Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 8427 del 25/03/2021

Cassazione civile sez. VI, 25/03/2021, (ud. 15/12/2020, dep. 25/03/2021), n.8427

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE L

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. LEONE Margherita Maria – Presidente –

Dott. ESPOSITO Lucia – rel. Consigliere –

Dott. PONTERIO Carla – Consigliere –

Dott. MARCHESE Gabriella – Consigliere –

Dott. DE FELICE Alfonsina – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 27680-2019 proposto da:

T.S.U.P., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA

FILIPPO CORRIDONI 4, presso lo studio dell’avvocato CARMELA TROTTA,

che lo rappresenta e difende;

– ricorrente –

contro

PRESIDENZA DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI, in persona del legale

rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA

DEI PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che la

rappresenta e difende ope legis;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 1220/2019 della CORTE D’APPELLO di ROMA,

depositata il 20/02/2019;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 15/12/2020 dal Consigliere Relatore Dott. LUCIA

ESPOSITO.

 

Fatto

RILEVATO

Che:

con sentenza del 20 febbraio 2019, la Corte d’Appello di Roma, per quanto in questa sede interessa, confermava la decisione del giudice di primo grado che aveva dichiarato prescritto il diritto fatto valere nei confronti della Presidenza del Consiglio dei Ministri da T.S.U.P., medico specializzatosi negli anni accademici compresi tra il 1990/91 e il 1995/96, rilevando che il termine prescrizionale decennale scadeva il 27 ottobre 2009 e che il Tessore solo tardivamente, in data 4 febbraio 2017, aveva inoltrato alla Presidenza del Consiglio dei Ministri lettera raccomandata con la richiesta di risarcimento per il danno da inadempimento dello Stato rispetto al recepimento delle direttive comunitarie in materia di adeguata remunerazione dei medici specializzandi;

avverso la sentenza propone ricorso per cassazione Tessore sulla base di due motivi, illustrati mediante memoria;

resiste con controricorso la Presidenza del Consiglio dei Ministri;

la proposta del relatore è stata comunicata alle parti – unitamente al decreto di fissazione dell’udienza – ai sensi dell’art. 380 bis c.p.c..

Diritto

CONSIDERATO

Che:

parte ricorrente deduce violazione dell’art. 360 c.p.c., n. 3, per violazione e falsa applicazione di norme di diritto, rilevando che erroneamente era stata accolta l’eccezione di prescrizione, facendo decorrere il termine dall’entrata in vigore della L. 19 ottobre 1999, n. 370, piuttosto che da quando l’attore aveva avuto effettiva contezza del danno (e cioè dall’atto di adempimento definitivo della Dir. 82/76 a seguito dei D.P.C.M. 7 marzo 2007, 6 luglio 2007, 2 novembre 2007);

il motivo è manifestamente infondato;

la decisione impugnata, infatti, risulta conforme ai principi di diritto costantemente affermati da questa Corte (si vedano Cass. 16452 del 19/6/2019 e molte altre conformi), che il ricorso non offre motivi idonei a rivedere, secondo i quali:

a) in caso di omessa o tardiva trasposizione da parte del legislatore italiano nel termine prescritto dalle direttive comunitarie (nella specie, le direttive n. 75/362/CEE e n. 82/76/CEE, non autoesecutive, in tema di retribuzione della formazione dei medici specializzandi), sorge, conformemente ai principi più volte affermati dalla Corte di giustizia dell’Unione Europea, il diritto degli interessati al risarcimento dei danni, che va ricondotto allo schema della responsabilità per inadempimento dell’obbligazione “ex lege” dello Stato, di natura indennitaria;

tale responsabilità – dovendosi considerare il comportamento omissivo dello Stato come antigiuridico anche sul piano dell’ordinamento interno e dovendosi ricondurre ogni obbligazione nell’ambito della ripartizione di cui all’art. 1173 c.c. – va inquadrata nella figura della responsabilità “contrattuale”, in quanto nascente non dal fatto illecito di cui all’art. 2043 c.c., bensì dall’inadempimento di un rapporto obbligatorio preesistente, sicchè il diritto al risarcimento del relativo danno è soggetto all’ordinario termine decennale di prescrizione;

