Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 8415 del 25/03/2021

Cassazione civile sez. VI, 25/03/2021, (ud. 24/02/2021, dep. 25/03/2021), n.8415

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE T

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MOCCI Mauro – Presidente –

Dott. CONTI Roberto Giovanni – Consigliere –

Dott. CAPRIOLI Maura – rel. Consigliere –

Dott. DELLI PRISCOLI Lorenzo – Consigliere –

Dott. CAPOZZI Raffaele – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 30427-2019 proposto da:

AGENZIA DELLE ENTRATE, (OMISSIS), in persona del Direttore pro

tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12,

presso AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che la rappresenta e

difende, ope legis;

– ricorrente –

contro

GRAND HOTEL EUROPA SRL” in persona del legale rappresentante pro

tempore, D.P.G., I.N., elettivamente

domiciliati presso la cancelleria della CORTE DI CASSAZIONE, PIAZZA

CAVOUR, ROMA, tutti rappresentati e difesi dall’Avvocato MARCO

LOMBARDI;

– controricorrenti –

avverso la sentenza n. 86/1/2019 della COMMISSIONE TRIBUTARIA

REGIONALE DEL MOLISE, depositata il 21/01/2019;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 24/02/2021 dal Consigliere Relatore Dott. MAURA

CAPRIOLI.

 

Fatto

Ritenuto che:

La CTR del Molise, con sentenza nr 86/2019, rigettava l’appello proposto dall’Amministrazione finanziaria avverso la pronuncia della CTP di Isernia che aveva accolto i ricorso del Grand Hotel Europa s.r.l. e dei soci D.P.G. e I.N. relativamente ad avvisi di accertamento con cui erano stati recuperati a tassazione nr 3 fatture ritenute afferenti ad operazione inesistenti e un conseguente maggior reddito di partecipazione al capitale in capo ai soci in misura proporzionale alla loro quota.

Il giudice di appello riteneva che dovessero considerarsi indetraibili in quanto privi dei requisiti previsti dall’art. 109 TUIR, la somma di Euro 30.029,21 con conseguente rideterminazione in capo ai soci del reddito di capitale attribuibile ai soci medesimi in relazione alle rispettive quote di partecipazione.

Con riguardo alle fatture emesse da terzi in favore della società osservava che detti documenti fiscali erano state emesse a fronte della reale esecuzione di lavori ed opere a vantaggio della società stessa espressamente indicati e specificati nella fatturazione in oggetto sicchè i costi sostenuti dalla contribuente dovevano considerarsi pienamente deducibili in quanto afferenti ad operazioni reali.

Avverso tale sentenza l’Agenzia delle Entrate proponeva appello sulla base di due motivi cui resistevano Grand Hotel Europa s.r.l. e dei soci D.P.G. e I.N. con controricorso.

Diritto

Considerato che:

Con il primo motivo si deduce la violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 633 del 1972, artt. 19 e 54, nonchè del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 7, comma 4, in combinato disposto con l’art. 2697 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3.

Si duole l’Ufficio che il giudice di appello abbia riconosciuto la sussistenza dei lavori sulla base della sola documentazione contabile costituita dalle fatture sebbene la contribuente non abbia depositato alcun contratto ed in assenza della prova dei pagamenti.

Si sostiene in particolare che alla luce del combinato disposto del D.P.R. n. 633 del 1972, artt. 3 e 19, nonchè del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39, comma 1, lett, D, è onere della contribuente che si avvale della detrazione d’imposta sulle spese sopportate nell’esercizio dell’impresa dimostrare in modo puntuale l’effettiva esecuzione delle prestazioni inerenti l’attività di impresa, circostanze queste che difetterebbero nel caso in esame.

Con un secondo motivo si denuncia la nullità della sentenza per violazione del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 36, comma 2, n. 4 e art. 61, dell’art. 118 c.p.c, dell’art. 111 Cost., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, dell’art. 132 c.p.c., comma 2, n. 4.

Si lamenta che nella specie il giudice sarebbe incorso nel vizio di motivazione apparente in quanto pur presente formalmente è sostanzialmente inesistente risolvendosi in una affermazione apodittica da cui è impossibile desumere l’iter logico attraverso cui il giudice è pervenuto alla decisione.

Va esaminato per evidente priorità logica il secondo motivo in relazione al quale occorre ribadire che: la motivazione è solo apparente, e la sentenza è nulla perchè affetta da “error in procedendo”, quando, benchè graficamente esistente, non renda, tuttavia, percepibile il fondamento della decisione, perchè recante argomentazioni obbiettivamente inidonee a far conoscere il ragionamento seguito dal giudice per la formazione del proprio convincimento, non potendosi lasciare all’interprete il compito di integrarla con le più varie, ipotetiche congetture” (Sez. U, Sentenza n. 22232 del 03/11/2016, Rv. 641526 – 01), -“la riformulazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, disposta dal D.L. 22 giugno 2012, n. 83, art. 54, conv. in L. 7 agosto 2012, n. 134, deve essere interpretata, alla luce dei canoni ermeneutici dettati dall’art. 12 preleggi, come riduzione al “minimo costituzionale” del sindacato di legittimità sulla motivazione. Pertanto, è denunciabile in cassazione solo l’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinente all’esistenza della motivazione in sè, purchè il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali.

Tale anomalia si esaurisce nella “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”, nella “motivazione apparente”, nel “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili” e nella “motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile”, esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di “sufficienza” della motivazione” (Sez. U, Sentenza n. 8053 del 07/04/2014, Cass. n. 20847 del 2020).

