Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 8426 del 25/03/2021

Cassazione civile sez. VI, 25/03/2021, (ud. 15/12/2020, dep. 25/03/2021), n.8426

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE L

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. LEONE Margherita Maria – Presidente –

Dott. ESPOSITO Lucia – rel. Consigliere –

Dott. PONTERIO Carla – Consigliere –

Dott. MARCHESE Gabriella – Consigliere –

Dott. DE FELICE Alfonsina – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 26719-2019 proposto da:

P.S., A.M., elettivamente domiciliati in ROMA,

PIAZZA CAVOUR presso la CANCELLERIA della CORTE di CASSAZIONE,

rappresentati e difesi dall’avvocato CARLOTTA PERSICO

– ricorrenti –

contro

MINISTERO DELL’ISTRUZIONE DELL’UNIVERSITA’ E DELLA RICERCA,

(OMISSIS), in persona del legale rappresentante pro tempore,

elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso

l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende ope

legis;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 214/2019 della CORTE D’APPELLO di TORINO,

depositata il 02/04/2019;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 15/12/2020 dal Consigliere Relatore Dott. LUCIA

ESPOSITO.

 

Fatto

RILEVATO

che:

con la sentenza impugnata la Corte di appello di Torino ha confermato la pronuncia emessa dal Tribunale della stessa sede con la quale era stata rigettata la domanda proposta nei confronti del Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca da P.S. e A.M., docenti, diretta ad ottenere l’accertamento del loro diritto al riconoscimento come servizio di ruolo, ai fini giuridici ed economici, del servizio non di ruolo prestato prima dell’assunzione a tempo indeterminato;

la Corte d’appello respingeva la doglianza riguardo al mancato riconoscimento della progressione professionale maturata nel periodo pre-ruolo ed al conseguente diritto al pagamento delle differenze retributive, sul rilievo che la richiesta di “accertare e dichiarare il diritto di parte ricorrente alla progressione nelle diverse posizioni stipendiali fin dal primo contratto e a condannare il convenuto a inserire i ricorrenti nelle posizioni stipendiali di cui in epigrafe” non era stata motivata autonomamente ma in modo connesso al riconoscimento per intero del c.d. servizio pre-ruolo, così che correttamente il Tribunale aveva ritenuto che i lavoratori avessero proposto domanda di ricostruzione della carriera ai sensi del D.Lgs. n. 297 del 1994, art. 485;

il giudice d’appello, poi, riteneva che fosse giustificato da ragioni obiettive l’abbattimento del computo dell’anzianità previsto dal D.Lgs. n. 297 del 1994, art. 485 e che la disposizione non fosse in contrasto con la clausola 4 dell’accordo quadro allegato alla Dir. 1999/70/CE;

per la cassazione della sentenza hanno proposto ricorso i docenti in epigrafe sulla base di tre motivi, illustrati con memoria;

la proposta del relatore, ai sensi dell’art. 380 bis c.p.c., è stata notificata alle parti, unitamente al decreto di fissazione dell’adunanza in camera di consiglio.

Diritto

CONSIDERATO

Che:

i ricorrenti denunciano, con il primo motivo, violazione e falsa applicazione dell’art. 132 c.p.c., comma 2, n. 4 e dell’art. 112c.p.c. ai sensi dell’art. 360 c.p.c., nn. 3, 4 e 5, osservando che la domanda formulata in primo grado, fondata sul divieto di disparità di trattamento dei lavoratori assunti a tempo determinato, era riferita alla posizione stipendiale riconosciuta e, quindi, alla retribuzione corrisposta nel corso del periodo di precariato, oltre che all’istituto di ricostruzione della carriera, cioè all’attribuzione della posizione stipendiale dopo la conferma della immissione in ruolo mediante il riconoscimento della anzianità maturata nel periodo di lavoro a tempo determinato;

con il secondo motivo deducono violazione e/o falsa applicazione della Dir. 1999/70/CE, della clausola dell’accordo quadro allegato alla Dir. 1999/70/CE e del D.Lgs. n. 297 del 1994, art. 485, rilevando che a seguito della sentenza Motter della CGUE era stata ritenuta comparabile la situazione del docente precario e quella del docente di ruolo a seguito di concorso, ai fini della valutazione circa la sussistenza di una discriminazione e l’assenza di ragioni atte a giustificare il diverso trattamento, demandando al Giudice nazionale di verificare caso per caso se il servizio prestato dal lavoratore precario fosse qualitativamente e quantitativamente comparabile a quello del lavoratore a tempo indeterminato e che, nello specifico, le mansioni svolte dagli esponenti prima e dopo l’immissione in ruolo erano le medesime, sicchè non esistevano ragioni oggettive idonee a giustificare la decurtazione di anzianità di servizio prevista dal D.Lgs. n. 297 del 1994, art. 485, che va, pertanto, disapplicato;

