Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 8454 del 13/04/2011

Cassazione civile sez. lav., 13/04/2011, (ud. 09/12/2010, dep. 13/04/2011), n.8454

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. LAMORGESE Antonio – rel. Presidente –

Dott. NOBILE Vittorio – Consigliere –

Dott. MAMMONE Giovanni – Consigliere –

Dott. NAPOLETANO Giuseppe – Consigliere –

Dott. BERRINO Umberto – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

POSTE ITALIANE S.P.A., in persona del legale rappresentante pro

tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIALE MAZZINI 134, presso

lo studio dell’avvocato FIORILLO LUIGI, che la rappresenta e difende

unitamente all’avvocato TRIFIRO’ SALVATORE, giusta delega in atti;

– ricorrente –

contro

D.P.M.;

– intimata –

avverso la sentenza n. 121/2006 della CORTE D’APPELLO di MILANO,

depositata il 07/02/2006 R.G.N. 1310/04;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

09/12/2010 dal Consigliere Dott. ANTONIO LAMORGESE;

udito l’Avvocato MICELI MARIO per delega FIORILLO LUIGI;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

BASILE Tommaso, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con sentenza depositata il 7 febbraio 2006, la Corte di appello di Milano, dopo aver riunito le impugnazioni proposte dalla societa’ Poste Italiane, ha confermato le decisioni di primo grado, che avevano dichiarato l’illegittimita’ del termine apposto ai contratti di lavoro stipulati con D.P.M. e A.I., a termini del D.Lgs. n. 368 del 2001, art. 1, condannando la societa’ al pagamento in favore di costoro delle retribuzioni come rispettivamente maturate dalla costituzione in mora.

Con riferimento alla D.P. – per l’altro lavoratore indicato nella pronuncia di appello la controversia e’ stata transatta – la Corte territoriale ha osservato che la causale addotta dalla societa’ nel contratto stipulato allorche’ era gia’ in vigore il citato D.Lgs. del 2001, e cioe’ per far fronte; ad esigenze tecniche, organizzative e produttive anche di carattere straordinario conseguenti a processi di riorganizzazione, ivi comprendendo un piu’ funzionale riposizionamento di risorse sul territorio, anche derivanti da innovazioni tecnologiche ovvero conseguenti all’introduzione e/o sperimentazione di nuove tecnologie, prodotti o servizi, nonche’ all’attuazione delle previsioni di cui agli accordi 17, 18 e 23 ottobre, 11 dicembre 2001 e 11 gennaio, 13 febbraio e 17 aprile 2002, era generica e faceva riferimento a piu’ ragioni;

inoltre, la societa’ non aveva assolto all’onere probatorio che le faceva carico, limitandosi ad indicare a tratti molto generali la riorganizzazione di intere aree di competenza e le innovazioni apportate alle varie divisioni, senza operare un sia pur minimo rapporto tra le esigenze riorganizzative dei singoli settori e la percentuale di contratti a termine necessari al soddisfacimento di quelle esigenze, e comunque il collegamento con i contratti stipulati.

La Corte territoriale ha poi evidenziato che la societa’ non aveva addotto alcun elemento idoneo a dimostrare l’aliunde perceptum, e che ai fini del risarcimento del danno doveva tenersi conto, cosi’ come aveva fatto il giudice di primo grado, delle retribuzioni maturate nel periodo successivo alla costituzione in mora.

Per la cassazione della sentenza ha proposto ricorso la societa’ con quattro motivi, poi illustrati con memoria.

L’intimata non ha svolto alcuna attivita’ difensiva.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Il primo motivo denuncia, unitamente a vizio di motivazione, violazione e falsa applicazione del D.Lgs. 6 settembre 2001, n. 368, art. 1. Censura la sentenza impugnata per avere ritenuto che nel contratto di lavoro l’azienda non potesse fare riferimento a plurime cause giustificatrici del termine e per avere negato la specificazione delle ragioni, malgrado il richiamo agli accordi di mobilita’ che non e’ altro che una specificazione delle esigenze tecniche connesse alla riorganizzazione. La sentenza neppure chiarisce per quali ragioni aveva giudicato generica la causale indicata in contratto circa l’apposizione del termine.

Il secondo motivo denuncia violazione e falsa applicazione dell’art. 115 cod. proc. civ. e vizio di motivazione. Si assume che la sentenza impugnata, ritenendo che la societa’ non aveva dimostrato le situazioni richiamate nella lettera di assunzione a giustificazione del termine, ha richiesto la prova di circostanze comunque non necessarie, trattandosi di fatti notori e non contestati dalla lavoratrice.

Questi due motivi, da trattare congiuntamente per la loro connessione, sono infondati.

