Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 8444 del 04/05/2020

Cassazione civile sez. lav., 04/05/2020, (ud. 09/01/2020, dep. 04/05/2020), n.8444

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. RAIMONDI Guido – Presidente –

Dott. BLASUTTO Daniela – Consigliere –

Dott. LORITO Matilde – rel. Consigliere –

Dott. GARRI Fabrizia – Consigliere –

Dott. CINQUE Guglielmo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 8390/2016 proposto da:

V.S., P.A., S.V.,

VE.CL.SE., elettivamente domiciliati in ROMA, PIAZZA CAVOUR, presso

la CANCELLERIA DELLA CORTE DI CASSAZIONE, rappresentati e difesi

dall’avvocato MICHELE LAI;

– ricorrenti –

contro

FONDAZIONE ORCHESTRA SINFONICA E CORO SINFONICO DI MILANO GIUSEPPE

VERDI, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA VIRGILIO 8, presso lo

studio dell’avvocato ILARIA CICCOTTI, rappresentata e difesa

dall’avvocato ALESSANDRO NICOLINI;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 634/2015 della CORTE D’APPELLO di MILANO,

depositata il 28/09/2015, R.G.N. 1173/2013.

Fatto

RILEVATO

che:

La Corte d’Appello di Milano, con sentenza resa pubblica in data 28/9/2015 confermava la pronuncia del giudice di prima istanza che aveva respinto le domande proposte da V.S., S.V., P.A., Ve.Cl.Se. nei confronti della Fondazione Orchestra Sinfonica e Coro Sinfonico di Milano Giuseppe Verdi, intese a conseguire:

in via principale, pronuncia dichiarativa della intercorrenza fra le parti di un rapporto di lavoro subordinato e a tempo indeterminato, della nullità o inefficacia della “disdetta del rapporto di lavoro e/o del licenziamento posto in essere dalla Fondazione”, e di condanna al ripristino del rapporto di lavoro, previa formale assunzione degli stessi con contratto di lavoro a tempo indeterminato;

in via subordinata, pronuncia di accertamento della sussistenza di un rapporto di collaborazione coordinata e continuativa priva di un progetto specifico con la costituzione di un rapporto di lavoro subordinato D.Lgs. n. 276 del 2003, ex art. 69.

La Corte distrettuale perveniva a tale convincimento dopo avere scrutinato l’articolato quadro istruttorio delineato in prime cure, ritenuto inidoneo a comprovare la ricorrenza, nello specifico, degli elementi atti a qualificare, in termini di locatio operarum, il rapporto di lavoro intercorso fra le parti.

Disattendeva altresì la censura concernente la domanda proposta in via subordinata, sul rilievo che il contenuto altamente specialistico della prestazione, la breve durata dei singoli contratti ancorati a specifici spettacoli, la libertà di prestazioni in favore della convenuta con altre rese in favore dei terzi, imponevano di escludere che la fattispecie potesse ricondursi al paradigma normativo di cui al D.Lgs. n. 276 del 2003, art. 69.

Avverso tale decisione i lavoratori soccombenti interpongono ricorso per cassazione sostenuto da quattro motivi illustrati da memoria ex art. 380 bis c.p.c..

La Fondazione intimata resiste con controricorso successivamente illustrato da memoria.

Diritto

CONSIDERATO

che:

1. Con il primo motivo si denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 2094,2222 e 2230 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3.

Si osserva, in estrema sintesi, che, avuto riguardo alla prestazione di un musicista d’orchestra e diversamente da quanto argomentato dai giudici del gravame, non è configurabile una prestazione intellettuale d’opera autonoma, ad eccezione delle prestazioni cd. solistiche in cui il prestatore d’opera dispone di autonomia nella interpretazione e nella esecuzione del brano musicale.

