Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 8415 del 08/04/2010

Cassazione civile sez. lav., 08/04/2010, (ud. 10/03/2010, dep. 08/04/2010), n.8415

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BATTIMIELLO Bruno – Presidente –

Dott. D’AGOSTINO Giancarlo – rel. Consigliere –

Dott. LA TERZA Maura – Consigliere –

Dott. CURCURUTO Filippo – Consigliere –

Dott. TOFFOLI Saverio – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ordinanza

sul ricorso 10226-2009 proposto da:

C.G., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA GERMANICO

168, presso lo studio dell’avvocato LUCA TANTALO, rappresentato e

difeso dagli avvocati DI CARO GAETANO, DI CARO FRANCESCO, giusta

mandato a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

INPS – ISTITUTO NAZIONALE DELLA PREVIDENZA SOCIALE, in Persona del

Presidente e legale rappresentante pro tempore, elettivamente

domiciliato in ROMA, VIA DELLA FREZZA N. 17, presso l’AVVOCATURA

CENTRALE DELL’ISTITUTO, rappresentato e difeso dagli Avvocati RICCIO

ALESSANDRO, NICOLA VALENTE, SERGIO PREDEN, giusta procura in calce al

controricorso;

– controricorrente –

contro

INAIL – ISTITUTO NAZIONALE PER L’ASSICURAZIONE CONTRO GLI INFORTUNI

SUL LAVORO, in persona del Dirigente con incarico di livello

generale, nella qualità di Direttore della Direzione Centrale

Prestazioni, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA IV NOVEMBRE 144,

presso lo studio dell’avvocato LA PECCERELLA LUIGI, che lo

rappresenta e difende unitamente all’avvocato RASPANTI RITA, giusta

procura speciale per atto Notaio Carlo Federico Tuccari di Roma del

21/052/2009, rep. n. 77538, allegata in atti;

– resistente –

avverso la sentenza n. 188/2009 della CORTE D’APPELLO di POTENZA del

5/02/09, depositata il 05/03/2009;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

10/03/2010 dal Consigliere Relatore Dott. GIANCARLO D’AGOSTINO;

udito l’Avvocato Tantalo Luca, (delega avvocato Di Caro Francesco),

difensore del ricorrente che si riporta agli scritti;

è presente il P.G. in persona del Dott. RENATO FINOCCHI GHERSI che

aderisce alla relazione scritta.

 

Fatto

FATTO E DIRITTO

C.G., dipendente della Ferrosud s.p.a. con qualifica di impiegato addetto al personale, con ricorso del 31.3.2003 al Tribunale di Matera chiedeva il riconoscimento del beneficio previdenziale previsto dalla L. n. 257 del 1992, art. 13, comma 8 essendo stato esposto per oltre un decennio al rischio di inalazione di polveri di amianto.

Costituitosi contraddittorio ed espletata l’istruzione con il raccoglimento di alcune testimonianze, il Tribunale rigettava il ricorso.

La Corte di Appello di Potenza, disposta una CTU tecnico-ambientale, con sentenza depositata il 13 marzo 2009, rigettava l’appello del lavoratore.

La Corte riteneva di dover aderire alle conclusioni del CTU, secondo cui il C., per aver svolto attività lavorativa prevalentemente in una palazzina adibita ad uffici e non comunicante con il capannone industriale, per aver prestato la propria attività lavorativa nel capannone solo per tempi limitati e per aver espletato mansioni che non avevano comportato la manipolazione di manufatti contenenti amianto, non era stato esposto per oltre dieci anni e per otto ore giornaliere ad una concentrazione di fibre di amianto superiore a 100 fibre/litro.

Avverso detta sentenza il C. ha proposto ricorso con due motivi con i quali ha denunciato: 1) omessa e insufficiente motivazione per avere il giudice di appello condiviso in modo acritico ed immotivato le considerazioni svolte dal CTU nella relazione peritale, che presentava errori e lacune perchè non aveva tenuto in alcun conto la natura e le caratteristiche delle mansioni svolte dall’appellante, che richiedevano la sua presenza nel capannone industriale non meno di otto ore al giorno; 2) omessa e insufficiente motivazione per avere il giudice di appello omesso di valutare le prove testimoniali raccolte in primo grado e omesso di ammettere i testi a suo tempo indicati dal ricorrente e non sentiti, basando il suo giudizio esclusivamente sulla CTU. L’Inps ha resistito con controricorso. L’Inail ha depositato procura.

Il ricorrente ha depositato memoria.

