Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 8442 del 27/03/2019

Cassazione civile sez. III, 27/03/2019, (ud. 13/06/2018, dep. 27/03/2019), n.8442

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SESTINI Danilo – Presidente –

Dott. SCODITTI Enrico – Consigliere –

Dott. D’ARRIGO Cosimo – Consigliere –

Dott. PORRECA Paolo – Consigliere –

Dott. GIAIME GUIZZI Stefano – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 9123-2016 proposto da:

T.A., A.M., A.E., elettivamente domiciliati

in ROMA, VIA MONTE ZEBIO 30, presso lo studio dell’avvocato

GIAMMARIA CAMICI, rappresentati e difesi dall’avvocato NUNZIO

GENTILESCHI giusta procura a margine del ricorso;

– ricorrenti –

contro

ZURICH INSURANCE COMPANY SA, in persona del suo procuratore speciale

dott. C.F., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA MONTE

ZEBIO 28, presso lo studio dell’avvocato GIUSEPPE CILIBERTI, che la

rappresenta e difende giusta procura in calce al controricorso;

– controricorrente –

e contro

F.A.;

– intimato –

avverso la sentenza n. 1723/2015 della CORTE D’APPELLO di FIRENZE,

depositata il 13/10/2015;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

13/06/2018 dal Consigliere Dott. STEFANO GIAIME GUIZZI.

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. A.E. e M., nonchè T.A., ricorrono, sulla base di sette motivi, per la cassazione della sentenza n. 1723/15 del 13 ottobre 2015, della Corte di Appello di Firenze, che – accogliendo il gravame proposto dalla società Zurich Insurance Company S.A., già Zurigo Assicurazioni S.p.a. (d’ora in poi, “Zurich”), contro la sentenza n. 1275/07 del 27 novembre 2007 del Tribunale di Prato, nonchè dichiarando inammissibile quello esperito dagli odierni ricorrenti – ha rideterminato nel 50% la misura del contributo di A.E. nella causazione del sinistro stradale in cui fu coinvolta. Su tali basi, pertanto, la Corte territoriale ha ridotto, in eguale misura l’entità del risarcimento dovuto dalla società Zurich e da F.A., sia in relazione ai danni non patrimoniali già liquidati dal primo giudice in favore di A.E. (e rigettando, invece, integralmente la domanda ex art. 2059 c.c. proposta dai genitori della stessa, A.M. e T.A.), sia dei danni patrimoniali – salvo la somma di Euro 2.000,00, relativa a spese non documentate, ritenute dal secondo giudice, come tali, non rimborsabili, e quindi escluse dal risarcimento – riconosciuti in favore dei predetti A.M. ed T.A., sempre nella loro qualità di genitori di A.E..

2. Riferiscono, in punto di fatto, i ricorrenti che la predetta A.E., il giorno (OMISSIS), in (OMISSIS), era coinvolta – alla guida di un ciclomotore di proprietà del padre M. – in un incidente stradale con un autocarro guidato da F.A., di proprietà della società Centro Autoradio (della quale il F. era legale rappresentante), assicurato con la società (oggi) Zurich.

In conseguenza del sinistro l’ A. – rimasta in coma per cinque giorni – subiva gravi lesioni, consistite in: trauma cranico commotivo con edema cerebrale diffuso e focolai contusivi in sede mesencefalica e talamica con emiparesi destra, frattura bilaterale del bacino con distasi della sinfisi pubica, ferite lacero contuse a carico del viso (emilabbro superiore sinistro e regione orbito-zigomatico sinistra) ed infine frattura della corona del dente 21.

Nel complesso, l’interessata stimava i postumi di invalidità permanente – incidenti a suo dire anche sulla capacità lavorativa specifica – nella misura del 36-38%.

2.1. Su tali basi, pertanto, ella – e i genitori, che lamentavano oltre al danno non patrimoniale conseguente al sinistro che aveva coinvolto la figlia, pure quello patrimoniale, consistito nella distruzione del ciclomotore e nelle spese mediche sostenute per la cura della ragazza – citavano in giudizio il F. e la Zurich per sentirli condannare al risarcimento dei danni.

Istruita la causa anche mediante lo svolgimento di CTU medico-legale (preceduta da una serrata interlocuzione tra i consulenti, soprattutto in relazione al danno oculistico subito dalla ragazza, essendosi accertata la presenza diplopoia nello sguardo in alto e nel quadrante inferiore sinistro, nonchè l’assenza di convergenza in OD), l’adito Tribunale – riconosciuta nella misura del 25% la corresponsabilità di A.E. nella causazione del sinistro e nel 22%, a fronte del 18% indicato dall’ausiliario del giudice, il postumo di invalidità permanente, provvedeva nei termini di seguito meglio indicati.

In particolare, in applicazione della tabella del 2007 adottata dal Tribunale di Firenze (e recepita da quello di Prato), che individuava un punto base di Euro 2,964,96, moltiplicato per il coefficiente di 0,925 corrispondente all’età di sedici anni della danneggiata – per il numero dei punti, liquidava ad A.E. Euro 60.336,52 a titolo di risarcimento del danno derivante da lesione permanente dell’integrità psicofisica. Per inabilità temporanea, sulla base di Euro 39,37 per ogni giorno di inabilità temporanea, liquidava Euro 2.775,9 per quella assoluta (pari a 70 giorni), nonchè Euro 1.457,06 per quella al 50% (pari a 60 giorni) e, infine, Euro 275,66 per quella a 25% (pari a 28 giorni).