Ritenute inapplicabili alla fattispecie le disposizioni di cui agli artt. 2230 e segg., si ripercorre l’iter motivazionale seguito dai giudici del gravame per criticarne gli approdi in tema di verifica degli elementi costitutivi della subordinazione, e proponendone una diversa interpretazione, sul, rilievo che il rispetto dell’orario di lavoro, l’obbligo di giustificare le assenze e quello di rispettare pedissequamente le direttive del direttore musicale, integravano indici significativi della intercorrenza di un rapporto di lavoro disciplinato dall’art. 2094 c.c..

2. Il motivo non è fondato.

Ed invero, secondo il consolidato orientamento di questa Corte, ai fini della qualificazione del rapporto di lavoro come autonomo o subordinato, è censurabile in sede di legittimità soltanto la determinazione dei criteri generali ed astratti da applicare al caso concreto, mentre costituisce apprezzamento di fatto, come tale incensurabile in detta sede, se correttamente motivata, la valutazione delle risultanze processuali che hanno indotto il giudice del merito ad includere il rapporto controverso nell’uno o nell’altro schema contrattuale (cfr., ex plurimis, Cass. 4/5/2011 n. 9808, Cass. 17/4/2009 n. 9256 e, con riferimento al rapporto di lavoro di musicisti dell’Orchestra Regionale della Toscana, Cass. 17/5/2003 n. 7740).

Nel caso di specie la Corte territoriale il proprio iter argomentativo senza arrecare alcun vulnus ai criteri generali ed astratti da applicare al caso concreto in tema di qualificazione del rapporto di lavoro.

Ha osservato in via di premessa che gli appellanti, professori d’orchestra, avevano operato in favore della Fondazione, in esecuzione di contratti di prestazione d’opera intellettuale conclusi in relazione a specifici programmi, comportanti l’obbligo di partecipazione alle prove nei luoghi e secondo le modalità stabilite dalla Fondazione, il rispetto delle modifiche alla programmazione che l’Orchestra avesse ritenuto di apportare e con la garanzia di retribuzione delle sole giornate lavorate in caso di cancellazione di concerti per cause indipendenti dalla volontà dell’Orchestra.

Ha rimarcato poi, come l’oggetto della prestazione concordata fosse connotato da un lato dall’elevato contenuto professionale richiesto al singolo professionista, e dall’altro “dalla necessaria coralità della prestazione in quanto destinata ad assumere valore e contenuto in rapporto agli altri componenti dell’orchestra”. Si trattava di “condotte specularmente necessarie, onde assicurare la completa funzionalità dell’orchestra, poste a presidio della qualità stessa dello spettacolo, passibile di essere compromessa – con intuibili ricadute negative in termini di immagine e di pubblico – da improvvise defezioni che, proprio in ragione di ciò, la Fondazione doveva essere in grado di fronteggiare per tempo”.

Nell’ottica descritta, privi di valenza significativa dovevano ritenersi l’obbligo di rispettare rigidamente gli orari (sia con riguardo alle prove che agli spettacoli), così come l’obbligo di giustificare le assenze, elementi tutti enfatizzati dai ricorrenti a fondamento del diritto azionato, valendo analoghe considerazioni anche per quanto riguarda la dedotta soggezione alle direttive provenienti dal direttore, proprio in quanto funzionali alla realizzazione dell’opera, garantita dal coordinato apporto di ciascuno dei musicisti, ed al luogo della prestazione. Deprivato di significato decisivo era anche l’obbligo di rimanere a disposizione fra un concerto e l’altro, risolvendosi nella necessità di garantire la prestazione nella sua globalità, quale individuata negli accordi inter partes.

In definitiva, non erano stati dedotti elementi significativi della subordinazione, qualificata dall’esistenza di un potere direttivo che consentisse al datore di lavoro di disporre pienamente della prestazione altrui, nell’ambito delle esigenze della propria organizzazione produttiva. Le acquisizioni probatorie avevano anzi escluso l’esistenza di tale potere direttivo, “essendo invece incontestata la libertà degli appellanti di accettare o meno le singole proposte contrattuali…di sottrarsi alle prove in caso di variazioni assunte in corso d’opera a fronte di pregressi impegni” e di assumerne anche nei confronti dei terzi.

