principio di diritto censurato posto dal giudice a quo alla base del provvedimento impugnato e, correlativamente, del principio, diverso da quello, la cui auspicata applicazione da parte della S.C. possa condurre a una decisione di segno inverso; ove tale articolazione logico-giuridica mancasse, infatti, il quesito si risolverebbe in una astratta petizione di principio, inidonea sia a evidenziare il nesso tra la fattispecie e il principio di diritto che si chiede venga affermato, sia ad agevolare la successiva enunciazione di tale principio a opera della S.C. in funzione nomofilattica. Il quesito, pertanto, non puo’ consistere in una mera richiesta di accoglimento del motivo o nell’interpello alla S.C. in ordine alla fondatezza della censura, ma deve costituire la chiave di lettura delle ragioni esposte e porre la S.C. in condizione di rispondere a esso con la enunciazione di una regula iuris che sia, in quanto tale, suscettibile di ricevere applicazione in casi ulteriori rispetto a quello sottoposto all’esame del giudice che ha pronunciato la sentenza impugnata (Cass. sez. unite 27368/2009).

9.- Nella specie, nessuno dei quesiti formulati da parte ricorrente con i motivi in esame risulta adeguato a recepire l’iter argomentativo che supporta le singole censure: non quello formulato a chiusura del primo motivo, al quale non potrebbe che seguire una risposta di contenuto del tutto ovvio, che costituirebbe solo una parafrasi della definizione legale del ed. giustificato motivo soggettivo; ne’ quello che conclude il quinto motivo e che, risolvendosi nella richiesta di stabilire “se in presenza di circostanze univoche e concordanti che consentano di risalire da fatti ignoti ad un fatto noto e tenuto conto della peculiarita’ di quest’ultimo fatto, il medesimo si debba ritenere provato in forza di presunzione semplice ex art. 2729 c.c.”, si risolve anch’esso in una astratta petizione di principio, ovvero in una enunciazione di carattere assolutamente generico, che non consente certo di cogliere il nesso tra la fattispecie e il principio di diritto che si chiede di affermare.

10.- Il secondo e il terzo motivo, che possono essere esaminati congiuntamente in quanto connessi tra loro, sono fondati.

Come gia’ detto, con tali motivi la societa’ ricorrente lamenta l’esistenza del vizio di insufficiente e contraddittoria motivazione in relazione al giudizio espresso dalla Corte territoriale in ordine alla insussistenza del giustificato motivo di licenziamento ed alla interpretazione della disciplina collettiva che attribuisce rilievo alla c.d. recidiva del prestatore di lavoro.

Al riguardo, va rilevato anzitutto che, in ordine ai criteri che il giudice deve applicare per valutare la sussistenza o meno del giustificato motivo soggettivo di licenziamento, la giurisprudenza e’ pervenuta a risultati sostanzialmente univoci affermando ripetutamente – cfr. ex plurimis Cass. 19742/2005, Cass. 1475/2004 – che tra la giusta causa e il giustificato motivo soggettivo non esistono differenze qualitative ma solo quantitative, differenziandosi tali figure soltanto per la differente gravita’ delle mancanze poste in essere dal prestatore di lavoro e dovendo comunque il giudice valutare se il comportamento del lavoratore, che ha dato origine la provvedimento di recesso, sia idoneo a far venir meno l’elemento della fiducia che deve necessariamente sussistere tra le parti. Anche nell’ipotesi in cui la disciplina collettiva preveda un determinato comportamento quale giustificato motivo (soggettivo) di licenziamento, il giudice investito della legittimita’ di tale recesso deve comunque valutare alla stregua dei parametri di cui alla L. n. 604 del 1966, art. 3 la proporzionalita’, rispetto alla gravita’ del fatto addebitato al lavoratore e dallo stesso commesso, della sanzione del licenziamento alla luce di tutte le circostanze del caso concreto (Cass. 10959/97, Cass. 930/90, Cass. 8301/87). E’ stato altresi’ precisato (Cass. 25743/2007) che il giudizio di proporzionalita’ o adeguatezza della sanzione dell’illecito commesso – istituzionalmente rimesso al giudice di merito – si sostanzia nella valutazione della gravita’ dell’inadempimento imputato al lavoratore in relazione al concreto rapporto e a tutte le circostanze del caso, dovendo tenersi al riguardo in considerazione la circostanza che tale inadempimento deve essere valutato in senso accentuativo rispetto alla regola generale della “non scarsa importanza” di cui all’art. 1455 c.c. sicche’ l’irrogazione della massima sanzione disciplinare risulta giustificata soltanto in presenza di un notevole inadempimento degli obblighi contrattuali (L. n. 604 del 1966, art. 3) ovvero addirittura tale da non consentire la prosecuzione neppure provvisoria del rapporto (art. 2119 c.c.). Anche la previsione da parte della contrattazione collettiva del licenziamento (disciplinare) del lavoratore che abbia riportato un determinato numero di sanzioni non espulsive non esclude il potere del giudice di valutare la gravita’ in concreto dei singoli fatti addebitati, ancorche’ connotati della recidiva, ai fini dell’accertamento della proporzionalita’ della sanzione espulsiva (Cass. 8098/92, Cass. 6127/84).