Secondo quanto questa Corte ha gia’ avuto modo di affermare in merito all’interpretazione del D.Lgs. n. 368 del 2001, art. 1 (cfr.

pronuncia n. 2279 del 1 febbraio 2010), “in tema di apposizione del termine al contratto di lavoro, il legislatore, richiedendo l’indicazione da parte del datore di lavoro delle specificate ragioni di carattere tecnico, produttivo, organizzativo o sostitutivo, ha inteso stabilire, in consonanza con la direttiva 1999/70/CE, come interpretata dalla Corte di Giustizia (…), un onere di specificazione delle ragioni oggettive del termine finale, vale a dire di indicazione sufficientemente dettagliata della causale nelle sue componenti identificative essenziali, sia quanto al contenuto, che con riguardo alla sua portata spazio-temporale e piu’ in generale circostanziale, perseguendo in tal modo la finalita’ di assicurare la trasparenza e la veridicita’ di tali ragioni, nonche’ l’immodificablita’ delle stesse nel corso del rapporto; tale specificazione puo’ risultare anche indirettamente nel contratto di lavoro e da esso per relationem ad altri testi scritti accessibili alle parti”.

Tale principio e’ stato poi confermato da altre decisioni di questa Corte regolatrice, le quali hanno precisato che “l’apposizione di un termine al contratto di lavoro, consentita dal D.Lgs. 6 settembre 2001, n. 368, art. 1 a fronte di ragioni di carattere tecnico, produttivo, organizzativo o sostitutivo, che devono risultare specificate, a pena di inefficacia, in apposito atto scritto, impone al datore di lavoro l’onere di indicare in modo circostanziato e puntuale, al fine di assicurare la trasparenza e la veridicita’ di tali ragioni, nonche’ l’immodificabilita’ delle stesse nel corso del rapporto, le circostanze che contraddistinguono una particolare attivita’ e che rendono conforme alle esigenze del datore di lavoro, nell’ambito di un determinato contesto aziendale, la prestazione a tempo determinato, si’ da rendere evidente la specifica connessione tra la durata solo temporanea della prestazione e le esigenze produttive ed organizzative che la stessa sia chiamata a realizzare e la utilizzazione del lavoratore assunto esclusivamente nell’ambito della specifica ragione indicata ed in stretto collegamento con la stessa” (cfr. Cass. 27 aprile 2010 n. 10033, e fra le altre successive Cass. 14 febbraio 2011 n. 3614). Le quali hanno pure rimarcato che spetta al giudice di merito accertare – con valutazione che, se correttamente motivata e priva da vizi giuridici, resta esente dal sindacato di legittimita’ – la sussistenza di tali presupposti, valutando ogni elemento, ritualmente acquisito al processo, idoneo a dar riscontro alle ragioni specificamente indicate con atto scritto ai fini dell’assunzione a termine, ivi compresi gli accordi collettivi intervenuti fra le parti sociali e richiamati nel contratto costitutivo del rapporto.

Orbene, se senza dubbio, “l’indicazione di due o piu’ ragioni legittimanti l’apposizione di un termine ad un unico contratto di lavoro non e’ in se’ causa di illegittimita’ del termine per contraddittorieta’ o incertezza della causa giustificatrice delle stesso, restando tuttavia impregiudicata la valutazione di merito dell’effettivita’ e coerenza delle ragioni indicate” (v. Cass. 28 luglio 2010 n. 17646, che ha richiamato anche Cass. 17 giugno 2008 n. 16396), sempre che sia rispettato il criterio di specificita’, e non sussista fra di esse incompatibilita’ o intrinseca contraddittorieta’, ne’ cio’ comportando di per se’, salvo un diverso accertamento in concreto, indeterminatezza della causa giustificatrice dell’apposizione del termine, si deve pero’ osservare che qui la Corte territoriale ha spiegato in modo esauriente perche’ le ha ritenute generiche. Ha infatti sottolineato che la societa’ Poste Italiane si era limitata a richiamare, con “tratti molto generali, la riorganizzazione di intere aree di competenza e le innovazioni apportate alle varie divisioni”, ed e’ questa una valutazione di genericita’ congruamente motivata, cosi’ come quella delle innovazioni apportate alle varie divisioni.

Ne’ la ricorrente, con riferimento all’ampio processo di riorganizzazione aziendale e a quello di mobilita’ del personale, ritenute come s’e’ detto situazioni di fatto solo genericamente affermate, puo’ utilmente dolersi del mancato ricorso alle nozioni di comune esperienza, in quanto cio’ attiene all’esercizio di un potere discrezionale riservato al giudice di merito, il cui giudizio circa la sussistenza del fatto notorio puo’ essere censurato in sede di legittimita’ solo se sia stata posta a base della decisione una inesatta nozione del notorio, da intendere come fatto conosciuto da un uomo di media cultura, in un dato tempo e luogo (v. fra le altre, Cass. 20 maggio 2009 n. 11729).

