Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 8454 del 25/03/2021

Cassazione civile sez. VI, 25/03/2021, (ud. 27/01/2021, dep. 25/03/2021), n.8454

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE L

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DORONZO Adriana – rel. Presidente –

Dott. ESPOSITO Lucia – Consigliere –

Dott. PONTERIO Carla – Consigliere –

Dott. MARCHESE Gabriella – Consigliere –

Dott. DE FELICE Alfonsina – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 21364-2018 proposto da:

RAI RADIOTELEVISIONE ITALIANA SPA, (OMISSIS), in persona del legale

rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, LARGO

LEOPOLDO FRUGOLI 8, presso lo studio dell’avvocato ROSARIO SALONIA,

che la rappresenta e difende;

– ricorrente –

contro

G.L., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DELLE

MILIZIE 34, presso lo studio dell’avvocato MARCO PETROCELLI, che lo

rappresenta e difende;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 4681/2018 della CORTE D’APPELLO di ROMA,

depositata il 22/01/2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 27/01/2021 dal Presidente Relatore Dott. ADRIANA

DORONZO.

 

Fatto

RILEVATO

Che:

G.L. chiese al Tribunale di Roma che fosse accertata e dichiarata la natura subordinata a tempo indeterminato del rapporto di lavoro intercorso con la Rai-Radiotelevisione italiana s.p.a. (d’ora in poi solo Rai), con inquadramento nel terzo o quarto livello del c.c.n.l., e che la Rai fosse condannata al ripristino o alla conversione del rapporto da lavoro a tempo determinato in lavoro a tempo indeterminato. A fondamento della sua domanda espose di aver stipulato con la Rai undici contratti di “scrittura” a far tempo dal maggio 2006 fino ad ottobre 2012 (con scadenza al 4 gennaio 2013), aventi ad oggetto le mansioni di programmista regista.

Il Tribunale accolse la domanda e dichiarò che tra le parti era intercorso un rapporto di lavoro subordinato, a tempo indeterminato, dal (OMISSIS); ordinò alla società di riammettere il ricorrente nel posto di lavoro con inquadramento nel quarto livello di cui al c.c.n.l. Rai, nonchè di pagare a titolo di risarcimento del danno la somma di Euro 2.215,80 mensili a far tempo dal 18/2/2013 e fino alla data della sentenza.

La Rai propose appello dinanzi alla Corte d’appello di Roma la quale, con la sentenza qui impugnata, pubblicata in data 22/1/2018, lo rigettò.

A fondamento del decisum la Corte ritenne di accogliere il motivo di nullità del contratto a progetto D.Lgs. n. 276 del 2003, ex art. 61, comma 1, riproposto dall’appellato ex art. 346 c.p.c., in quanto ragione più liquida che esimeva dall’esaminare ogni altra questione, e in particolare il motivo di appello con il quale la Rai aveva contestato l’accertamento compiuto dal giudice di primo grado circa la sussistenza degli elementi tipici della subordinazione e riproposto l’eccezione di decadenza L. n. 183 del 2010, ex art. 32. In conseguenza, affermò che l’inesistenza di uno specifico e valido progetto rendeva il contratto di per sè affetto da nullità e imponeva la conversione del rapporto di lavoro in rapporto di lavoro subordinato, senza che dovessero accertarsi in concreto gli elementi tipici della subordinazione.

Contro la sentenza, la Rai ha proposto ricorso per cassazione, al quale ha resistito con controricorso il lavoratore.

La proposta del relatore, unitamente al decreto di fissazione dell’adunanza camerale non partecipata, è stata comunicata alle parti; in prossimità dell’adunanza, ricorrente ha depositato memoria.

Diritto

CONSIDERATO

che:

1.- i motivi di ricorso proposti dalla Rai sono tre:

1.1. nullità della sentenza c/o del procedimento per violazione degli artt. 112,324,343 e 346 c.p.c., art. 2909 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 4. Con il motivo proposto, la ricorrente sostiene che la questione relativa alla nullità del contratto per assenza del progetto – costituendo una domanda autonoma proposta in primo grado in via principale e alternativa rispetto a quella dell’accertamento della natura subordinata del rapporto – non poteva formare oggetto di una mera riproposizione ai sensi dell’art. 346 c.p.c., ma necessitava di un appello incidentale. Accogliendo la domanda subordinata, il Tribunale aveva (sia pure implicitamente) rigettato la domanda principale ed alternativa sicchè il ricorrente, per evitare la formazione del giudicato, era tenuto ad impugnare la statuizione rispetto alla quale era risultato soccombente.