Da ultimo, ostativa rispetto alla qualificazione in termini di subordinazione del rapporto di lavoro inter partes era da ritenersi la natura squisitamente intellettuale dell’opera prestata e della qualità dei contraenti che, in difetto di inequivoci indici di deviazione del rapporto dalle obbligazioni concordate, inducevano a conferire rilievo nella qualificazione, alla volontà espressa dai contraenti.

Si tratta di apprezzamento condotto in conformità ai principi elaborati in tema dalla Corte di legittimità – secondo cui l’elemento della subordinazione (ossia della sottoposizione al potere direttivo, disciplinare e di controllo del datore di lavoro) costituisce una modalità d’essere del rapporto, desumibile da un insieme di circostanze che devono essere complessivamente valutate da parte del giudice del merito, in particolare nei rapporti di lavoro aventi natura professionale o intellettuale ed indipendentemente da una iniziale pattuizione scritta sulle modalità del rapporto (vedi Cass. 26/8/2013 n. 19568) – ed alla stregua di argomentazioni congrue quanto alla valutazione delle circostanze ritenute in concreto idonee a far rientrare il rapporto controverso nell’uno o nell’altro schema contrattuale. La statuizione non appare, dunque, inficiata, dalla formulata censura.

3. Il secondo motivo prospetta violazione dell’art. 116 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3.

Si deduce l’erroneità di giudizio da parte dei giudici del gravame, nella attività di scrutinio delle prove testimoniali acquisite, criticandosi altresì la decisione della Corte “di non ammettere le prove…omesse dal Tribunale” che limitava e comprimeva ingiustamente il diritto di difesa dei ricorrenti.

4. Il motivo non è ammissibile.

Una questione quale quella prospettata in questa sede, di violazione o di falsa applicazione degli artt. 115 e 116 c.p.c., non può, infatti, porsi per una erronea valutazione del materiale istruttorio compiuta dal giudice di merito, ma, rispettivamente, solo allorchè si alleghi che quest’ultimo abbia posto a base della decisione prove non dedotte dalle parti, ovvero disposte d’ufficio al di fuori dei limiti legali, o abbia disatteso, valutandole secondo il suo prudente apprezzamento, delle prove legali, ovvero abbia considerato come facenti piena prova, recependoli senza apprezzamento critico, elementi di prova soggetti invece a valutazione (vedi Cass. 27/12/2016 n. 27000); ipotesi queste non riscontrabili nella fattispecie scrutinata.

Non può poi, tralasciarsi di considerare che secondo l’insegnamento di questa Corte, in tema di valutazione delle risultanze probatorie in base al principio del libero convincimento del giudice, la violazione degli artt. 115 e 116 c.p.c., è apprezzabile, in sede di ricorso per cassazione, nei limiti del vizio di motivazione di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, oltre ad emergere direttamente dalla lettura della sentenza, non già dal riesame degli atti di causa, non consentito in sede di legittimità (vedi Cass. 20/6/2006 n. 14267, cui adde, Cass. 30/11/2016 n. 24434, nonchè Cass. 27/7/2017 n. 18665). L’art. 116 c.p.c., comma 1, consacra poi il principio del libero convincimento del giudice, al cui prudente apprezzamento – salvo alcune specifiche ipotesi di prova legale – è pertanto rimessa la valutazione globale delle risultanze processuali, essendo egli peraltro tenuto ad indicare gli elementi sui quali si fonda il suo convincimento nonchè l’iter seguito per addivenire alle raggiunte conclusioni, ben potendo al riguardo disattendere taluni elementi ritenuti incompatibili con la decisione adottata (ex plurimis vedi Cass. 15/1/14 n. 687).

