Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 8446 del 09/04/2010

Cassazione civile sez. lav., 09/04/2010, (ud. 26/01/2010, dep. 09/04/2010), n.8446

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. VIDIRI Guido – Presidente –

Dott. STILE Paolo – rel. Consigliere –

Dott. IANNIELLO Antonio – Consigliere –

Dott. NAPOLETANO Giuseppe – Consigliere –

Dott. BALLETTI Bruno – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

CA.DE.ME. S.R.L., in persona del legale rappresentante pro tempore,

elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DELLE ROBINIE 84, presso lo

studio dell’avvocato GUERRIERO LUCIANO, rappresentato e difeso dagli

avvocati EPICOCO STEFANO, GRECO GIUSEPPE, giusta mandato a margine

del ricorso;

– ricorrente –

contro

I.N.P.S. – ISTITUTO NAZIONALE DELLA PREVIDENZA SOCIALE, in persona

del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliato in

ROMA, VIA DELLA FREZZA 17, presso l’Avvocatura Centrale

dell’Istituto, rappresentato e difeso dagli avvocati CORETTI

ANTONIETTA, CORRERA FABRIZIO, SGROI ANTONINO, giusta mandato in calce

al controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 217/2005 della SEZ. DIST. CORTE D’APPELLO di

TARANTO, depositata il 28/11/2005 R.G.N. 96/05;

udita la relazione della causa svolta nella Udienza pubblica del

26/01/2010 dal Consigliere Dott. STILE Paolo;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

FUZIO Riccardo, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

 

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con ricorso depositato il 5 aprile 1996, la srl Ca.de.me. chiedeva al Giudice del lavoro di Taranto che fosse dichiarato inefficace e/o nullo il decreto n. 3300/96, col quale l’INPS le aveva ingiunto il pagamento della somma di L. 127.811.635, a titolo di contributi, non pagati e di sanzioni.

A sostegno dell’opposizione, la societa’ osservava:

a) che l’INPS aveva determinato i contributi dovuti sulla base delle retribuzioni previste dal ccnl, che, invece, nel caso di specie, non poteva trovare applicazione, in quanto il datore di lavoro, anche in considerazione della sua situazione aziendale, poteva optare per una diversa contrattazione, senza violare i diritti dei lavoratori, i quali vi aderiscono anche in vista di un vantaggio in termini di durata del rapporto;

b) che erano stati pagati i bollettini modello dm relativi al condono effettuato in data (OMISSIS), sicche’ il debito contributivo si era estinto.

L’INPS si costituiva, chiedendo il rigetto dell’opposizione, rilevando che, contrariamente a quanto dedotto a sostegno dell’opposizione, la retribuzione da considerare per il calcolo dei contributi di previdenza ed assistenza non poteva essere inferiore, in virtu’ della L. n. 389 del 1989, all’importo retributivo stabilito dalle leggi, dai regolamenti e dai contratti collettivi stipulati dalle organizzazioni sindacali piu’ rappresentative su base nazionale ovvero da accordi collettivi o contratti individuali, qualora ne derivasse una retribuzione di importo superiore a quello previsto dal contratto collettivo; che non aveva rilevanza, a differenza di quanto sostenuto dall’opponente, il pagamento dei bollettini relativi al condono, sia perche’ era stato eseguito un pagamento parziale, notevolmente inferiore ai contributi omessi, sia perche’ i versamenti non risultavano eseguiti con la necessaria periodicita’ mensile, sia, infine, perche’ la societa’ era incorsa nella decadenza, per non avere corrisposto la seconda rata del (OMISSIS). Il Giudice adito, con sentenza in data 3 novembre 2004 – 19 gennaio 2005, aderendo alla linea difenssiva dell’INPS, rigettava l’opposizione.

Avverso tale decisione la srL CA.DE.ME., con ricorso depositato il 13 aprile 2005, proponeva appello e ne chiedeva la riforma.

Resisteva l’appellato, chiedendo il rigetto dell’impugnazione.

