Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 8418 del 31/03/2017


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Cassazione civile, sez. trib., 31/03/2017, (ud. 21/02/2017, dep.31/03/2017),  n. 8418

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CHINDEMI Domenico – Presidente –

Dott. BOTTA Raffaele – Consigliere –

Dott. DE MASI Oronzo – rel. Consigliere –

Dott. ZOSO Liana Maria Teresa – Consigliere –

Dott. STALLA Giacomo Maria – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 7957-2013 proposto da:

EQUITALIA SUD SPA, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA GIOACCHINO

ROSSINI 18, presso lo studio dell’avvocato GIOIA VACCARI, che lo

rappresenta e difende;

– ricorrente –

contro

N.N., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA TEULADA 52,

presso lo studio dell’avvocato MAURIZIO GABRIELLI, che lo

rappresenta e difende;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 442/2012 della COMM.TRIB.REG. di ROMA,

denositata il 16/10/2012;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

21/02/2017 dal Consigliere Dott. CRONZO DE MASI.

Fatto

RILEVATO

che la Commissione Tributaria Regionale del Lazio ha respinto l’appello dell’Agente della riscossione e confermato la decisione di primo grado con la quale, su ricorso di N.N. era stata annullata la iscrizione di ipoteca, di cui alla comunicazione del 12/4/2010, eseguita su immobile di proprietà del contribuente, ai sensi del D.P.R. n. 602 del 1973, art. 77, a garanzia del pagamento di diverse cartelle di pagamento;

che la decisione del Giudice di appello, dà atto dell’avvenuta produzione in giudizio degli avvisi con intimazione di pagamento di cui al D.P.R. n. 602 del 1973, art. 50, comma 2, ma rileva, quanto al carico fiscale garantito dalla iscrizione ipotecaria, l’inidoneità della documentazione offerta dall’Agente della riscossione per confutare le contestazioni formulate dal contribuente;

che Equitalia Sud s.p.a., ricorre, affidandosi a tre motivi, per la cassazione della sentenza, e l’intimato resiste con controricorso.

Diritto

CONSIDERATO

che, con il primo motivo, l’Agente della riscossione deduce, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio, in quanto il ricorrente aveva lamentato la violazione del D.P.R. n. 602 del 1973, art. 50, comma 2, non essendo stata preceduta la iscrizione di ipoteca da alcuna diffida di pagamento, ma non la sussistenza del carico tributario, dal momento che solo alcune cartelle erano oggetto di sgravio o di contenzioso, ed a nulla rilevando le vicende, successive al ricorso giudiziario, le quali comunque non facevano venir meno la legittima iscrizione della garanzia per i crediti insoluti;

che, con il secondo motivo, deduce, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio, in quanto il Giudice di appello ha del tutto trascurato le cartelle di pagamento nn. 3, 4, 6 e 9, ancorchè recanti crediti comunque idonei a legittimare la iscrizione dell’ipoteca;

che, con il terzo motivo, deduce, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, violazione e falsa applicazione dell’art. 2697 c.c., spettando al contribuente di provare i fatti estintivi della obbligazione tributaria, quali i provvedimenti di sgravio delle somme iscritte a ruolo, e cioè la cancellazione del debito, ovvero gli eventuali intervenuti pagamenti delle somme portate dalla cartella di pagamento, essendo erronea l’affermazione del Giudice di appello circa l’inidoneità della documentazione prodotta dall’Agente della riscossione a fare chiarezza sulla residua esposizione debitoria del N.;

che i suesposti motivi di ricorso, scrutinabili congiuntamente in quanto strettamente connessi, vanno disattesi;

che il Giudice di primo grado aveva accolto il ricorso del contribuente perchè “il preavviso è atto dovuto e l’ipoteca iscritta per debiti inesistenti va annullata” osservando come l’Agente della riscossione non avesse provveduto a “dare la prova dell’avvenuta notifica del preavviso ex art. 50, comma 2 citato”, per essersi lo stesso difeso “senza sfiorare l’argomento dei tributi divenuti non dovuti per sentenza”, stante il contenzioso tributario pendente;

che il Giudice di secondo grado, dopo aver dato atto dell’avvenuta dimostrazione, da parte dell’Agente della riscossione, della notifica al contribuente, in data 28/2/2006 e 2/2/2007, dei “prescritti avvisi con intimazione di pagamento, che effettivamente risultano in atti”, ha evidenziato che “relativamente al carico fiscale ancora in essere… che… secondo l’appellante Società legittimerebbe l’iscrizione ipotecaria de qua, non sono stati prodotti elementi probanti atti a dare conferma a tali affermazioni e quindi idonei a riformare la sentenza di primo grado”;

che, anzitutto, è infondata la censura secondo cui la CTR non avrebbe tratto le dovute conseguenze, con riferimento alla iscrizione di ipoteca, dalla circostanza che Equitalia Sud s.p.a. aveva dato la prova dell’avvenuta notifica del preavviso ex art. 50, comma 2, in quanto non è siffatto adempimento quello che rileva ai fini della decisione della causa;

