Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 8439 del 04/05/2020

Cassazione civile sez. lav., 04/05/2020, (ud. 07/11/2019, dep. 04/05/2020), n.8439

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. D’ANTONIO Enrica – Presidente –

Dott. GHINOY Paola – Consigliere –

Dott. CAVALLARO Luigi – Consigliere –

Dott. BOGHETICH Elena – Consigliere –

Dott. CIRIELLO Antonella – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 6251/2014 proposto da:

I.M., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA CALCUTTA

45, presso lo studio dell’avvocato ALBERTO D’AURIA, rappresentata e

difesa dall’avvocato ARCANGELO D’AVINO;

– ricorrente –

contro

I.N.A.I.L. – ISTITUTO NAZIONALE PER L’ASSICURAZIONE CONTRO GLI

INFORTUNI SUL LAVORO, C.F. (OMISSIS), in persona del legale

rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA

IV NOVEMBRE 144, presso lo studio degli avvocati EMILIA FAVATA,

LUCIANA ROMEO, che lo rappresentano e difendono;

– controricorrente –

e contro

COMUNE NAPOLI;

– intimato –

avverso la sentenza n. 2699/2013 della CORTE D’APPELLO di NAPOLI,

depositata il 14/05/2013 r.g.n. 5985/2008.

Fatto

RILEVATO

che il Tribunale di Napoli, con sentenza del 24 gennaio 2008 ha accolto la domanda proposta da I.M., dipendente del Comune di Napoli, con mansioni di animatrice per l’infanzia e inquadramento nel VI livello, proposta con ricorso depositato il 27 maggio 2004, e ha condannato l’Inail alla costituzione della rendita nella misura del 18% a decorrere dal 25 settembre 2001 in relazione alla accertata natura professionale della patologia sofferta dalla ricorrente (denunciata il (OMISSIS));

la natura professionale della patologia è stata accertata sul rilievo che la ricorrente svolgesse l’attività di animatrice dell’infanzia prevalentemente dedita, nella rappresentazione di spettacoli teatrali della tradizione popolare napoletana, alla imitazione della voce di Pulcinella, con l’utilizzo di uno strumento artigianale, cosiddetta “pivetta”, costituita da due lamelle di metallo da tenere sotto il palato per ottenere la tipica voce della maschera napoletana;

che ha ritenuto il tribunale, appropriandosi delle conclusioni cui è giunto il consulente tecnico), che il protrarsi per circa trent’anni dell’uso di tale strumento ha determinato un vero traumatismo facciale che può portare ad una malocclusione dentaria che ha prodotto gli ulteriori danni subiti dalla ricorrente;

che la Corte di appello con la sentenza n. 2699/2013 del 12.4.2013, in parziale accoglimento dei gravami formulati dall’INAIL, ha ridotto la quantificazione del danno nella misura del 7%;

che a fondamento del decisum, in ordine alla natura professionale della patologia del cavo orale e degli elementi dentari, di cui soffre la ricorrente, la Corte territoriale, appropriandosi a sua volta delle valutazioni della rinnovata CTU, ha ritenuto di rilevare un concorso causale, rispetto alla attività professionale, tra l’utilizzo dello strumento metallico adoperato dalla ricorrente, ripetuto e protratto nel tempo, e in generale le manovre lavorative, comportanti alterazioni scaturenti da sforzo conseguente a finalità lavorative;

che avverso la decisione di secondo grado ha proposto ricorso per cassazione la I., affidato a due motivi;

che l’INAIL ha resistito con controricorso, mentre il Comune di Napoli è rimasto intimato;

che il P.G. non ha formulato richieste scritte.

Diritto

CONSIDERATO

che, con il ricorso per cassazione, in sintesi, si censura:

1) ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, la violazione dell’art. 112 c.p.c. e la nullità della sentenza e del procedimento per omessa pronuncia su specifiche eccezioni e deduzioni, in cui sarebbe incorsa la corte, omettendo alcuna valutazione nè alcun riferimento per un verso alle eccezioni formulate dalla resistente per contestare la quantificazione operata in sede di consulenza tecnica in appello nella misura del 7%, per altro verso omettendo le ragioni giuridiche che hanno portato determinare il danno indennizzabile nella misura del 7% con violazione dell’art. 112 c.p.c.;

2) la violazione dell’art. 112 c.p.c. e art. 132 c.p.c., secondo cpv., n. 4, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, in cui sarebbe incorsa la corte omettendo la motivazione in ordine alla quantificazione del danno nella misura del 7%, statuendo sul punto solo in sede di liquidazione delle spese (pag. 6), neppure richiamando il passo della consulenza tecnica per spiegare le ragioni della riduzione stessa che il primo motivo è inammissibile, per difetto di specificità;

questa corte ha evidenziato in più occasioni (cfr. Cass. n. 14561 del 2012, n. 317 del 2002 e Cass. n. 3547 del 2004; principio e ribadito con Cass. n. 2886/2014) che la parte che impugna una sentenza con ricorso per cassazione per omessa pronuncia su di una domanda (o un eccezione), ha l’onere, per il principio di autosufficienza del ricorso, a pena di inammissibilità per genericità del motivo, di specificare quale sia il “chiesto” al giudice del gravame sul quale questi non si sarebbe pronunciato, non potendosi limitare ad un mero rinvio agli atti del giudizio, atteso che la Corte di cassazione non è tenuta a ricercare al di fuori del contesto del ricorso le ragioni che dovrebbero sostenerlo, ma può accertarne il riscontro in atti processuali al di fuori del ricorso sempre che tali ragioni siano state specificamente formulate nello stesso.