Nel complesso, dunque, liquidava a titolo di danno biologico – in favore della stessa – Euro 64.549,48, rivalutati alla data della decisione, determinando il danno morale nella misura di un terzo del biologico, per un importo complessivo, quindi, di Euro 86.065,97, con interessi legali dal giorno del sinistro al saldo.

Veniva, invece, respinta la domanda di risarcimento per diminuzione della capacità lavorativa specifica, mentre il danno odontoiatrico – per quanto qui ancora di interesse – veniva riconosciuto in Euro 4.500, oltre rivalutazione e interessi.

Tutte le somme riconosciute ad A.E. venivano decurtate del 25%, tale essendo stata riconosciuta, dal primo giudice, la misura del di lei contributo nella causazione del sinistro.

Quanto, invece, a A.M. ed T.A., il danno non patrimoniale, veniva liquidato, equitativamente, nella somma – già decurtata del 25% – di Euro 6.000,00 per ciascuno di essi, oltre interessi legali al saldo, nonchè quello patrimoniale, per riparazioni del ciclomotore e spese mediche sostenute per la figlia, in Euro 5.559,78 (dei quali, Euro 2.000,00 per spese sostenute in ragione degli spostamenti e della permanenza in città diverse da quella di residenza, al fine di compiere visite mediche), oltre rivalutazione monetaria ed interessi.

Le spese di lite erano poste a carico dei convenuti soccombenti.

2.2. Proponeva gravame principale Zurich, dolendosi della decisione di individuare solo nel 25% la misura della responsabilità dell’ A. nella causazione del sinistro, e lamentando, altresì, l’erroneità della quantificazione del danno in favore della stessa, l’insussistenza del danno morale riconosciuto ai genitori della ragazza, nonchè l’assenza di prova quanto alla quota di danno patrimoniale da costoro lamentata e stimata in Euro 2.000,00.

Per parte propria, gli odierni ricorrenti esperivano appello incidentale, censurando la sentenza impugnata:

– per la quantificazione del danno oculistico (operata dal collaboratore del CTU nella misura appena del 9%, e non del 25% indicata dal consulente di parte attrice);

– per il disconoscimento del danno alla capacità lavorativa della vittima primaria dell’illecito;

– per l’inadeguata quantificazione del danno biologico da inabilità temporanea, stante la liquidazione di Euro 39,37 al giorno per quella totale, ritenendosi che l’importo non potesse essere inferiore ad Euro 100,00;

– per l’insufficiente liquidazione del danno morale (un terzo di quello biologico), proponendosi una liquidazione pari alla metà.

La Corte fiorentina accoglieva parzialmente il ricorso principale e, quindi, elevata al 50% la misura della corresponsabilità di A.E. nella causazione del sinistro, riduceva in misura corrispondente il risarcimento del danno non patrimoniale alla stessa dovuto, escludendo, invece, la risarcibilità del danno non patrimoniale lamentato dai genitori, ed espungendo – dal computo dei danni patrimoniali ad essi spettanti, anch’essi ridotti in ragione della riconosciuta maggiore corresponsabilità della vittima primaria nella causazione del sinistro oggetto di giudizio – la somma di Euro 2.000,00, per spese che avrebbero dovuto essere documentate.

L’appello incidentale veniva, invece, dichiarato inammissibile.

3. Avverso tale sentenza hanno proposto ricorso per cassazione A.E. e M., nonchè T.A., sulla base di sette motivi.

3.1. Con il primo motivo si deduce – ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3) e 4) – “violazione e/o falsa applicazione dell’art. 342 c.p.c. (nel dettato anteriore alla riforma del 2012)”.

Evidenziano, preliminarmente, i ricorrenti come la declaratoria di inammissibilità del gravame incidentale – che assumono essere erronea – “sembrerebbe riferirsi a tutti i motivi di appello”, salvo, però, la Corte fiorentina “esaminare e decidere nel merito parte di essi”.

In ogni caso, tale declaratoria sarebbe errata, giacchè – ai sensi dell’art. 342 c.p.c., nel testo anteriore alle modifiche apportate dal D.L. 22 giugno 2012, n. 83, art. 54, comma 1, lett. Oa), convertito con modificazioni nella L. 7 agosto 2012, n. 134 l’appello non richiederebbe “una rigorosa e formalistica enunciazione delle ragioni invocate a sostegno dell’impugnazione, in rigida e scolastica contrapposizione alle considerazioni contenute nella sentenza impugnata”, essendo sufficiente che lo stesso “consenta al giudice di percepire con certezza il contenuto delle censure”, in modo da permettere ad esso di esaminarle e alla controparte di svolgere, senza alcun concreto pregiudizio, la propria attività difensiva.

Ciò è quanto si sarebbe verificato nel caso di specie.

D’altra parte, i ricorrenti censurano la sentenza impugnata laddove ha ritenuto inammissibile la loro richiesta – formulata in comparsa conclusionale di appello – di riliquidazione del risarcimento spettante a A.E. sulla base delle sopravvenute (rispetto alla pronuncia della sentenza di primo grado) tabelle milanesi. Decisione, questa, motivata dalla Corte fiorentina sul rilievo che il gravame incidentale da essi esperito “non ha investito il valore monetario attribuito dal giudice di prime cure a ciascun punto di invalidità permanente secondo le tabelle adottate dal Tribunale adito” – ovvero, quello di Prato – “rispetto a quelle di Milano”.