con il terzo motivo deduce violazione e falsa applicazione dell’art. 2 CCNL 4/8/11, commi 2 e 3 e degli artt. 1362 e 1364 c.c., perchè il CCNL, nel ridefinire le posizioni stipendiali del personale del comparto scuola, stabilendo la maturazione del primo scatto stipendiale al compimento del nono anno di servizio piuttosto che al terzo, ha mantenuto il diritto al precedente inquadramento solo per chi, già assunto a tempo indeterminato nell’anno in corso, fosse stato inserito nelle classi stipendiali antecedenti;

il primo motivo di ricorso è inammissibile poichè, fermo restando che la rilevazione ed interpretazione del contenuto della domanda è attività riservata al giudice di merito ed è sindacabile in alcuni limitati casi, il ricorrente non indica, come richiesto ai fini dell’assolvimento dell’onere di autosufficienza, in che termini è stata proposta la domanda nel giudizio di primo grado, mediante allegazione dell’atto introduttivo di primo grado o sua trascrizione nelle parti fondamentali, così da consentire di adeguatamente vagliare le questioni prospettate (Cass. n. 15367 del 04/07/2014);

quanto agli altri due motivi, unitariamente considerati, va rilevato che questa Corte (Cass. n. 31149 del 28/11/2019), chiamata a pronunciarsi sulla conformità al diritto dell’Unione della disciplina interna relativa alla ricostruzione della carriera del personale insegnante della scuola nei casi in cui l’immissione in ruolo sia stata preceduta da rapporti a termine, ha evidenziato:

a) che già con il D.L. n. 370 del 1970, convertito con modificazioni dalla L. n. 576 del 1970, il legislatore aveva previsto, all’art. 3, che “Al personale insegnante il servizio di cui ai precedenti articoli viene riconosciuto agli effetti giuridici ed economici per intero e fino ad un massimo di quattro anni, purchè prestato con il possesso, ove richiesto, del titolo di studio prescritto o comunque riconosciuto valido per effetto di apposito provvedimento legislativo. Il servizio eccedente i quattro anni viene valutato in aggiunta a quello di cui al precedente comma agli stessi effetti nella misura di un terzo, e ai soli fini economici per i restanti due terzi. I diritti economici derivanti dagli ultimi due terzi di servizio previsti dal comma precedente, saranno conservati e valutati anche in tutte le classi successive di stipendio.”;

b) che con il D.Lgs. n. 297 del 1994 di “Approvazione del testo unico delle disposizioni legislative vigenti in materia di istruzione, relative alle scuole di ogni ordine e grado” le richiamate disposizioni sono confluite, con modificazioni e integrazioni, negli artt. 485 e 489 e che le norme citate sono confluite nel testo unico (D.Lgs. n. 297/1994) e continuano ad applicarsi nei limiti sopra indicati, a tale disciplina non derogando la contrattazione collettiva che nell’ambito scolastico, quanto ai rapporti con la legge, non sfugge all’applicazione dei principi dettati dal D.Lgs. n. 165 del 2001, artt. 2 e 40, sicchè si deve escludere che gli articoli del T.U. riguardanti la ricostruzione della carriera siano stati disapplicati dalla contrattazione;

c) che l’abbattimento opera solo sulla quota eccedente i primi quattro anni di anzianità, oggetto di riconoscimento integrale con i benefici di cui sopra si è detto, e, pertanto, il meccanismo finisce per penalizzare i precari di lunga data, non già quelli che ottengano l’immissione in ruolo entro il limite massimo per il quale opera il principio della totale valorizzazione del servizio;

