Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 8422 del 12/04/2011

Cassazione civile sez. III, 12/04/2011, (ud. 03/03/2011, dep. 12/04/2011), n.8422

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. FINOCCHIARO Mario – Presidente –

Dott. MASSERA Maurizio – Consigliere –

Dott. SEGRETO Antonio – rel. Consigliere –

Dott. VIVALDI Roberta – Consigliere –

Dott. FRASCA Raffaele – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ordinanza

sul ricorso 19526/2009 proposto da:

R.R. (OMISSIS), R.M.

(OMISSIS), in proprio e nella qualità di soci accomandatari

della EL.DA. sas di Risso Roberto & C., elettivamente domiciliati

in

ROMA, VIA DEI CONDOTTI 9, presso lo studio dell’avvocato MORIGI

Enrico, che li rappresenta e difende unitamente all’avvocato CELANT

CARLO, giusta delega a margine del ricorso;

– ricorrenti –

contro

G.C. (OMISSIS), elettivamente domiciliato in

ROMA, VIA CASSIODORO 19, presso lo studio dell’avvocato JANARI Luigi,

che la rappresenta e difende unitamente all’avvocato SAGUATO GIORGIO,

giusta procura a margine del controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 665/2008 della CORTE D’APPELLO di GENOVA del

30/06/05, depositata il 05/06/2008;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

03/03/2011 dal Consigliere Relatore Dott. ANTONIO SEGRETO;

è presente il P.G. in persona del Dott. IMMACOLATA ZENO.

Fatto

CONSIDERATO IN FATTO

che è stata depositata in cancelleria la seguente relazione, regolarmente comunicata al P.G. e notificata ai difensori: “Il relatore, Cons. Dott. Antonio Segreto, letti gli atti depositati, osserva:

1. G.C. conveniva davanti al tribunale di Savona, sede distaccata di Alberga, R.R. e M.R., in proprio e quali legali rappresentante della s.a.s. EL.DA di Risso Roberto e C., per sentirli condannare alla restituzione della somma di L. 44873819, oltre interessi e rivalutazione, assumendo che tale somma era stata indebitamente percepita dal convenuto nello svolgimento dell’attività di consulente fiscale dell’attore, mediante illecita appropriazione degli importi ricevuti per il pagamento di oneri tributari.

I convenuti si costituivano nella duplice qualità e resistevano alla domanda.

Il tribunale accoglieva la domanda, condannando il convenuto al pagamento di Euro 23.175,45.

Proponevano appello R.R. e M., in proprio e nella qualità. La corte di appello di Genova, con sentenza depositata il 4.6.2008, rigettava l’appello. Riteneva la corte territoriale, per quello che ancora interessa, che la somma ricevuta in sede penale dall’attore a titolo risarcitorio non estingueva il suo credito, essendo stata ricevuta solo come acconto nel processo penale terminato con sentenza di patteggiamento; che l’entità del credito di parte attrice risultava dagli assegni versati dall’ attore ai convenuti ed accertati in sede penale, in raffronto a quanto dovuto effettivamente per varie causali.

Avverso questa sentenza hanno proposto ricorso per cassazione i convenuti nella duplice qualità.

Resiste con controricorso la parte attrice.

2.1. Con il primo motivo di ricorso la parte ricorrente lamenta la violazione e falsa applicazione dell’art. 100 c.p.c., in relazione all’art. 62 c.p., n. 6 (in ordine alla carenza di interesse ad agire in sede civile da parte della resistente in riferimento alle domande di natura risarcitoria.

2.2. Con il secondo motivo di ricorso la parte ricorrente lamenta l’omessa motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio e nella specie circa la natura interamente satisfattiva del pagamento effettuato dal ricorrente in sede penale. Assumono i ricorrenti che erroneamente la sentenza impugnata non ha ritenuto completamente satisfattivo il pagamento effettuato in sede penale, in quanto lo era stato non a titolo parziale, ma definitivo.

3. Con il terzo motivo di ricorso il ricorrente lamenta la violazione e/o falsa applicazione dell’art. 100 c.p.c., in relazione all’art. 1965 c.c. (art. 360 c.p.c., n. 3) in ordine alla carenza di interesse ad agire in sede civile da parte del resistente in riferimento alle domande di natura risarcitoria per intervenuta transazione. Assumono i ricorrenti che la parte attrice aveva ricevuto senza riserve la somma offerta a titolo transattivo, con conseguente carenza di interesse all’attuale domanda.