Con sentenza del 25 ottobre – 28 novembre 2005, l’adita Corte di Appello di Lecce, Sezione Distaccata di Taranto rigettava il gravame, osservando che:

la prescrizione, invocata dalla societa’, non era applicabile al credito dedotto in causa e, comunque, trattandosi di prescrizione non rilevabile d’ufficio, non era stata tempestivamente eccepita;

era onere dell’originaria opponente provare il fondamento della sua eccezione di estinzione del debito per condono, il quale, ove accordato, avrebbe dovuto far pervenire il provvedimento conclusivo del relativo iter amministrativo, nella materiale disponibilita’ di essa richiedente;

era da condividersi in toto l’interpretazione ed applicazione che il Tribunale aveva espresso ed effettuato della L. n. 338 del 1989, art. 1. Per la cassazione di tale pronuncia ricorre la CA.DE.ME. con due motivi. Resiste l’INPS con controricorso.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Con il primo motivo, la ricorrente societa’, denunciando violazione e/o falsa applicazione della L. 08 agosto 1995, n. 11, art. 3, commi 9 e 10, degli artt. 335, 112, 416 e 437, c.p.c. con riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, sostiene che erroneamente la Corte di Lecce aveva affermato che la eccezione di prescrizione, sollevata da essa societa’, in grado di appello, in relazione alla richiesta dei contributi e sanzioni avanzata dall’INPS, doveva considerarsi tardiva, trattandosi al contrario di questione rilevabile di ufficio.

Con il secondo motivo la ricorrente denuncia violazione e/o falsa applicazione della L. 02 marzo 1974, n. 30, art. 21, L. 21 dicembre 1978, n. 843, D.L. 09 ottobre 1989, n. 338, art. 1 e art. 6, comma 9, lett. b) e c), convertito in L. 07 dicembre 1989, n. 389, nonche’ D.L. 27 giugno 1987, n. 244, art. 1, comma 10 reiterato D.L. 28 giugno 1987, n. 358, D.L. 30 ottobre 1987, n. 442 e D.L. 30 dicembre 1987, n. 536, quest’ultimo convertito in L. 29 febbraio 1988, n. 48, con riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, e, sotto altro profilo, omessa insufficiente e/o contraddittoria motivazione su un punto di fatto decisivo per la controversia, con riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5. Il ricorso, pur valutato nelle sue diverse articolazioni non puo’ essere accolto per le ragioni che seguono.

E’ pur vero che il Giudice di Appello, richiamando una pronuncia di questa Corte, ha osservato che la prescrizione, anche in materia di sanzioni amministrative, non e’ rilevabile di ufficio, ma su eccezione della parte che ne ha interesse (v. Cass. n. 6519/2005), ma e’ anche vero che, secondo la ormai consolidata giurisprudenza di legittimita’, nella materia previdenziale, il regime della prescrizione gia’ maturata e’ differente rispetto alla materia civile, in quanto e’ sottratto alla disponibilita’ delle parti, sicche’ deve escludersi l’esistenza di un diritto soggettivo degli assicurati a versare contributi previdenziali prescritti: la prescrizione, inoltre, opera di diritto e pertanto puo’ essere rilevata anche d’ufficio dal giudice, mentre l’ente previdenziale non puo’ rinunciare alla “irricevibilita’” dei contributi prescritti.

Detto principio di indisponibilita’ – attualmente fissato dalla L. n. 335 del 1995, art. 3, comma 9 desumibile, per il periodo precedente l’entrata in vigore di tale disposizione, dal R.D.L. n. 1827 del 1935, art. 55, comma 2 – vale per ogni forma di assicurazione obbligatoria e, in base alla L. n. 335 del 1995, art. 3, comma 10 si applica anche per i contributi prescritti prima dell’entrata in vigore della medesima legge (Cass., n. 23164/07; Cass. n. 6340/05;

Cass. 23116/04).