Così decidendo, però, il giudice di appello avrebbe trascurato la circostanza che gli allora appellanti incidentali – nel richiedere in sede di instaurazione del giudizio di appello “l’aumento della quantificazione del danno da invalidità permanente” subito da A.E., nonchè “l’attribuzione per il danno morale di una frazione di un mezzo anzichè di un terzo di quello biologico” – non avevano “motivo di contestare l’utilizzazione del valore del punto adottato perchè contrastante con quello indicato nelle tabelle milanesi”, e ciò per la semplice ragione che le tabelle di Firenze, applicate dal Tribunale di Prato, erano, a quell’epoca, le stesse adottate dal Tribunale di Milano (come gli odierni ricorrenti documentano, nella presente sede di legittimità, attraverso la produzione delle prime).

Per contro, la Corte fiorentina – come evidenziato dagli allora appellanti nella propria comparsa conclusionale (riprodotta alla nota 8 del presente ricorso) – avrebbe dovuto prendere atto della sopravvenienza, tra il momento della proposizione del gravame incidentale e quello della decisione su di esso, delle nuove tabelle. Conseguentemente, la sentenza impugnata avrebbe dovuto considerare che, per il danno da inabilità temporanea totale, le nuove tabelle prevedevano una forbice compresa tra Euro 96,00 ed Euro 145,00, così come del fatto che per il danno morale esse escludono – sulla scorta di quanto affermato da Cass. Sez. Un., sent. 11 novembre 2008, n. 26972 – una liquidazione separata rispetto al danno biologico (e come “frazione” dello stesso), in ragione dell’unitarietà della nozione di danno non patrimoniale.

3.2. Con il secondo motivo i ricorrenti deducono – ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3), – “violazione e/o falsa applicazione degli artt. 1226,2056 e 2059 c.c.”, oltre che dell’art. 185 c.p. e art. 3 Cost., nonchè degli artt. 115 e 116 c.p.c., e ciò in ragione della “violazione dei criteri che presiedono alla valutazione equitativa del danno da farsi in applicazione delle tabelle di Milano esistenti al momento della decisione”.

Il motivo si collega strettamente al precedente, ribadendo come la liquidazione del danno biologico permanente subito da A.E. non potesse che compiersi – per rispondere realmente al concetto di equità, delineato dalla giurisprudenza di questa Corte, nel suo “significato di “adeguatezza” e di “proporzione””, e dunque per poter assolvere alla fondamentale funzione di “garantire l’intima coerenza dell’ordinamento, assicurando che casi uguali non siano trattati in modo diseguale” (è citata, in particolare, Cass. Sez. 3, sent. 4 febbraio 2016, n. 2167) – sulla base delle nuove tabelle milanesi.

Opererebbe, infatti, nella specie, il principio secondo cui, “allorquando le Tabelle applicate per la liquidazione del danno non patrimoniale cambino nelle more tra l’introduzione del giudizio e la sua decisione, il giudice (anche d’appello) ha l’obbligo di utilizzare i parametri vigenti al momento della pronunzia” (è citata, nuovamente, Cass. Sez. 3, n. 2167 del 2016).

Nella specie, pertanto, la Corte fiorentina – come già detto avrebbe dovuto considerare che, per il danno da inabilità temporanea totale, le nuove tabelle prevedevano una forbice compresa tra Euro 96,00 ed Euro 145,00. Di conseguenza, mentre in relazione al danno non patrimoniale da invalidità permanente la sentenza impugnata avrebbe dovuto liquidare (assunto un valore di punto pari a Euro 4.011,89) l’importo di Euro 66.798,00, per quello da inabilità temporanea osservano i ricorrenti, richiamando i conteggi effettuati nella comparsa conclusionale di appello – avrebbe dovuto liquidare “Euro 15.202,00 (Euro 10.150 per i.t. + Euro 4.350 per i.t. del 50% + Euro 1.015 per i.t. del 75%)”.

3.3. Con il terzo motivo si ipotizza – ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5), – “omessa motivazione circa un fatto decisivo discusso nel giudizio, quale quello della mancata adozione delle tabelle milanesi esistenti al momento della decisione”.

La medesima censura di cui ai motivi che precedono è proposta, dunque, “sub specie” di omessa motivazione da parte della Corte di Appello.

3.4. Analogamente, anche il quarto motivo – formulato ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4), – è una riproposizione dei precedenti sotto un diverso angolo visuale, assumendosi, questa volta, la nullità del capo di sentenza relativo al danno non patrimoniale subito da A.E. “per violazione dell’art. 112 c.p.c.”, ovvero “per omessa pronuncia sul motivo di appello incidentale”, dalla stessa esperito, “nel quale si chiedeva che la liquidazione del danno non patrimoniale venisse fatta anche per la sua componente di danno morale in misura maggiore e comunque sulla base delle tabelle milanesi esistenti al momento della decisione”.

Difatti, la Corte fiorentina, nel negare l’applicazione delle nuove tabelle, avrebbe “sostanzialmente non risposto alla domanda di adeguata quantificazione del danno” in questione, domanda da intendersi riferita – precisano gli odierni ricorrenti – al danno non patrimoniale sia da invalidità permanente che temporanea.

3.5. Con il quinto motivo – destinato a scindersi in due censure, giacchè formulato ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3) e 4), – si deduce, per un verso, “violazione e/o falsa applicazione degli artt. 1226,2056 e 2059 c.c.”, in ragione della “mancata personalizzazione del danno con violazione del diritto dell’infortunata all’integrale risarcimento”, nonchè nullità della sentenza, “per violazione dell’art. 112 c.p.c.”, e ciò “in ragione di omessa pronunzia sulla mancata personalizzazione del danno non patrimoniale sotto il profilo della maggiore usura della residua validità dell’infortunata nello svolgimento della sua attività lavorativa”.

