Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 8437 del 25/03/2021

Cassazione civile sez. VI, 25/03/2021, (ud. 13/01/2021, dep. 25/03/2021), n.8437

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE L

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DORONZO Adriana – Presidente –

Dott. LEONE Margherita Maria – Consigliere –

Dott. ESPOSITO Lucia – Consigliere –

Dott. PONTERIO Carla – Consigliere –

Dott. MARCHESE Gabriella – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 15384-2019 proposto da:

INPS – ISTITUTO NAZIONALE DELLA PREVIDENZA SOCIALE, in persona del

Direttore pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA CESARE

BECCARIA 29, presso l’AVVOCATURA CENTRALE DELL’ISTITUTO,

rappresentato e difeso dagli avvocati PATRIZIA CIACCI, MANUELA

MASSA, CLEMENTINA PULLI;

– ricorrente –

contro

T.L., erede di T.O., elettivamente domiciliata

in ROMA, PIAZZA CAVOUR presso la CANCELLERIA della CORTE di

CASSAZIONE, rappresentata e difesa dagli avvocati FABIO BORILE,

ALESSANDRO BORILE;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 58/2019 del TRIBUNALE di PADOVA, depositata il

24/01/2019;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 13/01/2021 dal Consigliere Relatore Dott. GABRIELLA

MARCHESE.

 

Fatto

RILEVATO

che:

il Tribunale di Padova, decidendo ai sensi dell’art. 445 bis c.p.c., comma 6, ha dichiarato la sussistenza del requisito sanitario utile per l’indennità di accompagnamento, a decorrere dal 12 maggio 2017 e fino al decesso, in relazione ad T.O., dante causa di T.L.;

per quanto qui solo rileva, la Corte territoriale ha respinto l’eccezione dell’INPS di improponibilità della domanda, per assenza di idonea istanza amministrativa, in quanto corredata da un certificato medico in cui era espressamente escluso che ricorressero le condizioni per beneficiare della prestazione in oggetto (id est: che si trattasse di persona impossibilitata a deambulare senza l’aiuto permanente di un accompagnatore o persona che necessitasse di assistenza continua non essendo in grado di compiere gli atti quotidiani della vita); ha compensato le spese di lite “attesa l’opinabilità della questione”;

avverso la sentenza ha proposto ricorso per cassazione l’INPS, cui ha resistito, con controricorso, T.L., nella indicata qualità;

la proposta del relatore, ai sensi dell’art. 380 bis c.p.c., è stata comunicata alle parti, unitamente al decreto di fissazione dell’adunanza in camera di consiglio non partecipata.

Diritto

CONSIDERATO

che:

l’INPS – ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3 – deduce violazione e falsa applicazione della L. n. 533 del 1973, art. 7, dell’art. 2697 c.c., del D. 9 novembre 1990 del Ministero del tesoro, artt. 1 e 2, in relazione alla L. n. 18 del 1990; del D.P.R. n. 698 del 1994, art. 1, emanato in attuazione della L. n. 537 del 1993, art. 11; del D.L. n. 78 del 2009, art. 20, convertito in L. n. 102 del 2009 e della circolare INPS n. 131 del 2009, emanata in esecuzione del D.L. n. 78 del 2009 cit., art. 20, comma 3, per avere il Tribunale dichiarato proponibile la domanda giudiziale, pur in presenza di una domanda amministrativa corredata da certificato medico con segno di spunta sull’insussistenza delle condizioni per l’indennità di accompagnamento;

il motivo è infondato;

la presentazione della domanda amministrativa costituisce un presupposto dell’azione nelle controversie previdenziali, ai sensi dell’art. 443 c.p.c.;

