Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 8446 del 25/03/2021

Cassazione civile sez. VI, 25/03/2021, (ud. 13/01/2021, dep. 25/03/2021), n.8446

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE L

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DORONZO Adriana – Presidente –

Dott. LEONE Maria Margherita – Consigliere –

Dott. ESPOSITO Lucia – Consigliere –

Dott. PONTERIO Carla – Consigliere –

Dott. DE FELICE Alfonsina – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 11512-2019 proposto da:

C.A., elettivamente domiciliata in ROMA, PIAZZA CAVOUR

presso la CANCELLERIA della CORTE di CASSAZIONE, rappresentata e

difesa dall’avvocato GAETANO IROLLO;

– ricorrente –

contro

INPS – ISTITUTO NAZIONALE DELLA PREVIDENZA SOCIALE, in persona del

Direttore pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA CESARE

BECCARIA 29, presso l’AVVOCATURA CENTRALE DELL’ISTITUTO,

rappresentato e difeso dagli avvocati CIACCI PATRIZIA, PULLI

CLEMENTINA, MASSA MANUELA;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 5477/2018 della CORTE NAPOLI, depositata il

08/10/2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera partecipata del

13/01/2021 dal Consigliere DE FELICE ALFONSINA.

 

Fatto

RILEVATO

Che:

C.A., in qualità di erede di D.B.A., domanda la cassazione della sentenza della Corte d’appello di Napoli che, decidendo sul ricorso proposto dalla stessa per la revocazione della sentenza n. 6584 del 2017, emessa dalla Corte d’appello di Napoli nel giudizio avente ad oggetto il riconoscimento dell’indennità di accompagnamento, l’ha condannata al pagamento delle spese di lite, ritenendo di non dover tener conto della dichiarazione ex art. 152 disp. att., in ragione dell’assenza, in essa, di qual si voglia riferimento al reddito, ma, altresì, a motivo della natura non previdenziale del giudizio;

la ricorrente ha affidato le proprie ragioni ad un unico motivo di gravame;

l’Inps ha depositato tempestivo controricorso;

è stata depositata proposta ai sensi dell’art. 380-bis c.p.c., ritualmente comunicata alle parti unitamente al decreto di fissazione dell’adunanza in camera di consiglio.

Diritto

CONSIDERATO

Che:

va preliminarmente esaminata la difesa prospettata dall’Istituto controricorrente avente ad oggetto l’asserita erroneità della sentenza impugnata per violazione del principio di integrità del contraddittorio (art. 331 c.p.c.);

l’Inps rileva che C.A. aveva agito in qualità di erede pro quota di D.B.A., per la revocazione della sentenza della Corte d’appello che l’aveva condannata alle spese, unitamente agli altri due coeredi D.B.B. e D.B.A.;

ciò premesso, assume che la Corte territoriale adìta per la revocazione del provvedimento reso in grado d’appello, avrebbe dovuto rilevare d’ufficio il difetto d’integrità del contraddittorio e disporne l’integrazione nei confronti degli altri due coeredi, parti del precedente giudizio di appello e, dunque, litisconsorti necessari illegittimamente pretermessi;

l’eccezione non merita accoglimento;

il difetto di integrità del contraddittorio per omessa citazione di alcuni dei litisconsorti necessari, non costituendo un’ eccezione in senso proprio, può essere sollevata per la prima volta anche nel giudizio di legittimità. Tuttavia, tale eccezione può essere formulata solo alla duplice condizione che gli elementi posti a fondamento emergano, con ogni evidenza, dagli atti già ritualmente acquisiti nel giudizio di merito, senza quindi la necessità di nuove prove e dello svolgimento di ulteriori attività vietate in sede di legittimità – e che sulla questione non si sia formato il giudicato. (Cass. n. 20260 del 2006; Cass.n. 25305 del 2008);