1.2. Violazione ed erronea applicazione dell’art. 2697 c.c., art. 115 c.p.c., art. 409 c.p.c., comma 3, D.Lgs. n. 276 del 2003, artt. 61 e 69, comma 1, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3. Assume la ricorrente che la qualificazione dei rapporti come collaborazioni coordinate e continuative era avvenuta in assenza di qualsiasi allegazione e prova offerta dal lavoratore, il quale nel ricorso ex art. 414 c.p.c., aveva sostenuto la natura subordinata del rapporto, senza nulla allegare e provare in ordine ad una presunta parasubordinazione, limitandosi ad apodittiche affermazioni inidonee a fondare la domanda di conversione D.Lgs. n. 276 del 2003, ex art. 69.

1.3. Violazione ed erronea applicazione del D.Lgs. n. 276 del 2001, artt. 61 e 69 (recte: 2003), in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3: la ricorrente contesta l’interpretazione data dalla Corte territoriale al D.Lgs. cit., art. 69, circa gli effetti della mancanza di progetto, considerato che quest’ultima norma, nel testo vigente all’epoca dei fatti (ossia prima dell’entrata in vigore della L. n. 92 del 2012, art. 1, comma 24), non poteva essere letta come contenente una presunzione assoluta di subordinazione, ma solo una presunzione semplice, confutabile mediante prova contraria.

2. I primi due motivi sono fondati, con assorbimento della restante censura.

2.1. In primo luogo va rilevato che il ricorso è dotato della necessaria specificità, avendo la parte riportato ampi stralci del ricorso introduttivo del giudizio del G. e le conclusioni ivi rassegnate. Il ricorso soddisfa pertanto i criteri di autosufficienza imposti dall’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6, i quali vanno osservati anche quando si deducono, come nel caso in esame, errores in procedendo, rispetto ai quali il giudice di legittimità è anche giudice del fatto e può pertanto accedere agli atti di causa.

Deve invero ricordarsi che il principio secondo cui l’interpretazione delle domande, eccezioni e deduzioni delle parti dà luogo ad un giudizio di fatto, riservato al giudice di merito, non trova applicazione quando si assume che tale interpretazione abbia determinato un vizio riconducibile alla violazione del principio di corrispondenza fra il chiesto e il pronunciato (art. 112 c.p.c.), o a quello del tantam devolutum quantum appellatum (art. 345 c.p.c.), trattandosi in tali casi della denuncia di un error in procedendo che attribuisce alla Corte di cassazione il potere-dovere di procedere direttamente all’esame ed all’interpretazione degli atti processuali e, in particolare, delle istanze e deduzioni delle parti (Cass. 10/10/2014, n. 21421; Cass. Sez. Un. 22/5/2012, n. 8077).

2.2.- In secondo luogo va ribadito il principio, più volte espresso da questa Corte, secondo cui l’applicazione del principio iura novit curia, di cui all’art. 113 c.p.c., comma 1, importa la possibilità per il giudice di assegnare una diversa qualificazione giuridica ai fatti ed ai rapporti dedotti in lite, nonchè all’azione esercitata in causa, ricercando le norme giuridiche applicabili alla concreta fattispecie sottoposta al suo esame, potendo porre a fondamento della sua decisione principi di diritto diversi da quelli erroneamente richiamati dalle parti. Tale principio deve tuttavia essere posto in immediata correlazione con il divieto di ultra o extra-petizione, di cui all’art. 112 c.p.c., in applicazione del quale è invece precluso al giudice pronunziare oltre i limiti della domanda e delle eccezioni proposte dalle parti, mutando i fatti costitutivi o quelli estintivi della pretesa, ovvero decidendo su questioni che non hanno formato oggetto del giudizio e non sono rilevabili d’ufficio, attribuendo un bene non richiesto o diverso da quello domandato (Cass. 09/04/2018, n. 8645; Cass. 27/11/2018, n. 30607; Cass. 24/07/2012, n. 12943).