d) che la norma, se poteva dirsi non priva di ragionevolezza in relazione ad un sistema di reclutamento (analizzato con la sentenza n. 22552/2016 e altre successive) basato sulla regola del cosiddetto “doppio canale” che, oltre a prevedere l’immissione in ruolo periodica dei docenti attingendo per il 50% dalle graduatorie dei concorsi per titoli ed esami e per il restante 50% dalle graduatorie per soli titoli, prima, e poi dalle graduatorie permanenti, stabiliva anche, all’esito delle modifiche apportate alla L. n. 124 del 1999, art. 400, la cadenza triennale dei concorsi, giustificandosi l’abbattimento oltre il primo quadriennio in relazione al criterio meritocratico (consentire ai più meritevoli di ottenere la tempestiva immissione nei ruoli, attesa la prevista periodicità dei concorsi e dei provvedimenti di inquadramento definitivo nei ruoli dell’amministrazione scolastica), non ha trovato giustificazione in seguito, poichè, come è stato dato atto nelle plurime pronunce della Corte di Giustizia, della Corte Costituzionale e di questa Corte, le immissioni in ruolo non sono avvenute con la periodicità originariamente pensata dal legislatore e ciò ha determinato, quale conseguenza, che il personale “stabilizzato si è trovato per lo più a vantare, al momento dell’immissione in ruolo, un’anzianità di servizio di gran lunga superiore a quella per la quale il riconoscimento opera in misura integrale, anzianità che è stata oggetto dell’abbattimento della cui conformità al diritto dell’Unione qui si discute;

e) che, quanto alla comparabilità degli assunti a tempo determinato con il personale stabilmente immesso nei ruoli dell’amministrazione, non sussistono ragioni oggettive atte a giustificare la disparità di trattamento, non potendosi fare leva sulla natura non di ruolo del rapporto di impiego, sulla novità di ogni singolo contratto rispetto al precedente, sulle modalità di reclutamento del personale e sulle esigenze che il sistema mira ad assicurare, valendo le considerazioni già espresse da questa Corte con le sentenze Cass. 22558 e 23868 del 2016 e le successive sentenze conformi, fra le quali si segnalano Cass. nn. 28635, 26356, 26353, 6323 del 2018, in cui si è evidenziato che la disparità di trattamento non può essere giustificata dalla natura non di ruolo del rapporto di impiego, dalla novità di ogni singolo contratto rispetto al precedente, dalle modalità di reclutamento del personale nel settore scolastico e dalle esigenze che il sistema mira ad assicurare;

f) che più complessa è l’ulteriore verifica che la Corte di Giustizia ha demandato al Giudice nazionale in relazione all’obiettivo di evitare il prodursi di discriminazioni “alla rovescia” in danno dei docenti assunti ab origine con contratti a tempo indeterminato, discriminazioni che, ad avviso del Ministero ricorrente, si produrrebbero qualora in sede di ricostruzione della carriera si prescindesse dall’abbattimento, perchè in tal caso il lavoratore a termine, potendo giovarsi del criterio di cui al D.Lgs. n. 297 del 1994, art. 489, potrebbe ottenere un’anzianità pari a quella dell’assunto a tempo indeterminato, pur avendo reso rispetto a quest’ultimo una prestazione di durata temporalmente inferiore;

in base ai principi richiamati, cui questa Corte intende dare continuità, si rende necessaria una verifica del caso concreto in base ai parametri segnati dal principio di diritto enunciato nella richiamata decisione Cass. n. 31149/2019, che di seguito si riporta “In tema di riconoscimento dell’anzianità di servizio dei docenti a tempo determinato poi definitivamente immessi nei ruoli dell’amministrazione scolastica, il D.Lgs. n. 297 del 1994, art. 485, deve essere disapplicato, in quanto si pone in contrasto con la clausola 4 dell’Accordo quadro allegato alla Dir. 1999/70/CE, nei casi in cui l’anzianità risultante dall’applicazione dei criteri dallo stesso indicati, unitamente a quello fissato dallo stesso decreto, art. 489, come integrato dalla L. n. 124 del 1999, art. 11, comma 14, risulti essere inferiore a quella riconoscibile al docente comparabile assunto “ab origine” a tempo indeterminato; il giudice del merito, per accertare la sussistenza di tale discriminazione, dovrà comparare il trattamento riservato all’assunto a tempo determinato poi immesso in ruolo, con quello del docente ab origine a tempo indeterminato, senza valorizzare, pertanto, le interruzioni fra un rapporto e l’altro, nè applicare la regola dell’equivalenza fissata dal richiamato art. 489, e, in caso di disapplicazione, computare l’anzianità da riconoscere ad ogni effetto al docente assunto a tempo determinato, poi immesso in ruolo, sulla base dei medesimi criteri che valgono per l’assunto a tempo indeterminato”;

in via conclusiva gli ultimi due motivi di ricorso devono essere accolti, con rinvio per un nuovo esame secondo i principi di diritto enunciati al Giudice del merito, al quale pure è demandata la regolamentazione delle spese processuali del giudizio di legittimità.

P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibile il primo motivo, accoglie gli altri due, cassa la sentenza impugnata e rinvia, anche per le spese del giudizio di legittimità, alla Corte d’appello di Torino in diversa composizione.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 15 dicembre 2020.

Depositato in Cancelleria il 25 marzo 2021

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