b) a seguito della tardiva ed incompleta trasposizione nell’ordinamento interno delle direttive n. 75/362/CEE e n. 82/76/CEE, relative al compenso in favore dei medici ammessi ai corsi di specializzazione universitari – realizzata solo con il D.Lgs. 8 agosto 1991 n. 257 – è rimasta inalterata la situazione di inadempienza dello Stato italiano in riferimento ai soggetti che avevano maturato i necessari requisiti nel periodo che va dal 10 gennaio 1983 al termine dell’anno accademico 1990-1991; la lacuna è stata parzialmente colmata con la L. 19 ottobre 1999, n. 370, art. 11, che ha riconosciuto il diritto ad una borsa di studio soltanto in favore dei beneficiari delle sentenze irrevocabili emesse dal Giudice amministrativo; ne consegue che tutti gli aventi diritto ad analoga prestazione, ma tuttavia esclusi dal cit. art. 11, hanno avuto da quel momento la ragionevole certezza che lo Stato non avrebbe più emanato altri atti di adempimento alla normativa Europea; nei confronti di costoro, pertanto, la prescrizione decennale della pretesa risarcitoria comincia a decorrere dal 27 ottobre 1999, data di entrata in vigore del menzionato art. 11 (Cass. n. 10813 del 17/05/2011 e molte altre conformi, tra cui Cass. n. 1917 del 09/02/2012, la quale precisa che “in riferimento a detta situazione, nessuna influenza può avere la sopravvenuta disposizione di cui alla L. 12 novembre 2011, n. 183, art. 4, comma 43, secondo cui la prescrizione del diritto al risarcimento del danno da mancato recepimento di direttive comunitarie soggiace alla disciplina dell’art. 2947 c.c. e decorre dalla data in cui il fatto, dal quale sarebbero derivati i diritti se la direttiva fosse stata tempestivamente recepita, si è effettivamente verificato – trattandosi di norma che, in difetto di espresso previsione, non può che spiegare la sua efficacia rispetto a fatti verificatisi successivamente alla sua entrata in vigore, e cioè dal 1 gennaio 2012;

secondo la richiamata giurisprudenza lo stesso regime è applicabile anche ai medici che hanno intrapreso i corsi nell’anno 1990/1991 e l’hanno proseguito successivamente (si veda Cass. ord. 31/05/2018, n. 13759, secondo cui “la previsione di cui alla L. n. 370 del 1999, art. 11, che ha riconosciuto il diritto al risarcimento del danno da inadempimento della Dir. 26 gennaio 1982, n. 82/76/CEE, riassuntiva delle direttive 16 giugno 1975, n. 75/362/CEE e n. 76/362/CEE, diritto insorto in favore dei soggetti che avevano seguito corsi di specializzazione medica iniziati negli anni dal 1 gennaio 1983 all’anno accademico 1990-1991, in condizioni tali che, se detta direttiva fosse stata attuata, avrebbero acquisito i diritti da essa previsti, è applicabile anche agli specializzandi che, avendo iniziato il corso anteriormente all’anno accademico 1990-1991, lo abbiano proseguito in epoca successiva, non applicandosi nei loro confronti la disciplina di cui al D.Lgs. n. 257 del 1991, art. 6, in forza dell’esclusione stabilita dal medesimo decreto legislativo, art. 8, comma 2”;

in base ai principi enunciati il motivo di ricorso deve essere ritenuto inammissibile ex art. 360 bis c.p.c.;

manifestamente infondato è da ritenere il secondo motivo di ricorso, con cui si lamenta violazione art. 91 e 92 c.p.c. per omessa compensazione delle spese pur in presenza di gravi ed eccezionali ragioni, richiamandosi il principio espresso al riguardo dalla giurisprudenza di legittimità, secondo cui “in tema di spese processuali, la facoltà di disporne la compensazione tra le parti rientra nel potere discrezionale del Giudice di merito, il quale non è tenuto a dare ragione con una espressa motivazione del mancato uso di tale sua facoltà, con la conseguenza che la pronuncia di condanna alle spese, anche se adottata senza prendere in esame l’eventualità di una compensazione, non può essere censurata in cassazione, neppure sotto il profilo di mancanza di motivazione” (Cass. 11329 del 26/4/2019);

in base alle svolte argomentazioni il ricorso va complessivamente rigettato e le spese sono liquidate secondo soccombenza;

in considerazione della statuizione, sussistono i presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso.

PQM

La Corte rigetta il ricorso.

Condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, liquidate in complessivi Euro 2.200,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre spese generali al 15% e accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, se dovuto, per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, nell’adunanza camerale, il 15 dicembre 2020.

Depositato in Cancelleria il 25 marzo 2021

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