Tanto chiarito, deve osservarsi che la questione viene a spostarsi sulla interpretazione della L. 8 agosto 1995, n. 335, art. 3 che al comma 9 cosi’ dispone: “Le contribuzioni di previdenza e di assistenza sociale obbligatoria si prescrivono e non possono essere versate con il decorso dei termini di seguito indicati:

a) dieci anni per le contribuzioni di pertinenza del Fondo pensioni lavoratori dipendenti e delle altre gestioni pensionistiche obbligatorie, compreso il contributo di solidarieta’ previsto dal D.L. 29 marzo 1991, n. 103, art. 9 bis, comma 2 convertito, con modificazioni, dalla L. 1 giugno 1991, n. 166, ed esclusa ogni aliquota di contribuzione aggiuntiva non devoluta alle gestioni pensionistiche. A decorrere dal 1 gennaio 1996 tale termine e’ ridotto a cinque anni salvi i casi di denuncia del lavoratore o dei suoi superstiti; b) cinque anni per tutte le altre contribuzioni di previdenza e di assistenza sociale obbligatoria”.

Il successivo comma 10 stabilisce che “I termini di prescrizione di cui al comma 9 si applicano anche alle contribuzioni relative a periodi precedenti la data di entrata in vigore della presente legge, fatta eccezione per i casi di atti interruttivi gia’ compiuti o di procedure iniziate nel rispetto della normativa preesistente. Agli effetti del computo dei termini prescrizionali non si tiene conto della sospensione prevista dal D.L. 12 settembre 1983, n. 463, art. 2, comma 19 convertito, con modificazioni, dalla L. 11 novembre 1983, n. 638, fatti salvi gli atti interruttivi compiuti e le procedure in corso”.

Il coordinamento tra i due commi dell’art. 3, sopra riportati, rappresenta la principale difficolta’ per la ricostruzione di questo sistema; cio’ che ha dato luogo a diversi orientamenti interpretativi sia a livello dottrinario che giurisprudenziale, rendendo necessario l’intervento delle S.U. di questa Corte, che con la recente sentenza del 7 marzo 2008 n. 6173, ha provveduto a comporre il contrasto. Con detta pronuncia la Corte ha disatteso l’indirizzo prevalente, che, sostenendo l’immediata introduzione del nuovo termine quinquennale per i contributi relativi a periodi precedenti alla data di entrata in vigore della legge (salve le ipotesi, previste dalla norma, di denuncia del lavoratore o di iniziative dell’istituto previdenziale), delinea una netta cesura tra vecchio e nuovo, con effetti estintivi automatici sulle obbligazioni gia’ in essere, incidendo direttamente sugli interessi contrapposti considerati dalla norma, e cioe’ da un lato quello dell’ente creditore alla riscossione dei contributi, dall’altro quello del lavoratore assicurato alla tutela della propria posizione previdenziale, che risulta compromessa dalla prescrizione dei contributi.

Tale orientamento non e’ stato ritenuto condivisibile, non stabilendo la normativa sopra esaminata un’espressa deroga all’art. 252 disp. att. c.c., disposizione munita di portata generale (cfr. Corte Costituzionale 3 febbraio 1994 n. 20)- in base a questa disposizione, quando una nuova legge stabilisca un termine, in particolare di prescrizione, piu’ breve di quello fissato dalla legge anteriore, il nuovo termine si applica anche alle prescrizioni in corso, ma decorre dalla data di entrata in vigore della legge che ne ha disposto l’abbreviazione, purche’, a norma della legge precedente, non residui un termine minore.