che, infatti, in base al principio affermato dalle Sezioni Unite (Cass. S.U. n. 19667/2014), anche nel regime antecedente l’entrata in vigore dell’obbligo di comunicazione preventiva dell’iscrizione di ipoteca D.P.R. n. 602 del 1973, ex art. 77, comma 2 bis, introdotto con D.L. n. 70 del 2011, l’Amministrazione, prima di iscrivere ipoteca, ai sensi dell’art. 77, deve comunicare al contribuente che procederà alla predetta iscrizione sui suoi beni immobili, concedendo a quest’ultimo un termine – che, per coerenza con altre analoghe previsioni normative presenti nel sistema, può essere fissato in trenta giorni – perchè egli possa esercitare il proprio diritto di difesa, presentando opportune osservazioni, o provveda al pagamento del dovuto;

che, in conseguenza di ciò, l’iscrizione di ipoteca non preceduta dalla comunicazione al contribuente è nulla, in ragione della violazione dell’obbligo che incombe all’amministrazione di attivare il “contraddittorio endoprocedimentale”, mediante la preventiva comunicazione al contribuente della prevista adozione di un atto o provvedimento che abbia la capacità di incidere negativamente, determinandone una lesione, sui diritti e sugli interessi del contribuente medesimo;

che, pertanto, come affermato da questa Corte in analoga controversia, ” La generale rilevanza del contraddittorio procedimentale, dunque, non consente di accogliere il motivo di ricorso, calibrato sull’omissione dell’intimazione del D.P.R. n. 602 del 1973, art. 50 benchè l’iscrizione ipotecaria prevista dal D.P.R. 29 settembre 1973, n. 602, art. 77 non costituisca atto dell’espropriazione forzata, ma debba essere riferita, come chiarito dalle sezioni unite, ad una procedura alternativa all’esecuzione forzata vera e propria, sicchè può essere effettuata anche senza la necessità di procedere alla notifica dell’intimazione in questione, prescritta per l’ipotesi in cui l’espropriazione forzata non sia iniziata entro un anno dalla notifica della cartella di pagamento ” (Cass. n. 4917/2015, conf. n. 6072/2015 e n. 2879/2016);

che, quanto agli ulteriori profili di censura, l’omesso esame di un fatto processuale – decisivo per il giudizio si concreterebbe, nel caso di specie, nell’apprezzamento svolto dai giudici di merito circa la ritenuta insussistenza del carico fiscale di cui alle cartelle di pagamento, perchè non adeguatamente dimostrato dall’Agente della riscossione, a fronte delle contestazioni formulate dal N.;

che le conclusioni cui è pervenuta la CTR discenderebbero, dunque, da una errata valutazione ed interpretazione di atti del processo e del comportamento processuale delle parti, in quanto, ad avviso della ricorrente, sarebbero state trascurate le cartelle di pagamento nn. 3, 4, 6 e 9, anch’esse sottese alla iscrizione di ipoteca, recanti crediti certi ed in grado di legittimare la garanzia e, pertanto, prove decisive;

che il profilo di doglianza in esame è inammissibile perchè si traduce nella confusa richiesta di revisione delle valutazioni e dei convincimenti espressi dal Giudice di appello, ed è teso a conseguire una nuova pronuncia sul fatto l’esistenza almeno parziale del carico tributario – non consentita perchè estranea alla natura ed alla finalità del giudizio di legittimità;

che “l’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, riformulato dal D.L. 22 giugno 2012, n. 83, art. 54 conv. in L. 7 agosto 2012, n. 134, introduce nell’ordinamento un vizio specifico denunciabile per cassazione, relativo all’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e abbia carattere decisivo (vale a dire che, se esaminato, avrebbe determinato un esito diverso della controversia). Ne consegue che, nel rigoroso rispetto delle previsioni dell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6, e art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4, il ricorrente deve indicare il “fatto storico”, il cui esame sia stato omesso, il “dato”, testuale o extratestuale, da cui esso risulti esistente, il “come” e il “quando” tale fatto sia stato oggetto di discussione processuale tra le parti e la sua “decisività”, fermo restando che l’omesso esame di elementi istruttori non integra, di per sè, il vizio di omesso esame di un fatto decisivo qualora il fatto storico, rilevante in causa, sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, ancorchè la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie ” (Cass. S.U. n. 8053/2014);

che va disattesa, perchè inammissibile, anche la cesura con cui, sotto il profilo della violazione di legge, l’Agente della riscossione lamenta la sostanziale inversione dell’onere della prova circa la ritenuta inidoneità della documentazione prodotta a fare chiarezza sulla esposizione debitoria del contribuente;

che, infatti, la doglianza relativa alla violazione del precetto di cui all’art. 2697 c.c., è configurabile soltanto nell’ipotesi in cui il giudice abbia attribuito l’onere della prova ad una parte diversa da quella che ne risulta gravata secondo le regole dettate da quella norma, in tal caso restando integrato il motivo di ricorso per cassazione ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, mentre la censura che investe la valutazione (attività regolata, invece, dagli artt. 115 e 116 c.p.c.) può essere fatta valere ai sensi del medesimo art. 360, n. 3;

che la ricorrente si duole del risultato della valutazione operata dal Giudice di appello, compendiata dall’affermazione che “relativamente al carico fiscale ancora in essere…. non sono stati prodotti elementi probanti”, ma questo è problema di stretto merito;

che spese del giudizio di legittimità seguono la soccombenza e sono liquidate come in dispositivo.

PQM

La Corte, rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio che liquida in Euro 4.500,00 per compensi, oltre spese forfettarie nella misura dal 15 per cento ed accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, come modif. dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 21 febbraio 2017.

Depositato in Cancelleria il 31 marzo 2017

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