3.- Ora, dai brani riportati in ricorso – non adeguatamente contestati dal controricorrente – e dalla lettura della stessa sentenza impugnata, emerge che il Tribunale di Roma, nell’accogliere la domanda del lavoratore, ha dichiarato sussistente un rapporto di lavoro subordinato a tempo indeterminato a far tempo dal maggio 2006; tale giudizio è stato espresso attraverso un’analisi in concreto delle modalità di attuazione del rapporto, da cui è emersa “una vera e propria situazione di assoggettamento delle energie psicofisiche del ricorrente al potere di direzione gerarchico e disciplinare del convenuto, nonchè un imprescindibile inserimento nell’organizzazione aziendale, ossia quei requisiti della eterodirezione della prestazione lavorativa che caratterizzano il rapporto di lavoro subordinato” (il virgolettato, tratto dalla sentenza impugnata, pag. 3, riporta un brano della sentenza del tribunale).

3.1. E’ altresì incontestato che nella sentenza del tribunale non vi è alcun riferimento a contratti di collaborazione coordinata e continuativa, alla mancanza o genericità di un progetto, alla conseguente nullità del rapporto per violazione del disposto del D.Lgs. n. 276 del 2003, art. 61, e alla sua “conversione” in lavoro subordinato.

Ciò è detto con chiarezza dalla Corte d’appello per la quale il G. “ha contestato la correttezza della sentenza impugnata” e ha ribadito “l’eccezione sollevata con il ricorso di primo grado non esaminata dal giudice” della mancanza di un progetto cui ricondurre i singoli contratti di collaborazione: ha dunque riproposto la questione ai sensi della 346 c.p.c..

3.2. In definitiva, la domanda avente ad oggetto la nullità del contratto di collaborazione coordinata e continuativa per mancanza di uno specifico progetto non è stata affatto esaminata dal Tribunale, o perchè ha implicitamente ritenuto che non fosse stata proposta una autonoma domanda in tal senso, o perchè altrettanto implicitamente l’ha ritenuta infondata.

4. Questa Corte ha in più occasioni precisato che la domanda proposta ai sensi del D.Lgs. cit., art. 69, comma 1, ha una sua autonomia per la diversità del petitum e della causa petendi rispetto alla domanda di accertamento della subordinazione del D.Lgs. cit., ex art. 69, comma 2, nonchè, a fortiori, rispetto alla domanda di accertamento della subordinazione che sia proposta indipendentemente dal nomen iuris adottato dalle parti, ossia dalla formale riconducibilità del rapporto ad uno specifico progetto ovvero ad un contratto di lavoro autonomo.

4.1 Si è infatti affermato che “In tema di contratto di lavoro a progetto, il regime sanzionatorio articolato dal D.Lgs. n. 276 del 2003, art. 69, pur imponendo in ogni caso l’applicazione della disciplina del rapporto di lavoro subordinato, contempla due distinte e strutturalmente differenti ipotesi, atteso che, al comma 1, sanziona il rapporto di collaborazione coordinata e continuativa instaurato senza l’individuazione di uno specifico progetto, realizzando un caso di c.d. conversione del rapporto ope legis, restando priva di rilievo l’appurata natura autonoma dei rapporti in esito all’istruttoria, mentre al comma 2, disciplina l’ipotesi in cui, pur in presenza di uno specifico progetto, sia giudizialmente accertata, attraverso la valutazione del comportamento delle parti posteriore alla stipulazione del contratto, la trasformazione in un rapporto di lavoro subordinato in corrispondenza alla tipologia negoziale di fatto realizzata tra le parti” (Cass. 2/12/2020, n. 27543; Cass. 25/8/2020, n. 17707; Cass. 21/6/20161 n. 12820; conforme n. 17127/2016).

4.2. Nella prima, rileva il dato formale della mancanza di uno specifico progetto a fronte di una prestazione lavorativa che rientra nello schema generale del lavoro autonomo (sulla riconducibilità della collaborazione coordinata e continuativa nell’alveo del lavoro autonomo cfr., fra le tante, da ultimo, Cass. 02/12/2020, n. 27543; v. pure Cass. 25/11/2002, n. 16582), laddove nella seconda rilevano le modalità di tipo subordinato con cui, nonostante l’esistenza di uno specifico progetto, è stata di fatto resa la prestazione lavorativa (Cass. 10/5/2016, n. 9471).