I motivi di ricorso, da esaminare congiuntamente per la loro connessione, non sono meritevoli di accoglimento.

Secondo la costante giurisprudenza di legittimità il disposto della L. 27 marzo 1992, n. 257, art. 13, comma 8 (come modificato dalla L. n. 271 del 1993, art. 1, comma 1), relativo all’attribuzione di un beneficio contributivo pensionistico ai lavoratori esposti all’amianto per un periodo superiore a dieci anni, va interpretato nel senso che l’esposizione all’amianto che da diritto al beneficio è identificabile con una esposizione ad una concentrazione superiore al valore di 0,1 fibra per centimetro cubo, di cui al D.Lgs. n. 277 del 1991, art. 24, comma 3 (vedi Cass. n. 400/2007, n. 19692/2007, n. 10185/2002 e numerose altre conformi).

Ciò premesso si rileva che i giudizi di carattere tecnico espressi dal CTU e recepiti dal giudice di merito, costituiscono tipici accertamenti in fatto, sindacabili in sede di legittimità solo per vizi di motivazione. Pertanto, qualora il giudice di merito fondi la sua decisione sulle conclusioni del CTU, perchè sussista un vizio di motivazione della sentenza di merito, censurabile in sede di legittimità, è necessario che il ricorrente lamenti o un evidente errore nella rilevazione dei fatti posti a fondamento del giudizio tecnico, o un chiaro contrasto della valutazione tecnica con le regole ed i principi della tecnica generalmente condivisi dalla comunità scientifica, risolvendosi diversamente la censura in un mero dissenso sul piano scientifico, non suscettibile di riesame in sede di legittimità.

Nella specie il ricorrente, che non solleva rilievi di natura tecnico- scientifica alla relazione peritale, lamenta che sia il CTU che il giudice di appello non hanno tenuto presente il tempo di effettiva presenza del C. nel capannone industriale, atteso che, a detta del ricorrente, il suo lavoro si svolgeva prevalentemente (e comunque per otto ore giornaliere) nel capannone e non nella palazzina degli uffici. Lamenta quindi la mancata considerazione delle testimonianze raccolte, dalle quali, a suo dire, si ricaverebbe la prova di quanto affermato. Lamenta, infine, la omessa nuova escussione in appello dei testi già sentiti in primo grado e di quelli non ammessi dal primo giudice.

Le testimonianze raccolte in primo grado, invero, sono state tenute presenti sia dal CTU che dal giudice di appello e le valutazioni espresse in merito alle mansioni svolte ed al tempo di presenza nel capannone sono state adeguatamente motivate. Il non soddisfacente risultato della prova, rispetto alle attese della parte, non giustificava il rifacimento della prova testimoniale nel giudizio di appello.

Per costante giurisprudenza di questa Corte la valutazione delle prove testimoniali e documentali spetta al giudice di merito ed è censurabile in sede di legittimità solo se detta valutazione non è sorretta da motivazione congrua ovvero se la motivazione presenti vizi logici e giuridici; con il ricorso per cassazione non è possibile chiedere al giudice di legittimità una diversa valutazione delle prove, rispetto a quella ritenuta dal giudice di merito, ma soltanto indicare i vizi logici, le contraddizioni e le lacune della motivazione che non consentono di ricostruire l’iter logico che sorregge la decisione, non essendo consentito al giudice di legittimità di procedere ad un nuovo giudizio di merito attraverso l’autonoma valutazione degli atti di causa (cfr. tra le tante Cass. 6064/2008, n. 17076/2007, n. 18214/2006).

Nella specie le valutazioni delle risultanze probatorie operate dal giudice di appello sono congruamente motivate e l’iter logico- argomentativo che sorregge la decisione è chiaramente individuabile, non presentando alcun profilo di manifesta illogicità o insanabile contraddizione. Per contro, le censure mosse dal ricorrente si risolvono sostanzialmente nella prospettazione di un diverso apprezzamento delle stesse prove e delle stesse circostanze di fatto già valutate dal giudice di merito in senso contrario alle aspettative del medesimo ricorrente e si traducono nella richiesta di una nuova valutazione del materiale probatorio, del tutto inammissibile in sede di legittimità.

Il ricorso, pertanto deve essere respinto. Nulla per le spese del giudizio di cassazione a norma dell’art. 152 disp. att. c.p.c. nel testo vigente prima delle modifiche apportate dalla L. n. 326 del 2003.

PQM

La Corte rigetta il ricorso. Nulla per le spese.

Così deciso in Roma, il 10 marzo 2010.

Depositato in Cancelleria il 8 aprile 2010

 

 

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