Nello specifico, non può sottacersi come il ricorso solleciti, nella forma apparente della denuncia di error in iudicando, un riesame dei fatti, non esplicabile nella presente sede, posto che, secondo i consolidati principi espressi da questa Corte, con il ricorso per cassazione la parte non può rimettere in discussione, proponendo una propria diversa interpretazione, la valutazione delle risultanze processuali e la ricostruzione della fattispecie operate dai giudici del merito poichè la revisione degli accertamenti di fatto compiuti da questi ultimi è preclusa in sede di legittimità (ex plurimis, vedi Cass. 7/12/2017 n. 29404).

5. Quanto alla doglianza attinente alla mancata ammissione di “prove omesse dal Tribunale”, ne va rimarcata la assoluta genericità.

Qualora con il ricorso per cassazione siano denunciati la mancata ammissione di mezzi istruttori e vizi della sentenza derivanti dal rifiuto del giudice di merito di dare ingresso a mezzi istruttori ritualmente richiesti, il ricorrente ha l’onere di indicare specificamente i mezzi istruttori, trascrivendo le circostanze che costituiscono oggetto di prova, nonchè di dimostrare sia l’esistenza di un nesso eziologico tra l’omesso accoglimento dell’istanza e l’errore addebitato al giudice, sia che la pronuncia,senza quell’errore, sarebbe stata diversa, così da consentire al giudice di legittimità un controllo sulla decisività delle prove (cfr. Cass. 4/10/2017 n. 23194).

E detta carenza appare riscontrabile anche ove la stessa, genericamente ricondotta alla omissione di prove, si riferisse alla omessa valutazione di prove documentali (argomenta da pagg. 14 e 34 del ricorso); si palesano al riguardo, evidenti profili di inammissibilità del motivo, non essendo indicato nè il contenuto degli strumenti istruttori approntati, nè quello della documentazione che si assume ingiustamente trascurata.

I requisiti di contenuto-forma previsti, a pena di inammissibilità, dall’art. 366 c.p.c., comma 1, nn. 3, 4 e 6, devono, infatti, essere assolti necessariamente con il ricorso e non possono essere ricavati da altri atti, come la sentenza impugnata o il controricorso, dovendo il ricorrente specificare il contenuto della critica mossa alla sentenza impugnata indicando precisamente i fatti processuali alla base del vizio denunciato, producendo in giudizio l’atto o il documento della cui erronea valutazione si dolga, o indicando esattamente nel ricorso in quale fascicolo esso si trovi e in quale fase processuale sia stato depositato, e trascrivendone o riassumendone il contenuto nel ricorso, nel rispetto del principio di autosufficienza. (vedi ex plurimis, Cass. 13/11/2018 n. 29093).

6. Con la terza censura è denunciato omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio oggetto di discussione fra le parti ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5.

Ci si duole che la Corte di merito abbia tralasciato di considerare la sostanziale continuità delle prestazioni rese dai ricorrenti, che in difetto di specifiche motivazioni circa la durata temporanea dei contratti, in ipotesi di positivo accertamento della natura subordinata del rapporto di lavoro, avrebbe potuto anche condurre all’accertamento della costituzione di un rapporto di lavoro subordinato a tempo indeterminato fra le parti.

7. Anche questa doglianza palesa profili di inammissibilità, attenendo al giudizio riservato al giudice di merito, sottoposto al vaglio di legittimità, esclusivamente entro i ristretti ambiti definiti dalle sezioni Unite di questa Corte nelle sentenze n. 8053 e n. 8054 del 7/4/2014.

La ricostruzione del fatto operata dai giudici del merito è, infatti, ormai sindacabile nella presente sede – ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, novellato ai sensi del D.L. 22 giugno 2012, n. 83, art. 54, comma 1, lett. b), conv. con mod. in L. 7 agosto 2012, n. 134 – soltanto ove la motivazione al riguardo sia affetta da vizi giuridici, oppure se manchi del tutto, se sia articolata su espressioni od argomenti tra loro manifestamente ed immediatamente inconciliabili, oppure perplessi, ovvero obiettivamente incomprensibili; mentre non si configura un omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, ove quest’ultimo sia stato comunque valutato dal giudice, sebbene la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie e quindi anche di quel particolare fatto storico, se la motivazione resta scevra dai gravissimi vizi appena detti.