4. Con il quarto motivo di ricorso i ricorrenti lamentano l’omessa motivazione su un fatto controverso e decisivo relativo all’asserita sussistenza della prova del credito.

Secondo i ricorrenti non sarebbe stata provata l’entità delle somme versate dalla parte attrice, che non risultava prenditrice degli assegni.

5. I suddetti quattro motivi, essendo strettamente connessi, vanno esaminati congiuntamente.

Essi sono manifestamente infondati.

La corte territoriale con valutazione di merito, rientrante nei suoi esclusi poteri, e con motivazione immune da insufficienza o contraddittorietà, ha rilevato che l’assunto dell’avvenuta transazione in sede penale dell’intero danno, contrasta con il raffronto aritmetico tra quanto esigibile e quanto corrisposto e che in ogni caso mancava qualsiasi manifestazione di volontà della parte attrice, creditrice, di rinunziare al residuo. Le censure mosse dai ricorrenti in merito all’interpretazione della volontà della parte creditrice sono inammissibili, in quanto mirano ad ottenere da questa Corte una rivalutazione del dato fattuale (inesistenza di rinunzia al residuo credito), che non può trovare ingresso in questa sede di sindacato di legittimità.

6. Manifestamente infondata è anche la censura, secondo cui non risulterebbe provato il preteso credito della parte attrice.

La sentenza impugnata ha infatti accertato sulla base delle risultanze processuali, e segnatamente della prova testimoniale, che la parte attrice aveva effettivamente fatto i versamenti, attraverso assegni, i quali, tuttavia, non risultavano girati in favore del R., poichè per un accordo con la banca, dovevano apparire come incassati dai clienti stessi, senza firma di girata dei responsabili dello studio. Ha accertato altresì che l’entità del credito di parte attrice risultava dagli assegni versati dai singoli attori ai convenuti ed accertati in sede penale, in raffronto a quanto dovuto effettivamente per varie causali.

Trattasi di accertamento fattuale che rientra negli esclusivi poteri del giudice di merito e che è immune da vizi motivazionali nei limiti rilevabili in questa sede di sindacato di legittimità.

Va, infatti, osservato che la deduzione di un vizio di motivazione della sentenza impugnata con ricorso per cassazione conferisce al giudice di legittimità non il potere di riesaminare il merito della intera vicenda processuale sottoposta al suo vaglio, bensì la sola facoltà di controllo, sotto il profilo della correttezza giuridica e della coerenza logico-formale, delle argomentazioni svolte dal giudice del merito, al quale spetta, in via esclusiva, il compito di individuare le fonti del proprio convincimento, di assumere e valutare le prove, di controllarne l’attendibilità e la concludenza, di scegliere, tra le complessive risultanze del processo, quelle ritenute maggiormente idonee a dimostrare la veridicità dei fatti ad esse sottesi, dando, così, liberamente prevalenza all’uno o all’altro dei mezzi di prova acquisiti (salvo i casi tassativamente previsti dalla legge).

Ne deriva, pertanto, che alla cassazione della sentenza, per vizi della motivazione, si può giungere solo quando tale vizio emerga dall’esame del ragionamento svolto dal giudice del merito, quale risulta dalla sentenza, che si riveli incompleto, incoerente e illogico, e non già quando il giudice del merito abbia semplicemente attribuito agli elementi valutati un valore e un significato difformi dalle aspettative e dalle deduzioni di parte (Cass. 15/04/2004, n. 7201; Cass. S.U. 27/12/1997, n. 13045, Cass. 14/02/2003, n. 2222;

Cass. 25.8.2003, n. 12467; Cass. 15.4.2000, n. 4916).

Nella fattispecie non si ravvisa detto vizio motivazionale.

7.1. Con il quinto motivo di ricorso i ricorrenti lamentano la contraddittoria ed insufficiente motivazione circa un fatto decisivo della controversia ovvero circa la pretesa prova del danno patrimoniale e non patrimoniale risarcito alla parte attrice, anche il relazione alla valenza da attribuire alla sentenza di cui agli artt. 444 e 445 c.p.p. (art. 360 c.p.c., n. 5).