4.3. I fatti costitutivi delle due azioni giudiziali garantite dal D.Lgs. n. 276 del 2003, art. 69, nonchè dell’azione proposta ai sensi dell’art. 2094 c.c., sono affatto differenti, a seconda che si invochi la conversione di cui comma 1, ovvero la “trasformazione” di cui al comma 2, o, ancora, il mero accertamento della natura subordinata del rapporto, a prescindere dal suo nomea iuris e della sua riferibilità ad un progetto: mentre infatti nell’un caso il fatto costitutivo consiste in una collaborazione coordinata e continuativa di tipo autonomo, negli altri due casi il fatto costitutivo risiede in una prestazione di tipo subordinato. A tale diversità di fatti costitutivi corrisponde una diversa distribuzione degli oneri probatori, giacchè nell’un caso il collaboratore deve provare il fatto costitutivo della continuità e coordinazione della propria prestazione rispetto alle esigenze del committente (ed è onere di quest’ultimo provare il fatto impeditivo, costituito dall’esistenza dello specifico progetto), laddove nel secondo caso l’onere della prova che le concrete modalità di svolgimento della prestazione abbiano attinto la fattispecie dell’art. 2094 c.c., grava per intero sul collaboratore, ben potendo la sussistenza dello specifico progetto (peraltro in concreto irrilevante) darsi per provata in assenza di contestazione espressa (così ancora Cass. n. 9471/2016).

4.4. Se ne deve dedurre che le domande non sono fungibili e complementari ma hanno presupposti fattuali e disciplina giuridica diversi, con la conseguenza che, ove con il ricorso introduttivo sia allegata la sussistenza di un rapporto di lavoro subordinato, non può farsi valere successivamente nel corso del giudizio (o in sede di appello, come di fatto avvenuto) la nullità del contratto a progetto per mancanza del progetto stesso: quest’ultima, invero, costituisce una vera e propria domanda nuova, perchè introduce nel processo un fatto nuovo e un diverso tema di indagine e di decisione, con una diversa causa petendi” (Cass. 1/10/2019, n. 24480).

4.5. Conseguentemente, il giudice che in assenza di una specifica domanda proposta ai sensi del D.Lgs. n. 276 del 2003, art. 69, comma 1, dichiari la nullità del rapporto di lavoro per la mancanza del progetto, viola l’art. 112 c.p.c., avendo pronunciato in extra petizione, con sentenza che per questa ragione è affetta da nullità.

5. Nelle memorie ex art. 378 c.p.c., il ricorrente contesta questa prospettiva, assumendo di aver espressamente formulato in primo grado e riproposta in appello la domanda ex art. 69 c.p.c., comma 1.

Per il vero, non può non sottolinearsi un certo difetto di coerenza nella linea difensiva del controricorrente, perchè mentre nel controricorso ha espressamente dichiarato di aver proposto un’unica domanda, a tutela di un rapporto di lavoro “ontologicamente subordinato” (pag. 8), solo in apparenza formalizzato con contratti di lavoro autonomo affinchè egli fossero precluse le più penetranti tutele del lavoro subordinato, e che l’assenza del progetto era stata dedotta nell’ottica di comprovare l’effettiva natura subordinata del rapporto, anche sotto il profilo formale (pag. 8 e 9) (ed in tal senso era stata correttamente interpretata dai giudici del merito), nelle memorie difensive ha aggiustato il tiro affermando che in realtà aveva espressamente proposto la domanda (anche) ai sensi del D.Lgs. n. 276 del 2003, art. 69, comma 1, e che il suo rigetto, o meglio il suo mancato esame (perchè ritenuta assorbita nell’accoglimento dell’altra domanda) non rendeva necessaria la proposizione dell’appello incidentale, non essendo ravvisabile una sua soccombenza.