Ci si duole, nella sostanza, di una non adeguata valutazione dei postumi del danno “oculistico”, la cui incidenza sulla futura attività lavorativa dell’ A. – oggetto di specifico quesito (il 3) demandato al consulente d’ufficio – non sarebbe stata adeguatamente considerata dall’ausiliario del giudice, nè apprezzata nella sentenza del giudice di prime cure, se non per i suoi soli riflessi sulla salute della danneggiata, essendosi la sentenza del Tribunale di Prato limitata ad aumentare dal 18% al 22% la misura dell’invalidità permanente riscontrata nella vittima primaria dell’illecito.

Siffatta omissione era stata rimarcata – sottolineano i ricorrenti nella comparsa conclusionale di appello, anche attraverso la richiesta di rinnovazione della CTU, essendo tale critica mirata “al riconoscimento di un danno patrimoniale subito dall’infortuna per il carattere maggiormente usurante della prestazione lavorativa”.

Orbene, detta circostanza, “se non produttiva di un danno patrimoniale”, doveva almeno essere “presa in considerazione sotto il profilo di un incremento del risarcimento del danno non patrimoniale, in ragione della sua necessaria personalizzazione”, considerando che le tabelle milanesi “consentono di aumentare fino al 50% l’entità del risarcimento in presenza di lesioni” (quali sarebbero, appunto, quelle patite dall’ A.) “non risarciti adeguatamente con l’applicazione dei rigidi standard” tabellari.

3.6. Con il sesto motivo – formulato ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3), – è dedotta “violazione e/o falsa applicazione degli artt. 1223,1226,2056,2059 e 2727 c.c.”, oltre che dell’art. 185 c.p., “per non avere la Corte d’Appello (quanto meno) confermato la condanna di Zurich e del suo assicurato al risarcimento del danno non patrimoniale (nel suo aspetto di danno morale) subito dai genitori di A.E. a causa delle gravi lesioni subite dalla figlia”.

Sul presupposto che i postumi residuati alla ragazza dall’incidente non fossero tali da richiedere la prestazione di assistenza (morale e/o materiale), nè da incidere, compromettendolo, sullo svolgimento della relazione parentale, la Corte territoriale ha rigettato la domanda di risarcimento del danno patrimoniale avanzata da A.M. ed T.A..

Nondimeno, la strettissima parentela tra costoro e la vittima primaria dell’illecito, nonchè il rapporto di convivenza tra gli uni e l’altra, sarebbe tale – secondo i ricorrenti – da far presumere un forte legame tra tali soggetti, e con esso l’esistenza del danno non patrimoniale quantomeno “sub specie” di danno morale, ovvero come sofferenza interiore o patema d’animo, gravando, semmai, sui convenuti dimostrare la circostanza relativa all’assenza di qualsiasi vincolo affettivo idonea ad escludere l’esistenza di un pregiudizio risarcibile (è citata Cass. Sez. 3, sent. 3 aprile 2008, n. 8546).

3.7. Infine, con il settimo motivo – formulato ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3),- è dedotta “violazione e/o falsa applicazione degli artt. 1226 e 2056 c.c.”, oltre che dell’art. 115 c.p.c., “per non avere la Corte di merito riconosciuto il diritto al rimborso di Euro 2.000,00 per spese di difficile documentazione sopportate dai genitori di E. per condurre la figlia a Siena, Bologna, Ferrara e Firenze, al fine di consentire gli accertamenti specialistici e le cure volte a ridurre le conseguenze del grave trauma subito”.

Dal momento, infatti, che anche il giudice di appello avrebbe riconosciuto tali spese, lo stesso avrebbe potuto fare ricorso al criterio equitativo, ex art. 1226 c.c., in una situazione, come quella decritta, quantomeno di grande difficoltà a documentare spese come gli spostamenti in auto, i costi sopportati in punti di ristoro o per la permanenza nelle varie città.

4. Ha resistito all’impugnazione solo la società Zurich (essendo rimasto solo intimato il F.), chiedendo che la stessa sia dichiarata inammissibile o infondata.

Si rileva, per un verso, come la Corte fiorentina abbia deciso la causa sottoposta al suo esame in conformità con i principi enunciati questa Corte in tema di risarcimento del danno non patrimoniale, donde l’inammissibilità del ricorso ex art. 360-bis c.p.c., comma 1, n. 1).

Inoltre, i singoli motivi sarebbero inammissibili anche sotto un diverso profilo, in quanto tenderebbero a sollecitare una valutazione di merito della controversia.

Quanto, poi, specificamente alle censure sollevate con riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5), si evidenzia come detta norma, nella sua attuale formulazione, consente il sindacato solo dell’omesso esame di un “fatto” decisivo per il giudizio, che sia stato oggetto di discussione tra le parti, onerando il ricorrente di allegare a norma dell’art. 366, comma 1, n. 6), e art. 369, comma 2, n. 4), – il “come” e il “quando” di tale discussione.

5. Hanno presentato memoria entrambe le parti, insistendo nelle proprie argomentazioni e replicando a quelle avversarie.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

6. Il ricorso va accolto, sebbene nei limiti di seguito meglio precisati.

7. Prima, tuttavia, di procedere allo scrutinio dei singoli motivi di ricorso appare necessaria una constatazione preliminare, ovvero che, mentre i primi cinque motivi si ricollegano alla decisione della Corte fiorentina di dichiarare inammissibile il gravame incidentale proposto dall’ A. e dai sui genitori, gli ultimi due conseguono all’accoglimento del gravame principale di Zurich e, dunque, alla modifica della sentenza del primo giudice in senso peggiorativo per i soli A.M. e T.A., i quali si sono visti respingere “in toto” la domanda di risarcimento del danno non patrimoniale conseguente al sinistro occorso alla figlia, nonchè ridurre la “posta” del danno patrimoniale avente il medesimo titolo.