7.2. Con il sesto motivo di ricorso i ricorrenti lamentano l’omessa motivazione circa il riconoscimento del danno non patrimoniale.

Assumono i ricorrenti che erroneamente la sentenza impugnata li ha condannati al risarcimento del danno patrimoniale e non patrimoniale sul solo rilievo che esisteva un procedimento penale a carico del R., conclusosi con sentenza di patteggiamento ex art. 444 c.p.p..

8.1. I due motivi vanno esaminati congiuntamente. Il quinto è manifestamente fondato solo in relazione al danno non patrimoniale, mentre per il resto è manifestamente infondato. Manifestamente fondato è il sesto motivo di ricorso.

Quanto alla prova relativa al danno patrimoniale si è detto sopra, per cui è manifestamente infondata la censura secondo cui la prova dello stesso si fonderebbe sulla sentenza c.d. di patteggiamento. In merito quindi al danno patrimoniale il quinto motivo è manifestamente infondato.

8.2. I due motivi sono, invece, manifestamente fondati quanto al danno non patrimoniale. Osserva questa Corte che la sentenza, con la quale il giudice applica all’imputato la pena da lui richiesta e concordata con il pubblico ministero, pur essendo equiparata a una pronuncia di condanna ai sensi e per gli effetti di cui all’art. 445 cod. proc. pen., comma 1, non è tuttavia ontologicamente qualificabile come tale, traendo essa origine essenzialmente da un accordo delle parti, caratterizzato, per quanto attiene l’imputato, dalla rinuncia di costui a contestare la propria responsabilità. Ne consegue che non può farsi discendere dalla sentenza di cui all’art. 444 cod. proc. pen., la prova della ammissione di responsabilità da parte dell’imputato e ritenere che tale prova sia utilizzabile nel procedimento civile (Cass. n. 6047 del 2003). La sentenza di patteggiamento può solo costituire un elemento che va valutato dal giudice, ai fini del suo convincimento in merito all’esistenza del reato (Cass. n. 23906/2007; Cass. n. 2724 del 2001).

Ne consegue che nella fattispecie va accolta la censura secondo cui non risulta motivata la ritenuta esistenza di una responsabilità penale dei R..

8.3. Inoltre il danno risarcibile ex art. 2059 c.c., è sempre un danno conseguenza.

Ciò comporta che esso vada provato, non essendo ammissibile la ritenuta esistenza di tale danno, anche se conseguente a reato, come danno in re ipsa. Ovviamente nell’ambito delle prove per l’esistenza di tale danno non patrimoniale il giudice potrà avvalersi anche della prova presuntiva (Cass. n. 20143 del 2009; Cass. n. 7695 del 2008). Nè può farsi ricorso alla liquidazione equitativa, inidonea a surrogare l’assolvimento dell’onere della prova in ordine all’esistenza del concreto pregiudizio.

9. Con il settimo motivo di ricorso i ricorrenti lamentano la nullità della sentenza per il contrasto tra la motivazione ed il dispositivo per avere la prima affermato la responsabilità della R.M. quale socio accomandatario ed il secondo affermato la responsabilità della stessa, anche in proprio.

10. Il motivo è manifestamente infondato.

Emerge, infatti, dal complesso della motivazione che la responsabilità della R. è stata affermata sia quale socio accomandatario che in proprio”.

Diritto

RITENUTO IN DIRITTO

che il Collegio condivide i motivi in fatto e diritto esposti nella relazione, che non sono superati dalle contrarie osservazioni mosse dai ricorrenti nella memoria;

che, perciò, devono essere accolti il sesto e, parzialmente, il quinto motivo di ricorso, mentre vanno rigettati i restanti;che va cassata, in relazione ai motivi accolti, l’impugnata sentenza, con rinvio della causa, anche per le spese di questo giudizio di cassazione, alla corte di appello di Genova, in diversa composizione, che si uniformerà ai principi di diritto sopra esposti.

visti gli artt. 375 e 380 bis c.p.c..

P.Q.M.

Accoglie il sesto e, parzialmente, il quinto motivo di ricorso;

rigetta i restanti. Cassa in relazione ai motivi accolti l’impugnata sentenza e rinvia la causa, anche per le spese di questo giudizio di cassazione, alla corte di appello di Genova in diversa composizione.

Così deciso in Roma, il 3 marzo 2011.

Depositato in Cancelleria il 12 aprile 2011

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