11.- Tale giudizio e’ rimesso al giudice di merito la cui valutazione e’ insindacabile in sede di legittimita’ se sorretta da adeguata motivazione, dovendo ritenersi (Cass. 21965/2007) al riguardo che spetta al giudice di merito procedere alla valutazione della proporzionalita’ della sanzione espulsiva rispetto alla condotta addebitata al lavoratore con riferimento a tutte le circostanze del caso concreto, secondo un apprezzamento di fatto che non e’ rinnovabile in sede di legittimita’, bensi’ censurabile per vizio di omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione (cfr. altresi’ sul punto, ex plurimis, Cass. 6823/2004, Cass. 5013/2004, Cass. 4061/2004, Cass. 1144/2000, Cass. 13299/99, Cass. 6216/98).

12.- Nella specie, la Corte territoriale ha ritenuto che non ricorresse l’ipotesi del giustificato motivo di licenziamento prevista dal contratto collettivo nel caso in cui il lavoratore fosse incorso nella “recidiva plurima, nell’anno, nelle mancanze previste nel precedente gruppo”, e cioe’ in mancanze alle quali “si applica la sanzione disciplinare della sospensione dal servizio con privazione della retribuzione fino a dieci giorni” (art. 54 c.c.n.l.), perche’ gli illeciti contestati per ultimo al lavoratore non costituirebbero “recidiva di illeciti disciplinari comportanti la sospensione dal servizio per almeno dieci giorni” (cosi’ a pag. 12 della sentenza impugnata), ne’ sarebbe stata contestata o dedotta l’ipotesi di un reiterato stato di alterazione psichica dovuta all’effetto di sostanza alcoliche o droghe durante il disimpegno di attribuzioni attinenti alla sicurezza in genere e a quella del servizio, per la quale pure e’ prevista dal contratto collettivo la sanzione del licenziamento con preavviso.

La motivazione sul punto presenta, tuttavia, una obiettiva incoerenza ed un evidente vizio logico poiche’ trascura di considerare che entrambi gli illeciti contestati precedentemente al lavoratore erano stati sanzionati con il provvedimento della sospensione dal servizio con privazione della retribuzione per dieci giorni e che la legittimita’ di tali sanzioni, come si legge nella stessa sentenza, non era piu’ in discussione in quanto la statuizione del primo giudice, su questo punto, non era stata fatta oggetto di gravame. Ne’ poteva considerarsi risolutiva la considerazione che per nessuna delle mancanze contestate da ultimo al ricorrente era prevista la sospensione dal servizio fino a dieci giorni, giacche’, secondo quanto risulta sia dalla sentenza impugnata che dalla esposizione dei motivi del ricorso per cassazione, la societa’ appellante aveva invocato a sostegno della legittimita’ del recesso anche la previsione del c.c.n.l. che consente al datore di lavoro di irrogare “la sanzione di livello piu’ elevato rispetto a quella gia’ inflitta” qualora il lavoratore “commetta mancanze della stessa natura, gia’ sanzionate nel biennio””, ed in questo caso “anche se la fattispecie non appartiene al gruppo cui la sanzione stessa si riferisce”, sicche’, fermo l’accertamento della legittimita’ delle precedenti sanzioni disciplinari, si sarebbe dovuto pur sempre esaminare se potesse configurare o meno l’ipotesi della recidiva prevista dal contratto collettivo quanto menomi fatto di non aver rispettato l’orario di rientro in ufficio al termine del servizio (e cio’ anche a voler prescindere dagli altri illeciti posti a base del licenziamento e ritenuti non sufficientemente provati dalla Corte territoriale).

13. – I motivi in esame devono pertanto essere accolti con conseguente assorbimento delle censure espresse con il quarto e il sesto motivo, logicamente subordinate alla soluzione delle questioni sollevate con i motivi accolti.

14.- La sentenza impugnata deve essere cassata con rinvio ad altra Corte di merito, che si designa in quella di Trieste, che procedera’ ad un nuovo esame delle questioni controverse alla stregua delle considerazioni sopra svolte sub 12 – previa esatta qualificazione degli illeciti sanzionati anteriormente alla intimazione del licenziamento ai fini dell’applicabilita’ o meno dell’ipotesi della recidiva prevista dal contratto collettivo, tenendo conto che, come gia’ detto, non e’ in contestazione la natura delle sanzioni gia’ irrogate in relazione a tali illeciti – e provvedera’ anche sulle spese del giudizio di cassazione.

P.Q.M.

LA CORTE accoglie il secondo e il terzo motivo di ricorso, dichiara inammissibili il primo e il quinto e assorbiti gli altri; cassa la sentenza impugnata in relazione ai motivi accolti e rinvia anche per le spese del presente giudizio alla Corte di Appello di Trieste.

Cosi’ deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 8 febbraio 2011.

Depositato in Cancelleria il 13 aprile 2011

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