Si tratta di una precisazione necessaria, perchè (come si vedrà appena di seguito), qualora dovesse ritenersi corretta la “ratio decidendi” – o meglio, taluna delle “rationes decidendi”, come si vedrà – posta dal giudice di seconde cure a fondamento della declaratoria di inammissibilità, per genericità, del suddetto appello incidentale, resterebbe, comunque, ferma per questa Corte la necessità di vagliare gli ultimi due motivi dell’odierno ricorso.

7.1. Tanto premesso, va poi rilevato che i primi cinque motivi della presente impugnazione possono esaminarsi congiuntamente, giacchè attraverso il primo – che censura la decisione della Corte toscana di ritenere il gravame incidentale proposto dagli odierni ricorrenti non conforme al modello di cui all’art. 342 c.p.c. (nel testo anteriore alle modifiche apportate dal legislatore del 2012, applicabile “ratione temporis” alla presente fattispecie) – i ricorrenti mirano, in realtà, esclusivamente a rendere possibile una rinnovata liquidazione del danno non patrimoniale subito da A.E. (nonchè il riconoscimento del danno patrimoniale “futuro” già escluso dal primo giudice; cfr., in particolare, il quinto motivo), sulla base dell’aggiornamento delle tabelle milanesi sopravvenuto rispetto al momento della decisione del Tribunale di Prato, aspetto su cui insistono, invece, i successivi quattro motivi.

7.1.1. Orbene, ciò chiarito, i primi cinque motivi di ricorso sono tutti inammissibili.

7.1.2. Al riguardo, occorre muovere dalla constatazione che il giudice di appello – diversamente da quanto assumono i ricorrenti, secondo cui esso avrebbe dichiarato inammissibile il loro gravame incidentale, sul presupposto della genericità dei suoi motivi, salvo poi “esaminare e decidere nel merito parte di essi” – ha, in realtà, solo supportato quella declaratoria di inammissibilità (per violazione dell’art. 342 c.p.c.) attraverso una pluralità di “rationes decidendi”.

Da ciò, dunque, deriva la necessità per i ricorrenti di confrontarsi con ognuna di esse, non potendo operare il principio – ripetutamente affermato da questa Corte – secondo cui, ove il giudice di appello, “dopo una statuizione di inammissibilità con la quale si è spogliato della “potestas iudicandi” in relazione al merito della controversia, abbia impropriamente inserito nella sentenza argomentazioni sul merito, la parte soccombente non ha l’onere nè l’interesse ad impugnare” le stesse, sicchè “è ammissibile l’impugnazione che si rivolga alla sola statuizione pregiudiziale ed è viceversa inammissibile, per difetto di interesse, l’impugnazione nella parte in cui pretenda un sindacato anche in ordine alla motivazione sul merito, svolta “ad abundantiam” nella sentenza gravata” (Cass. Sez. Un., sent. 20 febbraio 2007, n. 3840, Rv. 595555-01; in senso conforme, da ultimo, Cass. Sez. 2, sent. 2 maggio 2011, n. 9647, Rv. 616900; Cass. Sez. Un., sent. 17 giugno 2013, n. 15122, Rv. 626812-01; Cass. Sez. 3, sent. 20 agosto 2015, n. 17004, Rv. 636624-01; Cass. Sez. 6-5, ord. 9 dicembre 2017, n. 30393, Rv. 646988-01).

Nella specie, si ribadisce, la Corte fiorentina ha argomentato, dapprima su un piano generale, l’inammissibilità per genericità del gravame (incidentale) esperito innanzi ad essa, per poi corroborare tale pronuncia con valutazioni che riconoscevano il difetto di specificità dei singoli motivi di censura che attenevano alla liquidazione del danno subito – soltanto – da A.E..

Infatti, la Corte fiorentina – nello scrutinare l’appello incidentale degli A.- T. – esordisce con il rilievo che lo stesso “non ha investito (…) il valore monetario attribuito dal giudice di prime cure a ciascun punto di invalidità permanente secondo le “tabelle” adottate dal Tribunale adito” (quello di Prato), con la conseguenza che, “non avendo costituito oggetto di doglianza la “difformità” dei parametri utilizzati per la liquidazione del danno non patrimoniale rispetto alle “tabelle” elaborate dal Tribunale di Milano, è da ritenersi inammissibile la domanda di (ri)liquidazione, operata nella comparsa conclusionale” dagli allora appellanti incidentali “secondo in criteri aggiornati espressi dall’Osservatorio per la Giustizia civile del Tribunale di Milano”.

Avverso tale “ratio decidendi” si indirizza, in particolare, quella parte del primo motivo dell’odierno ricorso che (anche attraverso la loro produzione) mira a dimostrare come le tabelle in uso presso il Tribunale di Prato fossero quelle del Tribunale di Firenze, che aveva adottato quelle milanesi.

Tuttavia, a tale “ratio decidendi” il Giudice di appello ne ha affiancato anche altre, in relazione a ciascuno dei motivi di gravame incidentale degli A.- T. (che, come gli stessi rammentano nell’odierno ricorso, avevano investito: la quantificazione del danno oculistico, operata dal collaboratore del CTU nella misura appena del 9%, e non del 25% indicata dal consulente di parte attrice; il disconoscimento del danno alla capacità lavorativa della vittima primaria dell’illecito; l’inadeguata quantificazione del danno biologico da inabilità temporanea, stante la liquidazione di Euro 39,37 al giorno per quella totale, ritenendosi che l’importo non potesse essere, invece, inferiore ad Euro 100,00; l’insufficiente liquidazione del danno morale, nella misura di un terzo di quello biologico, proponendosi una liquidazione pari alla metà).