nella fattispecie all’esame del Collegio non è in discussione la presentazione della domanda amministrativa ma ciò di cui si controverte è se il certificato medico “negativo” – con segno di spunta sull’inesistenza delle condizioni per il diritto all’indennità di accompagnamento- rilasciato su modulo predisposto dall’INPS, possa condizionare la domanda amministrativa e renderla equiparabile alla mancata presentazione della stessa, con conseguente improponibilità della domanda giudiziaria per difetto del presupposto processuale costituito dall’atto d’impulso del procedimento amministrativo diretto all’accertamento delle condizioni per il sorgere del beneficio richiesto;

questa Corte, con sentenza n. 14412 del 2019 ha già risolto, in favore della proponibilità della domanda, l’incompleta compilazione della domanda amministrativa mancante del segno di spunta sulle condizioni per beneficiare dell’indennità di accompagnamento;

in continuità con tale arresto, nella successiva pronuncia n. 24896 del 2019, la Corte ha, poi, chiarito il profilo che qui maggiormente rileva e cioè che “l’indicazione negativa, da parte del medico curante, della sussistenza delle condizioni legittimanti l’indennità di accompagnamento non preclude l’esercizio dell’azione per il riconoscimento del beneficio preteso”;

a tale orientamento, già seguito da numerose pronunce della sesta sezione, va data ulteriore conferma in questa sede;

il D.L. n. 78 del 2009, convertito con modif. nella L. n. 102 del 2009, vigente all’epoca dei fatti di cui è causa, che ha modificato il sistema precedente di cui al D.P.R. n. 698 del 1994, emanato in attuazione della L. n. 537 del 1993, disciplinante il procedimento per l’accertamento sanitario dell’invalidità, stabilisce all’art. 20, comma 3, che “a decorrere dal 10 gennaio 2010 le domande volte ad ottenere i benefici in materia di invalidità civile, cecità civile, sordità civile, handicap e disabilità, complete della certificazione medica attestante la natura delle infermità invalidanti, sono presentate all’INPS, secondo modalità stabilite dall’ente medesimo. L’Istituto trasmette, in tempo reale e in via telematica, le domande alle Aziende Sanitarie Locali”;

la disposizione, come affermato nei precedenti citati, attribuisce all’INPS solo l’individuazione delle modalità concrete di presentazione delle istanze, non anche l’individuazione del contenuto delle domande e ciò in coerenza con l’esclusiva prerogativa del legislatore in merito alle condizioni di accesso alla tutela assistenziale;

l’art. 111 Cost., comma 1, stabilisce una riserva di legge assoluta, in materia di giusto processo, con tale formula indicandosi l’insieme delle forme processuali necessarie per garantire, a ciascun titolare di diritti soggettivi o di interessi legittimi lesi o inattuali, la facoltà di agire e di difendersi in giudizio;

per effetto di tale previsione va escluso che l’Inps possa introdurre nuove cause di improponibilità della domanda derivanti dal mancato, inesatto, incompleto rispetto della modulistica all’uopo predisposta dall’ente previdenziale;

diversamente opinando, si realizzerebbe una sostanziale limitazione del diritto di azione, costituzionalmente garantito, dell’aspirante al riconoscimento del beneficio assistenziale;

a tali principi si è attenuta la sentenza impugnata che è dunque immune dai denunciato errori di diritto;

la deduzione di violazione dell’art. 96 c.p.c. (contenuta a pag. 2 del ricorso) avendo il Tribunale “condannato l’ente al pagamento delle spese ed al risarcimento danni ravvisando un ipotesi di abuso del processo” (come riportato a pag. 4 del ricorso) costituisce, all’evidenza, mero refuso, avendo la sentenza impugnata disposto la compensazione delle spese, come, peraltro, indicato sempre a pag. 4 del ricorso in cassazione;

le spese seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo, con attribuzione ai difensori che si sono dichiarati antistatari.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso.

Condanna l’INPS al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, liquidate in Euro 2.000,00 per compensi professionali, in Euro 200,00 per esborsi, oltre spese generali nella misura del 15% e accessori di legge, con attribuzione.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, nell’adunanza camerale, il 13 gennaio 2021.

Depositato in Cancelleria il 25 marzo 2021.

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