Imponendosi questa regola ai fini di una corretta interpretazione della normativa in oggetto, la richiamata pronuncia ha tratto la conclusione che, con l’entrata in vigore della legge che ha introdotto il nuovo regime per la prescrizione dei contributi relativi a periodi precedenti, opera, fuori dei casi di conservazione del precedente termine decennale, il nuovo termine di prescrizione piu’ breve, che comincia peraltro a decorrere dalla data del 1 gennaio 1996; detto termine non puo’ essere quindi superiore a cinque anni, mentre puo’ essere inferiore se tale e’ il residuo de piu’ lungo termine determinato secondo il regime precedente. Siffatta interpretazione produce i suoi effetti anche in relazione al caso in controversia, caratterizzato – come e’ pacifico – dalla redazione, da parte dell’Istituto, di apposito verbale di accertamento del (OMISSIS), ritualmente notificato alla CA’DE.ME. srl, con il quale veniva richiesto il pagamento del dovuto – per violazione del D.L. 9 ottobre 1989, n. 338, art. 1 e art. 6, comma 9 convertito in L. 7 dicembre 1989, n. 389, relativo al periodo 1 agosto 1987 – 30 novembre 1990 -, cui faceva seguito la notificazione dell’ingiunzione, avvenuta l’8 marzo 1996, quando, cioe’, la scadenza del termine decennale residuo di prescrizione, stabilito ex art. 252 disp. att. c.c. non si era ancora verificata e, neppure quello quinquennale, decorrente dal primo gennaio 1996. Infondata e’ anche la censura espressa con il secondo mezzo d’impugnazione. In proposito, il Giudice a quo, dopo avere osservato che la ricorrente lamentava che erroneamente l’INPS aveva assunto la retribuzione prevista dal ccnl a base del calcolo dei contributi previdenziali ed assistenziali, ha correttamente richiamato la giurisprudenza di questa Corte, secondo cui “l’importo della retribuzione da assumere come base di calcolo dei contributi previdenziali non puo’ essere inferiore all’importo di quella che ai lavoratori di un determinato settore sarebbe dovuta in applicazione dei contratti collettivi stipulati dalle associazioni sindacali piu’ rappresentative su base nazionale, secondo il riferimento ad essi fatto — con esclusiva incidenza sul rapporto previdenziale – dal D.L. n. 338 del 1989, art. 1 senza le limitazioni derivanti dall’applicazione dei criteri di cui all’art. 36 Cost., che sarebbero giustificate solo ove a detti contratti si dovesse ricorrere, con incidenza sui distinto rapporto di. lavoro, ai. fini della determinazione della giusta retribuzione” (Cass. sez. un. 29.7.2002 n. 11199, in senso conforme, n. 9492/2003;

3494/2003; 3491/2003; 16246/2002; 19308/2004).

La ricorrente, nel prendere atto di tale giurisprudenza sostiene che, se per il periodo dall’1 gennaio 1989 al 30 novembre 1990, in applicazione di detta legge, essa era tenuta al versamento delle contribuzioni prevista dalla contrattazione collettiva in ossequio al dettato di cui alla L. n. 389 del 1989, art. 1 per cui l’addebito comminato era legittimo, non poteva dirsi lo stesso per il periodo precedente – 1 agosto 1987 al 31 dicembre 1988 – rispetto al quale, in applicazione della L. 21 dicembre 1978, n. 843, art. 20 a partire dal 1979, i minimi giornalieri andavano annualmente aggiornati con decreto del Ministro del lavoro.

L’assunto, tuttavia, non e’ supportato ne’ dall’indicazione di tali minimi giornalieri ne’ dal raffronto con le retribuzioni corrisposte e, pertanto, non puo’ trovare accoglimento in questa sede.

Va soggiunto che -come emerge dalla stessa sentenza impugnata – nelle precedenti fasi del procedimento giudiziario, l’unico motivo del contendere e’ stato costituito, oltre che da un preteso assolvimento della pratica di condono, dal diritto della societa’ di pagare la contribuzione previdenziale non sulla retribuzione dovuta in applicazione del ccnl del settore applicabile al caso di specie, ma sulla scorta di un contratto aziendale, che non e’ stato valutato in termini di “miglior favore”; cio’ che esclude altresi’ ogni diritto alla fruizione del beneficio degli sgravi degli oneri sociali, che non risulta, peraltro, aver formato oggetto di discussione nella fase di merito.

Per quanto precede, il ricorso va rigettato.

Le spese del presente giudizio, liquidate come da dispositivo, seguono la soccombenza.

P.Q.M.

LA CORTE Rigetta il ricorso e condanna la ricorrente alle spese di questo giudizio, liquidate in Euro 13,00 oltre Euro 3.000,00 ed accessori di legge.

Così deciso in Roma, il 26 gennaio 2010.

Depositato in Cancelleria il 9 aprile 2010

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