Infatti, la Corte fiorentina ha assunto la genericità del primo motivo concernente la quantificazione del cd. “danno oculistico”, sul rilievo che “l’appellante incidentale si è limitata a lamentare l’erroneità della CTU, “contrapponendovi” le osservazioni già formulate dal proprio consulente di parte, senza però contrastare le argomentazioni del Tribunale”, peraltro “fondate anche sulle conclusioni dell’ausiliario (fatte proprie “in parte qua”), sì come riformulate dopo aver tenuto conto dei medesimi rilievi del consulente di parte e avervi replicato”.

Del pari “generico” è stato ritenuto “anche il secondo motivo” di appello incidentale (quello sul danno patrimoniale “futuro”), e ciò “sempre per la carente prospettazione di controargomentazioni calibrate al percorso motivazionale seguito nella decisione gravata”.

Infine, “generici” sono stati stimati pure gli ultimi due motivi, per la natura “apodittica” della loro formulazione, riproducendosi, sul punto, stralci dello stesso appello incidentale: “Il danno biologico da inabilità temporanea è stato calcolato dal Tribunale in modo inadeguato (Euro 39,37 per l’inabilità totale). L’importo equo non può essere inferiore a Euro 100,00 al dì”; “Il danno morale (un terzo del biologico) è stato liquidato in maniera insufficiente. Proponiamo una liquidazione pari ad un mezzo del danno alla salute”.

7.1.3. Da quanto illustrato deriva che, prima di interrogarsi sulla necessità che, nel caso di specie, trovassero applicazione le nuove tabelle milanesi sopravvenute in corso di causa (o meglio, sulla correttezza dell’argomento con cui la Corte fiorentina ha, invece, escluso la loro operatività), occorre valutare – in ossequio al principio della “ragione più liquida” – la congruità delle ulteriori “rationes” con le quali il giudice di appello ha affermato il difetto di specificità dei singoli motivi di gravame incidentale, giacchè esse, se confermate, sarebbero sufficienti a giustificare la conferma delle statuizioni, contenute nella sentenza impugnata, circa la quantificazione del danno subito da A.E. (un argomento, in tal senso, si trae da Cass. Sez. 3, ord. 21 giugno 2017, n. 15350, Rv. 644814).

Resta, poi, inteso che, essendo quello denunciato dagli odierni ricorrenti – “sub specie” di erronea applicazione dell’art. 342 c.p.c. (nella sua formulazione anteriore alle modifiche apportate dal D.L. n. 83 del 2012, art. 54, comma 1, lett. Oa, convertito con modificazioni in L. n. 134 del 2012, applicabile “ratione temporis” alla presente fattispecie, a norma dell’art. 54, comma 2, del medesimo d.l., risalendo la richiesta di notificazione dell’appello ad epoca anteriore all’11 settembre 2012) – un “error in procedendo”, la genericità dei motivi di gravame incidentale può essere vagliata, da questa Corte, attraverso un diretto esame dell’atto di appello, essendo in tal caso la Corte “giudice del fatto processuale” (cfr. Cass. Sez. Un., sent. 22 maggio 2012, n. 8077, Rv. 622361-01, nonchè, da ultimo, Cass. Sez. 6- 5, ord. 12 marzo 2018, n. 5971, Rv. 647366-01 e, con specifico riferimento alla dedotta violazione dell’art. 342 c.p.c., Cass. Sez. 6-3, sent. 28 novembre 2014, n. 25308, Rv. 633637-01).

7.1.4. Tuttavia, proprio l’esame diretto degli atti di causa conferma quanto risulta dalla sentenza impugnata, e dunque la correttezza della declaratoria di inammissibilità, per genericità dei motivi, dell’appello incidentale.

La verifica, infatti, del rispetto dell’art. 342 c.p.c. (nel testo anteriore alla già ricordata “novella” del 2012) va compiuta con riferimento a quanto affermato dalle Sezioni Unite di questa Corte, secondo cui, “nel giudizio di appello la cognizione del giudice resta circoscritta alle questioni dedotte dall’appellante attraverso specifici motivi, con la conseguenza che tale specificità esige che alle argomentazioni svolte nella sentenza impugnata vengano contrapposte quelle dell’appellante, volte ad incrinare il fondamento logico-giuridico delle prime, non essendo le statuizioni di una sentenza separabili dalle argomentazioni che la sorreggono; pertanto nell’atto di appello, ossia nell’atto che, fissando i limiti della controversia in sede di gravame consuma il diritto potestativo di impugnazione, deve sempre accompagnarsi, a pena di inammissibilità del gravame rilevabile d’ufficio, una parte argomentativa che contrasti le ragioni addotte dal primo giudice” (così, in motivazione, Cass. Sez. Un., sent. 9 settembre 2011, n. 23299, Rv. 620062-01; in senso conforme Cass. Sez. 6-1, ord. 22 settembre 2011, n. 18074, Rv. 636869-01; Cass. Sez. 6-3, ord. 15 giugno 2016, n. 12280; Rv. 640307-01).