E’ stato pure osservato che, ad integrare gli estremi del vizio di omessa pronuncia, non basta la mancanza di un’espressa statuizione del giudice, ma è necessario che sia stato completamente omesso il provvedimento che si palesa indispensabile alla soluzione del caso concreto: ciò non si verifica quando la decisione adottata comporti la reiezione della pretesa fatta valere dalla parte, anche se manchi in proposito una specifica argomentazione, dovendo ravvisarsi una statuizione implicita di rigetto quando la pretesa avanzata col capo di domanda non espressamente esaminato risulti incompatibile con l’impostazione logico-giuridica della pronuncia (Cass. n. 20311/2011, Cass. n. 3756/2013)). In particolare, si è precisato (Cass. n. 5444/2006), la differenza fra l’omessa pronuncia di cui all’art. 112 c.p.c. e l’omessa motivazione su un punto decisivo della controversia di cui all’art. 360 c.p.c., n. 5, si coglie nel senso che, nella prima, l’omesso esame concerne direttamente una domanda od un’eccezione introdotta in causa (e, quindi, nel caso del motivo d’appello, uno dei fatti costituitivi della “domanda” di appello), là dove, nel caso dell’omessa motivazione, l’attività di esame del giudice che si assume omessa non concerne la domanda o l’eccezione direttamente, bensì una circostanza di fatto che, ove valutata, avrebbe comportato una diversa decisione su uno dei fatti costitutivi della domanda o su un’eccezione e, quindi su uno dei tatti principali della controversia.

Nel caso di specie, a fronte di una motivazione che recepisce la consulenza tecnica svolta in grado di appello, parte ricorrente, si limita a riportare passaggi non esaurienti delle eccezioni e deduzioni, della memoria di costituzione, non riportando neppure la CTU rispetto alle quali le eccezioni risultavano formulate e con la quale, presumibilmente, si confrontavano;

Per tal via la censura sembra esprimere un mero dissenso diagnostico che si traduce in un’inammissibile critica del convincimento del giudice rispetto alle conclusioni del c.t.u., senza addurre alcuna devianza dalle nozioni correnti della scienza medica, la cui fonte va indicata, o omissioni di accertamenti strumentali dai quali, secondo le predette nozioni, non avrebbe potuto prescindersi per la formulazione di una corretta diagnosi (Cass. ord. 03/02/2012, n. 1652);

che il secondo motivo è pure inammissibile;

che il nuovo testo dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, applicabile in causa ratione temporis, invero, ha introdotto nell’ordinamento un vizio specifico che concerne l’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e abbia carattere decisivo (vale a dire che se esaminato avrebbe determinato un esito diverso della controversia). Al compito assegnato alla Corte di Cassazione resta dunque estranea una verifica della sufficienza e della razionalità della motivazione sulle quaestiones facti che implichi un raffronto tra le ragioni del decidere espresse nella sentenza impugnata e le risultanze del materiale probatorio sottoposto al vaglio del giudice di merito.

Nel caso di specie, la ricorrente, con doglianze sostanzialmente sovrapponibili a quelle formulate con il primo motivo, e riportando solo stralci delle proprie deduzioni e osservazioni alla CTU, senza allegare per esteso i suddetti atti, censura impropriamente nella forme del vizio di violazione di legge e del difetto di motivazione un preteso “error in procedendo” rappresentato dalla violazione dell’art. 112 c.p.c., per omessa motivazione sulla nuova percentuale invalidante;

come questa Corte ha più volte affermato “l’omessa pronuncia integra un difetto di attività del giudice di secondo grado, che deve essere fatto valere dal ricorrente non con la denuncia della violazione di una norma di diritto sostanziale ex art. 360 c.p.c., n. 3, o del vizio di motivazione ex art. 360 c.p.c., n. 5, giacchè siffatte censure presuppongono che il giudice del merito abbia preso in esame la questione oggetto di doglianza e l’abbia risolta in modo giuridicamente non corretto ovvero senza giustificare (o non giustificando adeguatamente) la decisione al riguardo resa, ma attraverso la specifica deduzione del relativo error in procedendo e della violazione dell’art. 112 c.p.c.” (Da ultimo: Cass., sez. VI, n. 329 del 2016; conforme a: Cass. n. 27387 del 2005; Cass. n. 1701 del 2006; Cass. n. 3190 del 2006; Cass. n. 12952 del 2006; Cass. n. 24856 del 2006; Cass. n. 25825 del 2009; Cass. n. 26598 del 2009; Cass. n. 7268 del 2012; nonchè, in particolare, sulla contraddittorietà della denuncia in un unico motivo, dei due distinti vizi di omessa pronuncia e di omessa motivazione su un punto decisivo della controversia v. Cass. n. 15882 del 2007).

che alla stregua di quanto esposto il ricorso deve, pertanto, essere dichiarato inammissibile;

che al rigetto segue la condanna della ricorrente, secondo il principio della soccombenza, alla rifusione delle spese del presente giudizio di legittimità;

che, ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, nel testo risultante dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, deve provvedersi, ricorrendone i presupposti, come da dispositivo.

PQM

La Corte dichiara inammissibile il ricorso. Condanna la ricorrente al pagamento, in favore del controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità che liquida in Euro 4.000,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 200,00 ed agli accessori di legge. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis, ove dovuto.

Così deciso in Roma, nella Adunanza camerale, il 7 novembre 2019.

Depositato in Cancelleria il 4 maggio 2020

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