5.1. Ma anche questa diversa impostazione non conduce a risultati diversi per due ordini di ragioni.

In primo luogo, come si è su evidenziato e come emerge dalla lettura del ricorso introduttivo del giudizio, consentita a questa Corte essendo stato dedotto un vizio processuale, l’intero ricorso è fondato sull’assunto della natura subordinata del rapporto di lavoro per le concrete modalità in cui esso si è svolto, e in particolare per l’esistenza di tutti gli indici tipici della subordinazione (pagina 13-16). Il riferimento alla mancanza del progetto e alla conversione dei co.co.co. in contratti di lavoro subordinato (pagina 12) è fatto al solo scopo di sostenere la natura simulata dei contratti e l’irrilevanza del nomen iuris adoperato dalle parti, non già per dedurne la nullità e la loro riconversione in contratti di lavoro subordinato (cfr. su fattispecie analoga, Cass. n. 24480/2019, cit.). E ciò si evince anche nelle conclusioni rassegnate in calce al ricorso, in cui non vi è traccia della domanda del D.Lgs. cit., ex art. 69, comma 1. La memoria difensiva nulla può aggiungere al riguardo, essendo destinata soltanto alla illustrazione ed al chiarimento dei motivi espressi nel controricorso, per cui non è consentito, con le stesse, provvedere alla enunciazione, o alla pretesa integrazione di tesi difensive diverse da quelle già prospettate.

5.2. Il secondo ordine di ragioni riposa sull’oggettiva diversità delle domande (cioè, di accertamento della subordinazione e di nullità per mancanza del progetto) che le rende incompatibili, dal momento che esse hanno presupposti fattuali diversi e, quindi, presuppongono accertamenti e oneri probatori diversi, come si è su evidenziato (cfr. Cass. n. 24480/2019): pertanto il rigetto anche implicito di una delle due domande impone la proposizione dell’impugnazione incidentale della parte che intenda insistere per l’accoglimento dell’altra, non apparendo sufficiente la sua mera riproposizione in sede di appello.

5.3. N’a invero richiamato il principio per il quale “Allorchè la parte abbia proposto nello stesso giudizio, in forma alternativa o subordinata, due o più domande fra loro concettualmente incompatibili, la sentenza con la quale il giudice di merito abbia accolto la domanda subordinata non implica soltanto la pronuncia favorevole sulla qualificazione giuridica esposta dall’attore a sostegno della stessa, ma comporta anche un preciso accertamento dei fatti, alternativo a quello posto a fondamento della domanda principale. Ne consegue che l’attore parzialmente vittorioso, per evitare la formazione del giudicato, deve formulare impugnazione avverso l’accoglimento della domanda subordinata, condizionandola all’accoglimento del gravame sulla domanda principale, in quanto solo in tal modo può ottenere la revisione dell’accertamento compiuto dal giudice circa l’esistenza dei fatti costituenti le ragioni della pretesa subordinata accolta, incompatibile con quella principale” (cfr. Cass. 4/4/2017, n. 8674; Cass. 30/05/2013, n. 13602; Cass. 16/06/2003, n. 9631).

5.4. Le stesse considerazioni valgono nel caso in cui, come nella specie, la deduzione della mancanza di un progetto ha costituito oggetto solo di un’argomentazione difensiva, volta a confermare anche sotto l’aspetto “formale” la natura subordinata del rapporto di lavoro, non già in funzione di una specifica domanda fondata sul D.Lgs. cit., art. 69, comma 1.

Appare allora ancora più evidente come il giudice d’appello, nel dichiarare la natura subordinata del rapporto quale “sanzione” per la mancanza di un progetto, indipendentemente da ogni accertamento circa le concrete modalità di svolgimento del rapporto e senza esaminare i motivi di gravame proposti dalla Rai S.p.A. si è posto oltre i limiti della domanda, attribuendo un bene non richiesto o diverso da quello domandato. In entrambi i casi, il ricorrente che intendeva insistere sulla domanda non esaminata, proposta in via subordinata o alternativa, aveva l’onere di formulare impugnazione eventualmente condizionandola all’accoglimento del gravame proposto dalla controparte, in quanto solo in tal modo poteva ottenere la revisione dell’accertamento compiuto dal giudice circa l’esistenza dei fatti costituenti le ragioni della pretesa accolta, incompatibile con quella principale (Cass. 30/05/2013, n. 13602; Cass. 04/04/2017, n. 8674).

6. In conclusione, devono essere accolti i primi due motivi di ricorso, mentre resta assorbito l’esame del terzo, e le parti devono essere rimesse dinanzi alla Corte d’appello di Roma, in diversa composizione anche per le spese del presente giudizio.

P.Q.M.

La Corte accoglie il primo e il secondo motivo di ricorso, assorbito il terzo; cassa la sentenza impugnata in relazione ai motivi accolti e rinvia alla Corte d’appello di Roma, in diversa composizione, anche per le spese del presente giudizio.

Così deciso in Roma, nell’adunanza camerale, il 27 gennaio 2021.

Depositato in Cancelleria il 25 marzo 2021

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