Orbene, l’esistenza di tale “parte argomentativa” risulta “prima facie” carente quanto ai motivi di appello incidentale – il terzo e il quarto – relativi alla liquidazione del danno biologico da inabilità temporanea e del danno “morale” (ovvero, tra l’altro, proprio quelli in relazione si “innesta” la pretesa degli allora appellanti incidentali, oggi ricorrenti, di una “attualizzazione” alla luce delle sopravvenute tabelle milanesi, pretesa sulla quale insistono anche i motivi secondo, terzo e quarto dell’odierno ricorso, oltre che il primo), risultando la loro formulazione puramente apodittica: “Il danno biologico da inabilità temporanea è stato calcolato dal Tribunale in modo inadeguato (Euro 39,37 per l’inabilità totale). L’importo equo non può essere inferiore a Euro 100,00 al dì”; “Il danno morale (un terzo del biologico) è stato liquidato in maniera insufficiente. Proponiamo una liquidazione pari ad un mezzo del danno alla salute”

La stessa conclusione si impone, d’altra parte, anche per il motivo di appello incidentale – il primo – concernente la liquidazione del danno cd. “oculistico”, alla stregua del principio, richiamato dalla stessa sentenza oggi impugnata, secondo cui, in sede di appello, “rimangono estranee al dibattito processuale le considerazioni critiche, mosse dalla parte al consulente tecnico d’ufficio sulla base delle osservazioni del proprio consulente, che non siano state trasfuse in specifici motivi di impugnazione della sentenza, formulati nel rispetto delle prescrizioni stabilite dall’art. 342 c.p.c., dovendosi le argomentazioni critiche dell’appellante contrapporre non alla relazione di perizia espletata in primo grado, ma al fondamento logico-giuridico su cui è fondata la decisione impugnata” (Cass. sez. 3, sent. 12 febbraio 2013, n. 3302, Rv. 625011-01).

7.1.5. Resta il motivo – il secondo del gravame incidentale (ed il quinto del presente ricorso) – sul danno patrimoniale “futuro”, in ordine al quale, a prescindere dalla specificità della doglianza fatta valere, al riguardo, con l’atto di appello, dirimente risulta la constatazione che tale pregiudizio, per la sua natura (patrimoniale, appunto), è, per definizione, insensibile al fenomeno costituito dall’aggiornamento delle tabelle.

Nè siffatta conclusione può essere revocata in dubbio constatando che gli odierni ricorrenti si dolgono del mancato rilievo attribuito, nella personalizzazione del danno non patrimoniale subito da A.E., alla “maggiore usura della residua validità dell’infortunata nello svolgimento della sua attività lavorativa”.

Dal momento, infatti, che non vi è – in questa sede – una doglianza specifica in ordine al mancato riconoscimento del danno da perdita/riduzione della capacità lavorativa (esito conseguito alla declaratoria di inammissibilità del motivo di gravame ad esso relativo), dare ingresso alla presente censura equivarrebbe a legittimare un vero e proprio escamotage per “rimettere in gioco” tale voce di danno.

Il tutto, peraltro, non senza tacere che il presente motivo non risulta conforme alla previsione di cui all’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 3), visto che i ricorrenti – per dolersi di una mancata (o inadeguata) personalizzazione del danno alla salute – avrebbero dovuto evidenziare quali fossero le “specifiche circostanze di fatto, peculiari al caso sottoposto ad esame, che valgano a superare le conseguenze “ordinarie” già previste e compensate dalla liquidazione forfettizzata assicurata dalle previsioni tabellari” (così Cass. Sez. 3, sent. 21 settembre 2017, n. 21939, Rv. 645503-01), e ciò in quanto “le conseguenze dannose da ritenersi normali e indefettibili secondo l'”id quod plerumque accidit” (ovvero quelle che qualunque persona con la medesima invalidità non potrebbe non subire) non giustificano alcuna personalizzazione in aumento del risarcimento” (così, in motivazione, Cass. Sez. 3, ord. 27 marzo 2018, n. 7513, Rv. 64830301).

7.1.6. Tutto ciò premesso, e dunque confermata l’inammissibilità per genericità – per le ragioni illustrate – dell’appello incidentale proposto “temporibus illis” dagli odierni ricorrenti, dal momento che “deve ritenersi passato in giudicato il capo della sentenza di primo grado in merito al quale l’atto d’appello si limiti a manifestare generiche perplessità, senza svolgere alcuna argomentazione idonea a confutarne il fondamento” (così, nuovamente, Cass. Sez. Un., sent. n. 23299 del 2011, cit., e le altre conformi, del pari citate), diventa inutile soffermarsi sul tema dell’applicabilità delle nuove tabelle.

7.2. Il sesto e settimo motivo di ricorso – che, come detto, tendono a mettere in discussione gli assetti della sentenza di appello derivanti dall’accoglimento del gravame principale esperito da Zurich – sono, invece, fondati.

7.2.1. In relazione, in particolare, al sesto motivo, non corrisponde ai principi enunciati da questa Corte l’affermazione del giudice di appello che ha escluso il risarcimento del danno non patrimoniale patito dai genitori della vittima primaria dell’illecito, e ciò sul rilievo che postumi di invalidità permanente residuati alla stessa per la loro entità e tipologia – non fossero “tali da richiedere la prestazione di assistenza (morale e/o materiale), nè da incidere, compromettendolo, sullo svolgimento della relazione parentale”.

Così pronunciandosi, infatti, la Corte fiorentina non ha tenuto conto della complessa morfologia di tipo di danno, ignorandone come lamentano gli odierni ricorrenti – la componente innanzitutto “morale”.

