Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 8421 del 26/03/2019
Cassazione civile sez. VI, 26/03/2019, (ud. 18/12/2018, dep. 26/03/2019), n.8421
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SESTA CIVILE
SOTTOSEZIONE 1
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. DI VIRGILIO Rosa Maria – Presidente –
Dott. VALITUTTI Antonio – Consigliere –
Dott. MARULLI Marco – Consigliere –
Dott. MERCOLINO Guido – rel. Consigliere –
Dott. DOLMETTA Aldo Angelo – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 9115/2018 R.G. proposto da:
N.K., rappresentato e difeso dall’Avv. Roberto Maiorana, con
domicilio eletto in Roma, viale Angelico, n. 38;
– ricorrente –
contro
MINISTERO DELL’INTERNO, in persona del Ministro p.t., rappresentato e
difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, con domicilio legale in
Roma, via dei Portoghesi, n. 12;
– controricorrente –
avverso la sentenza della Corte d’appello di Roma n. 5722/17,
depositata il 12 settembre 2017.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 18 dicembre
2018 dal Consigliere Dott. Mercolino Guido.
Fatto
RILEVATO
che N.K., cittadino del Gambia, ha proposto ricorso per cassazione, per un solo motivo, avverso la sentenza del 12 settembre 2007, con cui la Corte d’appello di Roma ha dichiarato inammissibile il gravame da lui interposto avverso l’ordinanza emessa il 23 luglio 2015 dal Tribunale di Roma, che ha rigettato la domanda di riconoscimento della protezione internazionale proposta dal ricorrente;
che il Ministero dell’Interno ha resistito con controricorso.
Diritto
CONSIDERATO
che con l’unico motivo d’impugnazione il ricorrente denuncia la violazione del principio di non refoulement sancito dall’art. 33 della Convenzione di Ginevra del 28 luglio 1951, ratificata con L. 24 luglio 1954, n. 722, e desumibile inoltre dal D.Lgs. 25 luglio 1998, n. 286, art. 19 e dall’art. 9, comma 1, lett. a), della direttiva 2008/115/CE del 16 dicembre 2008, sostenendo che il mancato riconoscimento dello status di rifugiato ed il diniego della protezione sussidiaria e umanitaria lo espongono a gravi rischi, non potendo egli fare rientro nel suo Paese di origine, a causa della situazione di pericolo per la sicurezza individuale ivi esistente, in conseguenza di violenze e disordini, violazioni dei diritti umani, uccisioni illegali e sparizioni forzate, torture e maltrattamenti perpetrati soprattutto da autorità governative;
che, in quanto attinenti alla sussistenza dei requisiti al cui accertamento è subordinato il riconoscimento della protezione internazionale, le predette censure sono inammissibili, non attingendo la ratio della sentenza impugnata, con cui la Corte distrettuale si è limitata a rilevare l’inammissibilità dello appello, in quanto proposto dopo la scadenza del relativo termine, senza esaminare il merito della controversia;
che, pur implicando il rigetto definitivo della domanda di protezione, la predetta decisione non può considerarsi di per sè incompatibile con le norme interne, internazionali e comunitarie richiamate dal ricorrente, che vietano di respingere o espellere i rifugiati verso territori in cui la loro vita o la loro libertà sarebbero minacciate, dal momento che il principio di non refou-lement non comporta l’esonero del richiedente asilo dall’osservanza delle norme interne che disciplinano il riconoscimento dello status di rifugiato e della protezione internazionale e la tutela giurisdizionale nei confronti dei relativi provvedimenti;
che, in particolare, la dichiarazione d’inammissibilità dell’appello non si pone in contrasto con il D.Lgs. 28 gennaio 2008, n. 25, art. 8, comma 1, che vieta di respingere o escludere dall’esame la domanda di protezione per il solo fatto di non essere stata presentata tempestivamente, trattandosi di disposizione riguardante la fase amministrativa che si svolge dinanzi alla competente Commissione territoriale, e non applicabile ai termini previsti dalle norme che disciplinano il procedimento giurisdizionale per l’impugnazione delle relative decisioni;
che il ricorso va pertanto dichiarato inammissibile, con la conseguente condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali, che si liquidano come dal dispositivo.
PQM
dichiara inammissibile il ricorso. Condanna il ricorrente al pagamento, in favore del controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 2.100,00 per compensi, oltre alle spese prenotate a debito.
Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, inserito dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.
Così deciso in Roma, il 18 dicembre 2018.
Depositato in Cancelleria il 26 marzo 2019