Riguardo poi alla omessa valutazione degli accordi indicati dell’ottobre e dicembre 2001, e poi ancora del gennaio, febbraio e aprile 2002, certamente la specificazione nel contratto di lavoro delle ragioni giustificatrici del termine puo’ risultare anche indirettamente, per relationem in altri testi scritti richiamati e nella disponibilita’ delle parti, ma qui la doglianza e’ inammissibile, non essendo stato riportato nel presente ricorso il loro contenuto contro il principio di autosufficienza del ricorso per cassazione.

Il terzo motivo denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 1206, 1207, 1217, 1218, 1219, 1223, 1227, 2697, 2094 e 2099 cod. civ., nonche’ vizio di motivazione e addebita alla sentenza impugnata di avere riconosciuto alla lavoratrice il diritto alle retribuzioni pur in assenza delle prestazioni lavorative e malgrado la diversita’ sotto il profilo probatorio della fattispecie concernente il diritto alla retribuzione da quella riguardante il diritto al risarcimento del danno.

Il quarto motivo denuncia vizio di motivazione, nonche’ violazione o falsa applicazione degli artt. 2094, 2099, 1206 e 1217 cod. civ. e critica la sentenza impugnata per avere condannato la societa’ al pagamento delle retribuzioni maturate dalla data di notificazione del ricorso introduttivo, sebbene questo non contenesse alcuna messa in mora, ne’ alcuna offerta della prestazione lavorativa.

Anche questi due ultimi mezzi di annullamento sono infondati. In proposito, e’ sufficiente rilevare che qui si verte in tema di risarcimento del danno derivante alla lavoratrice, in caso di conversione del rapporto di lavoro a termine in quello a tempo indeterminato, dall’impossibilita’ della prestazione derivante dall’ingiustificato rifiuto del datore di lavoro di riceverla, che ben puo’ essere commisurato in un importo equivalente alle retribuzioni maturate dalla costituzione in mora del datore di lavoro (a nulla rilevando il carattere sinallagmatico del rapporto di lavoro con riguardo alle retribuzioni). Costituzione in mora qui ribadita dalla sentenza impugnata, la quale ha confermato la relativa statuizione del Tribunale: questo l’aveva individuata nella notifica del ricorso introduttivo del giudizio di primo grado, senza che sul punto la societa’ avesse mosso in appello specifica censura, sottolineando la Corte territoriale (v. l’esposizione in fatto della pronuncia di appello) che Poste Italiane si era limitata a lamentare l’erroneita’ della decisione del Tribunale per la condanna alle “differenze retributive” anche per i periodi non lavorati.

Neppure, infine puo’ ritenersi alcuna incidenza, nella specie, della sopravvenuta L. 4 novembre 2010, n. 183, art. 32, commi 5, 6 e 7, in vigore dal 24 novembre 2010.

Va infatti evidenziato, in via di principio, che costituiscono condizioni necessarie per poter applicare nel giudizio di legittimita’ lo ius superueniens che abbia introdotto, con efficacia retroattiva, una nuova disciplina del rapporto controverso, non solo il fatto che quest’ultima sia in qualche modo pertinente rispetto alle questioni oggetto di censura nel ricorso, in ragione della natura del controllo di legittimita’, il cui perimetro e’ limitato dagli specifici motivi di ricorso (cfr. Cass. 8 maggio 2006 n. 10547, Cass. 27 febbraio 2004 n. 4070), ma anche che il motivo investa, sia pure indirettamente, il tema coinvolto nella disciplina sopravvenuta, condizione questa che qui non si verifica, poiche’ gli ultimi due motivi di ricorso non riguardano le conseguenze patrimoniali derivanti dall’affermata nullita’ del termine del contratto di lavoro, se non per la costituzione in mora, inammissibilmente censurata quanto alla sua individuazione.

Assorbito ogni altro rilievo, il ricorso deve essere rigettato.

In mancanza di qualsiasi attivita’ difensiva da parte della lavoratrice intimata, non si deve provvedere al regolamento delle spese del giudizio di cassazione.

P.Q.M.

LA CORTE rigetta il ricorso; nulla per le spese del presente giudizio.

Cosi’ deciso in Roma, il 9 dicembre 2010 e il 23 febbraio 2011.

Depositato in Cancelleria il 13 aprile 2011

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