Al riguardo, deve ribadirsi quanto di recente affermato da questa Corte, ovvero che in “tema di risarcimento del danno non patrimoniale conseguente alla lesione di interessi costituzionalmente protetti” (e tale è certamente quello in esame, alla stregua di quanto previsto dagli artt. 29 e 30 Cost., nonchè – mercè la norma costituzionale interposta costituita dall’art. 8 CEDU – dallo stesso art. 117 Cost., comma 1), “il giudice di merito, dopo aver identificato la situazione soggettiva protetta a livello costituzionale, deve rigorosamente valutare, sul piano della prova, tanto l’aspetto interiore del danno (c.d. danno morale), quanto il suo impatto modificativo “in pejus” con la vita quotidiana (il danno c.d. esistenziale, o danno alla vita di relazione, da intendersi quale danno dinamico-relazionale), atteso che oggetto dell’accertamento e della quantificazione del danno risarcibile – alla luce dell’insegnamento della Corte costituzionale (sent. n. 235 del 2014) e del recente intervento del legislatore (artt. 138 e 139 C.d.A., come modificati dalla legge annuale per il Mercato e la Concorrenza del 4 agosto 2017 n. 124) – è la sofferenza umana conseguente alla lesione di un diritto costituzionalmente protetto, la quale, nella sua realtà naturalistica, si può connotare in concreto di entrambi tali aspetti essenziali, costituenti danni diversi e, perciò, autonomamente risarcibili, ma solo se provati caso per caso con tutti i mezzi di prova normativamente previsti” (Cass. Sez. 3, sent. 17 gennaio 2018, n. 901, Rv. 64712502).

Del resto, già in passato questa Corte – come non hanno mancato di riferire i ricorrenti – ha affermato che, “in tema di risarcimento del danno ai prossimi congiunti di persona che abbia subito, a causa di fatto illecito costituente reato, lesioni personali”, spetta a costoro “anche il risarcimento del danno morale concretamente accertato in relazione ad una particolare situazione affettiva della vittima, non essendo ostativo il disposto dell’art. 1223 c.c., in quanto anche tale danno trova causa immediata e diretta nel fatto dannoso”, fermo restando che, trattandosi di “una sofferenza interna del soggetto, esso, da una parte non è accertabile con metodi scientifici e, dall’altra, come per tutti i moti dell’animo, solo quando assume connotazioni eclatanti può essere provato in modo diretto, non escludendosi, però, che, il più delle volte, esso possa essere accertato in base a indizi e presunzioni che, anche da soli, se del caso, possono essere decisivi ai fini della sua configurabilità” (Cass. Sez. 3, sent. 3 aprile 2008, n. 8546, Rv. 602633-01).

La Corte fiorentina, dunque, ha ignorato – come detto – tale componente del danno, incentrando la sua attenzione solo sugli aspetti “dinamico-relazionali” del (più ampio) pregiudizio lamentato dai genitori di A.E. in conseguenza del sinistro occorsole.

7.2.2. Anche il settimo motivo di ricorso è fondato.

La circostanza che le spese per spostamenti e permanenza, in diverse città, ove i ricorrenti si erano recati per ragioni di cura della propria figlia, fossero “documentabili”, senza essere state però specificamente documentate nel loro ammontare, non costituisce ragione per negarne il rimborso, salvo che non si escluda la ricorrenza di quelle trasferte (affermazione della quale nella sentenza non vi è, però, traccia), e ciò alla stregua del principio secondo cui, in presenza di sinistri “che abbiano costretto il leso ed i suoi familiari a numerosi e ripetuti ricoveri, purchè questi ultimi siano documentati, il giudice può liquidare il danno consistito nelle erogazioni per viaggi di cura e spese mediche anche in assenza della prova dei relativi esborsi, ai sensi dell’art. 1226 c.c.” (Cass. Sez. 3, sent. 19 gennaio 2010, n. 712, Rv. 611107-01; nello stesso senso già Cass. Sez. 3, sent. 1 dicembre 1999, n. 13358, Rv. 531712-01).

Si tratta, per vero, di principio enunciato, in passato, con esclusivo riferimento “a lesioni personali di devastante entità”, ma che, a giudizio di questo collegio, deve essere esteso a tutte quelle che abbiano determinato postumi che superino la soglia legislativamente stabilita – della “micropermanenza”, ancorandola, così, ad un dato normativo certo, piuttosto che a quello di una (non meglio precisata) natura “devastante” delle conseguenze lesive del sinistro.

8. In conclusione, la sentenza impugnata va parzialmente cassata, rinviando alla Corte di Appello di Firenze, in diversa composizione, perchè – conformandosi ai principi dianzi enunciati decida in merito alla domanda di risarcimento dei danni non patrimoniale e patrimoniale, lamentati da A.M. e T.A..

9. Avendo ricevuto, con la presente sentenza, completa definizione il rapporto giuridico processuale tra A.E. e la società Zurich Insurance Company S.A, le spese di questo giudizio, in relazione ad esso, seguono la soccombenza, essendo pertanto poste a carico della ricorrente soccombente e liquidate come da dispositivo.

Il persistere, per contro, del rapporto giuridico processuale tra la predetta società e F.A., da un lato, e A.M. e T.A., dall’altro, comporta che le spese di lite, comprese quelle relative al testè celebrato giudizio di legittimità, saranno liquidate dal giudice del rinvio.

PQM

La Corte rigetta il ricorso, quanto ai primi cinque motivi, accogliendolo, invece, in relazione al sesto ed al settimo, cassando parzialmente, per l’effetto, la sentenza impugnata, rinviando alla Corte di Appello di Firenze, in diversa composizione, per la decisione nel merito e per la liquidazione delle spese processuali anche del presente giudizio quanto al rapporto processuale tra A.M. e T.A., da un lato, e la società Zurich Insurance Company S.A., dall’altro, condannando A.E., a rifondere alla predetta società le spese del presente giudizio, che liquida in Euro 5.000,00, più Euro 200,00 per esborsi, oltre spese forfetarie nella misura del 15% ed accessori di legge.

Così deciso in Roma, all’esito di adunanza camerale della Sezione Terza Civile della Corte di Cassazione, il 13 giugno 2018.

Depositato in Cancelleria il 27 marzo 2019

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