l’eccezione sollevata dall’Inps non rispetta questa modalità di deduzione ed è pertanto inammissibile, non specificando peraltro la natura del litisconsorzio esistente tra le parti nel giudizio di appello (Cass. 21381 del 30/08/2018);

con l’unico motivo di ricorso, formulato ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, C.A. denuncia “Violazione e falsa applicazione del D.L. n. 269 del 2003, art. 42, comma 11, convertito, con modificazioni, dalla L. n. 326 del 2003, nonchè dell’art. 152 disp. att. c.p.c.”;

contesta la statuizione d’invalidità della dichiarazione di esonero per assenza di esplicita indicazione del reddito, rilevando che la stessa era contenuta in atto separato allegato al ricorso introduttivo, il che, a norma dell’orientamento di legittimità, che richiama, rende giudizialmente ammissibile e valida la proposizione della domanda di esonero;

quanto al punto della motivazione con cui il giudice dell’appello ha negato la validità della dichiarazione di esenzione dal pagamento delle spese di lite, perchè proposta in una causa di natura non previdenziale (revocazione), la ricorrente sostiene che la sentenza gravata non ha affatto mutato l’oggetto originario della causa, consistente nella domanda di riconoscimento dell’indennità di accompagnamento;

il motivo merita accoglimento;

questa Corte ha già deciso che l’art. 152 disp. att. c.p.c., che esonera dal pagamento delle spese processuali l’assicurato soccombente nei processi promossi per ottenere prestazioni previdenziali, è applicabile con riferimento all’attività processuale compiuta in ogni stato e grado di quei processi e, quindi, anche nel giudizio per revocazione, che partecipa della stessa natura del giudizio in cui è stata emessa la sentenza revocanda (Cass. n. 13166 del 2009);

quanto al reddito da indicare nella dichiarazione di esonero, l’art. 152 disp. att. c.p.c., nel testo modificato dal D.L. n. 269 del 2003, art. 42, comma 11, conv., con modif., dalla L. n. 326 del 2003, e risultante dall’aggiunta operata dalla L. n. 69 del 2009, art. 52, comma 6, stante il richiamo limitato al D.P.R. n. 115 del 2002, art. 79, commi 2 e 3, con esclusione del comma 1, che disciplina il contenuto dell’istanza per il gratuito patrocinio, non impone alla parte ricorrente l’indicazione specifica dell’entità del reddito nella prescritta dichiarazione sostitutiva, in un’ottica di semplificazione delle condizioni di accesso alla tutela giurisdizionale, coerente con la “ratio” ispiratrice della disciplina di favorire l’effettivo accesso alla tutela di diritti costituzionalmente garantiti, benchè diretta ad evitare e punire gli abusi (Cass. n. 24303 del 2016);

in definitiva, il ricorso va accolto, la sentenza impugnata va cassata e, non essendo necessari ulteriori accertamenti, la causa va decisa nel merito, dichiarando C.A. non tenuta al pagamento delle spese di lite relative al giudizio di revocazione;

la sentenza impugnata va confermata nel resto;

le spese del presente giudizio, come liquidate in dispositivo, sono poste a carico dell’Inps, disponendosene il pagamento in favore dell’Erario, risultando dagli atti di causa che la parte ricorrente è stata ammessa al gratuito patrocinio.

PQM

La Corte accoglie il ricorso. Cassa la sentenza impugnata e, decidendo nel merito, dichiara non tenuta C.A. al pagamento delle spese di lite relative al giudizio di revocazione dalla stessa proposto avverso la sentenza della Corte d’appello di Napoli n. 6584 del 2017. Conferma per il resto l’impugnata sentenza.

Condanna l’Inps al rimborso delle spese del giudizio di legittimità in favore dell’Erario, liquidandole in Euro 200,00 per esborsi, Euro 1.200,00 a titolo di compensi oltre accessori di legge.

Così deciso in Roma, all’Adunanza camerale, il 13 gennaio 2021.

Depositato in Cancelleria il 25 marzo 2021

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