E nello specifico il giudice del gravame, per quanto sinora detto, è pervenuto alle ricordate conclusioni, alla stregua di un iter argomentativo che non risponde ai requisiti della assoluta omissione o della irredimibile contraddittorietà che avrebbero giustificato l’esercizio dello scrutinio in questa sede di legittimità.

8. La quarta critica concerne violazione dell’art. 2030 c.c. e del D.Lgs. n. 276 del 2003, art. 69. Si deduce che l’erronea supposizione concernente il contenuto altamente specialistico della prestazione resa dagli orchestrali aveva prodotto inevitabili ricadute anche in ordine alla reiezione della domanda subordinata, ingiustamente respinta dalla Corte di merito.

Considerato infatti che le prestazioni dei musicisti di fila, svolte dai ricorrenti, si esplicavano nella ordinaria pratica strumentale, esse ben potevano essere astrattamente inquadrate nell’ambito della collaborazione d’opera coordinata e continuativa qualificata da uno specifico progetto cui le prestazioni stesse erano finalizzate.

9. Anche questo motivo va disatteso.

Si osserva al riguardo che, in tema di ricorso per cassazione, l’allegazione di un’erronea ricognizione della fattispecie concreta a mezzo delle risultanze di causa è esterna all’esatta interpretazione della norma di legge e inerisce alla tipica valutazione del giudice di merito, la cui censura è possibile, in sede di legittimità, sotto l’aspetto del vizio di omesso esame di un fatto decisivo oggetto di discussione tra le parti. Il discrimine tra le distinte ipotesi di violazione di legge in senso proprio a causa dell’erronea ricognizione dell’astratta fattispecie normativa,ovvero erronea applicazione della legge in ragione della carente o contraddittoria ricostruzione della fattispecie concreta, è segnato dal fatto che solo quest’ultima censura, e non anche la prima, è mediata dalla contestata valutazione delle risultanze di causa (ex multis, vedi Cass. 11/1/2016 n. 195, Cass. 6/3/2019 n. 6519). L’ipotesi considerata rientra, quindi, certamente nel paradigma da ultimo delineato, posta la necessaria valutazione dei termini di estrinsecazione del rapporto – per quanto sinora detto compiutamente esplicata dal giudice del gravame, alla stregua delle risultanze istruttorie – per verificarne la sussumibilità nella fattispecie normativa di riferimento.

La Corte di merito ha infatti congruamente argomentato come dovesse escludersi la riconducibilità del rapporto allo schema normativo di cui al D.Lgs. n. 276 del 2003, art. 69, riservato alle collaborazioni coordinate e continuative nulle per carenza di specifico progetto, certamente non ravvisabili nella fattispecie, che risultava qualificata dalla intercorrenza fra le parti di rapporti libero professionali, funzionali all’esecuzione di un’opera intellettuale concordata di volta in volta, come tale soggetta alla disciplina di cui all’art. 2230 c.c..

La quaestio facti rilevante in causa è stata, dunque, trattata in conformità ai criteri valutativi enucleati dalla giurisprudenza di legittimità, pur pervenendo il giudice del gravame a conclusioni diverse rispetto a quelle indicate da parte ricorrente conclusioni che non appaiono inficiate dalle critiche in questa sede formulate.

In definitiva, alla luce delle superiori argomentazioni, il ricorso è respinto.

Le spese del presente giudizio seguono la soccombenza, liquidate come da dispositivo.

Trattandosi di giudizio instaurato successivamente al 30 gennaio 2013 sussistono le condizioni per dare atto ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, della sussistenza dei presupposti processuali, per il versamento, da parte dei ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso. Condanna i ricorrenti al pagamento delle spese del presente giudizio che liquida in Euro 200,00 per esborsi ed Euro 4.000,00 per compensi professionali, oltre spese generali al 15% ed accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte dei ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nella Adunanza camerale, il 9 gennaio 2020.

Depositato in Cancelleria il 4 maggio 2020

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