Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 8420 del 26/03/2019

Cassazione civile sez. VI, 26/03/2019, (ud. 28/02/2019, dep. 26/03/2019), n.8420

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 2

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. LOMBARDO Luigi Giovanni – Presidente –

Dott. ORILIA Lorenzo – Consigliere –

Dott. CARRATO Aldo – Consigliere –

Dott. GRASSO Gianluca – Consigliere –

Dott. CRISCUOLO Mauro – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 20813-2018 proposto da:

M.C., + ALTRI OMESSI, elettivamente domiciliati in ROMA,

VIA Q. VARO, 133, presso lo studio dell’avvocato ANGELO GIULIANI,

che li rappresenta e difende giusta procura in calce al ricorso;

– ricorrenti-

contro

MINISTERO GIUSTIZIA;

– intimato –

avverso il decreto della CORTE D’APPELLO di PERUGIA, depositato il

29/05/2017;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

28/02/2019 dal Consigliere Dott. CRISCUOLO MAURO.

Fatto

MOTIVI IN FATTO ED IN DIRITTO DELLA DECISIONE

Con separati ricorsi, successivamente riuniti, i ricorrenti chiedevano che venisse loro liquidato l’equo indennizzo per la durata non ragionevole di un processo amministrativo intrapreso in data 19/6/1992 dinanzi al Tar del Lazio e non ancora definito alla data della proposizione della domanda. Dichiarata l’incompetenza per territorio da parte della Corte d’Appello di Roma e riassunto il processo dinanzi alla Corte d’appello di Perugia, questa con decreto n. 1469 del 29/05/2017, condannò il Ministero della Giustizia a pagare in favore dei ricorrenti la somma di Euro 8.500,00 cadauno, ravvisata la durata non ragionevole del processo a quo per anni diciassette, nonchè le spese processuali, liquidate in complessivi Euro 810,00, oltre spese di bollo, liquidate in Euro 8,00, ed accessori, distratte in favore del difensore antistatario.

Avverso tale decreto i ricorrenti in epigrafe propongono ricorso, esponendo, con l’unico motivo, la violazione e/o falsa applicazione dell’art. 91 c.p.c., art. 2233 c.c., comma 2 e delle previsioni di cui al D.M. n. 55/2014, in quanto la Corte di merito aveva liquidato il rimborso spese di lite al disotto del minimo legale.

L’Amministrazione non ha svolto difese in questa fase.

Il motivo è fondato.

Come già rilevato da questa Corte, e proprio con specifico riferimento alla liquidazione delle spese di lite nelle procedure di cui alla L. n. 89 del 2001 (Cass. n. 1018/2018), l’opinione secondo la quale il D. Ministero Giustizia 10 marzo 2014, n. 55, nella parte in cui stabilisce un limite minimo ai compensi tabellarmente previsti (art. 4) non può considerarsi derogativo del D.M. Giustizia 20 luglio 2012, n. 140, il quale, stabilendo in via generale i compensi di tutte le professioni vigilate dal Ministero della Giustizia, al suo art. 1, comma 7, dispone che “In nessun caso le soglie numeriche indicate, anche a mezzo di percentuale, sia nei minimi che nei massimi, per la liquidazione del compenso, nel presente decreto e nelle tabelle allegate, sono vincolanti per la liquidazione stessa”, non è condivisibile in quanto il D.M. n. 140, risulta essere stato emanato allo scopo di favorire la liberalizzazione della concorrenza e del mercato, adempiendo alle indicazioni della UE, a tal fine rimuovendo i limiti massimi e minimi, così da lasciare le parti contraenti (nella specie, l’avvocato e il suo assistito) libere di pattuire il compenso per l’incarico professionale.

Viceversa, il giudice resta tenuto ad effettuare la liquidazione giudiziale nel rispetto dei parametri previsti dal D.M. n. 55, il quale non prevale sul D.M. n. 140, per ragioni di mera successione temporale, bensì nel rispetto del principio di specialità, poichè, diversamente da quanto affermato dall’Amministrazione resistente, non è il D.M. n. 140 evidentemente generalista e rivolto a regolare la materia dei compensi tra professionista e cliente a prevalere, ma il D.M. n. 55, il quale detta i criteri ai quali il giudice si deve attenere nel regolare le spese di causa.

Tornando al caso in esame la liquidazione effettuata dalla Corte locale in complessivi Euro 810,00 si pone al di sotto dei limiti imposti dal D.M. n. 55, tenuto conto del valore della causa (da Euro 5.200,00 a Euro 26.000,00) e pur applicata la riduzione massima, in ragione della speciale semplicità dell’affare (art. 4, cit.) dovendosi escludere la possibilità di poter andare al di sotto dei detti minimi essendo ciò in violazione del principio di cui all’art. 2233 c.c. in merito alla necessità di corrispondere compensi adeguati al decoro della professione.

Il provvedimento impugnato deve quindi essere cassato con rinvio alla Corte d’Appello di Perugia in diversa composizione che provvederà anche sulle spese del presente giudizio.

PQM

accoglie il ricorso e cassa la decisione impugnata con rinvio alla Corte d’Appello di Perugia in diversa composizione che provvederà anche sulle spese del presente giudizio.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, il 28 febbraio 2019.

Depositato in Cancelleria il 26 marzo 2019

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