La sentenza impugnata non merita affatto cassazione per il dedotto vizio, posto che, comunque, espone la ragione essenziale per la quale ha respinto il gravame della contribuente, individuandola nell’inammissibilità del ricorso introduttivo del giudizio per la mancanza della procura alle liti e della sottoscrizione dell’atto. Si può dunque affermare che la motivazione della sentenza medesima superi la soglia del c.d. “minimo costituzionale”.

Nella specie non vi è motivazione apparente, posto che il giudice di appello ha chiaramente tracciato il percorso motivazionale precisando la fonte del suo convincimento essenzialmente fondato sulle fatture emesse da soggetti terzi a fronte di lavori eseguiti a favore della società contribuenti.

Il motivo va rigettato.

A diverse conclusioni si deve giungere per quel riguarda il primo motivo del ricorso.

La vicenda in esame va esaminata alla luce dei principi in materia di riparto dell’onere della prova ove sia stata contestata alla società contribuente l’illegittimo utilizzo di fatture per operazioni oggettivamente inesistenti.

Sul punto va ricordato che in tema della distribuzione, tra Amministrazione finanziaria e contribuente, dell’onere probatorio, in materia di operazioni oggettivamente inesistenti, questa Corte (Cass. 5/07/2018, n. 17619; conf.: Cass. 04/07/2019, n. 17981), anche di recente, ha avuto modo di precisare che, poichè la fattura, di regola, costituisce titolo per il contribuente, ai fini del diritto alla detrazione dell’IVA (e alla deducibilità dei costi), spetta all’ufficio dimostrare il difetto delle condizioni per l’insorgenza di tale diritto.

Detta dimostrazione può ben consistere in presunzioni semplici, poichè la prova presuntiva non è collocata su un piano gerarchicamente subordinato rispetto alle altre fonti di prova e costituisce una prova completa, alla quale il giudice di merito può attribuire rilevanza anche in via esclusiva ai fini della formazione del proprio convincimento (Cass. 6/06/2012, n. 9108).

Nel caso in cui l’ufficio ritenga che la fattura concerna operazioni oggettivamente inesistenti, cioè sia una mera espressione cartolare di operazioni commerciali mai poste in essere da alcuno, e quindi contesti l’indebita detrazione dell’IVA o come nella specie la deduzione dei costi, ha l’onere di fornire elementi probatori del fatto che l’operazione fatturata non è stata effettuata (ad esempio, provando che la società emittente la fattura è una “cartiera” o una società “fantasma”) e a quel punto passerà sul contribuente l’onere di dimostrare l’effettiva esistenza delle operazioni contestate (Cass. 30/10/2013, n. 24426; Cass. n. 26340 del 2020).

Quest’ultima prova non può consistere, però, nell’esibizione della fattura, nè nella sola dimostrazione della regolarità formale delle scritture contabili o dei mezzi di pagamento adoperati, i quali vengono normalmente utilizzati proprio allo scopo di fare apparire reale un’operazione fittizia (ex multis: Cass. Cass. 14/05/2020, n. 8919, Cass. n. 26790 del 2020; Cass. 3/12/2001, n. 15228, 10/06/2011, n. 12802; Cass. 30/10/2018, n. 27554, Cass. 05/07/2018, n. 17619, Cass. 11/05/2018, n. 11873; Cass. 19/12/2019, n. 33915; Cass. 05/07/2018, n. 17619).

La C.T.R., non si è attenuta alle suaccennate regole in punto di ripartizione, tra Amministrazione e contribuente, dell’onere della prova circa l’inesistenza oggettiva delle operazioni.

Va osservato infatti che, nel suo percorso motivazionale, la pronuncia censurata ha: in primo luogo, considerato(implicitamente che gli elementi presuntivi addotti dall’Agenzia delle entrate fossero idonei all’assolvimento dell’onere di prova su di essa gravante ed in secondo luogo con riferimento alla prova contraria della società, ha ritenuto che la mera produzione delle fatture esibite dalla contribuente fosse sufficiente a dimostrare l’effettiva realizzazione delle opere ivi descritte e ciò malgrado l’Amministrazione finanziaria avesse contestato, come del resto danno atto in sede di controricorso i contribuenti, la natura fittizia delle fatture rilevando che la società appaltante Mi.San costruzione risultasse priva di una stabile organizzazione ed avesse documentato acquisti di materiale per un imponibile pari ad Euro 255,76 e documenti fiscali riguardanti subappaltatori.

Tale ultima prova non può, peraltro, consistere nella mera esibizione della fattura, in quanto espressione cartolare di operazioni commerciali mai realizzate, nè nella sola dimostrazione della regolarità formale delle scritture contabili o dei mezzi di pagamento adoperati, i quali vengono normalmente utilizzati proprio allo scopo di far apparire reale un’operazione fittizia

Alla stregua delle considerazioni sopra esposte il primo motivo va accolto e la decisione impugnata va pertanto cassata e rinviata alla CTR del Molise per un nuovo esame alla luce dei principi sopra enunciati e per la liquidazione delle spese di legittimità.

P.Q.M.

La Corte accoglie il primo motivo, rigettato il secondo cassa la decisione impugnata e rinvia alla CTR del Molise, in diversa composizione per un nuovo esame e per la liquidazione delle spese di legittimità.

Così deciso in Roma, il 24 febbraio 2021.

Depositato in Cancelleria il 25 marzo 2021

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