Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 8413 del 12/04/2011

Cassazione civile sez. VI, 12/04/2011, (ud. 31/03/2011, dep. 12/04/2011), n.8413

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 3

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. FINOCCHIARO Mario – rel. Presidente –

Dott. MASSERA Maurizio – Consigliere –

Dott. SEGRETO Antonio – Consigliere –

Dott. VIVALDI Roberta – Consigliere –

Dott. FRASCA Raffaele – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ordinanza

sul ricorso 10345/2010 proposto da:

S.A. (OMISSIS), S.G.

(OMISSIS), elettivamente domiciliati in ROMA, VIA DELLA

GIULIANA 73, presso lo studio dell’avvocato ANTINUCCI Massimo, che li

rappresenta e difende, giusta procura speciale in calce al ricorso;

– ricorrenti –

contro

REGIONE LAZIO, in persona del Presidente pro tempore, elettivamente

domiciliata in ROMA, VIA MARCANTONIO COLONNA 27, presso l’AVVOCATURA

DELL’ENTE, rappresentata e difesa dall’avvocato FORTE Claudio, giusta

procura speciale a margine del controricorso;

– controricorrente –

e contro

COMUNIONE DELLE ASL DEL LAZIO;

– intimati –

avverso la sentenza n. 3962/2007 della CORTE D’APPELLO di ROMA del

5/10/07, depositata il 23/12/2009;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

31/03/2011 dal Presidente Relatore Dott. MARIO FINOCCHIARO;

è presente il P.G. in persona del Dott. COSTANTINO FUCCI.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO E MOTIVI DELLA DECISIONE

1. E’ stata depositata in cancelleria la seguente relazione, regolarmente comunicata al P.G. e notificata alle parti.

“Il relatore Cons. Dott. Mario Finocchiaro, letti gli atti depositati, osserva:

1. Definendo molteplici giudizi (il primo iniziato nel 1970, l’ultimo nel 1988) pendenti tra S.A., S.M. e SC.Al., da un lato, e il Comune di Roma, nonchè la Comunione delle ASL del Lazio, dall’altro, il tribunale di Roma, sezione specializzata agraria, con sentenza 26 ottobre 2002, determinato l’equo canone per le annate agrarie dal 1970 al 1990 dovuto dai conduttori S., ha condannato S. A., M. e Al. a pagare al comune di Roma Euro 37.454,04 oltre interessi nonchè Euro 67.465,19 oltre interessi nella misura del 9% dalle singole richieste al saldo, dichiarate improponibili le domande del concedente di risoluzione del contratto per inadempimento.

Gravata tale pronunzia in via principale dai soccombenti S. in via incidentale dal Comune di Roma, la Corte di appello di Roma, sezione specializzata agraria con sentenza 5 ottobre 2007 – 23 dicembre 2009 ha rigettato sia l’appello principale che quello incidentale, compensate le spese di lite del grado.

Per la cassazione di tale ultima pronunzia hanno proposto ricorso S.A. e G., affidato a due motivi.

Resiste, con controricorso la Regione Lazio, successore ex lege della Comunione ASL Lazio.

2. Accertato che con sentenza, coperta da giudicato, era stato quantificato il canone dovuto dai conduttori per gli anni dal 1965 al 1970, con riguardo agli anni successivi i giudici di appello – preso atto della intervenuta declaratoria di illegittimità costituzionale della L. 3 maggio 1982, n. 203, artt. 9 e 62 (C. cost. 5 luglio 2002, n. 318) e che non esiste più un regime di equo canone per i fondi rustici – hanno affermato che in attesa che il legislatore intervenga a disciplinare il nuovo canone equo di affitto l’intervento del giudice non può che essere limitato all’ipotesi in cui il canone convenuto tra le parti non assicuri al concedente una remuneratività non irrisoria della rendita e all’affittuario la possibilità di esercizio dell’impresa con il contemperamento degli interessi reciproci.

In applicazione di tale singolare regula iuris i giudici del merito hanno determinato quello che – a loro soggettivo avviso – era il canone equo ritenendo per l’effetto corretta la liquidazione effettuata dal giudice di primo grado, composto anche da esperti agrari e quindi da soggetti dotati di capacità tecnica adeguata, che hanno ritenuto che malgrado il canone determinato dal CTU – prima della sentenza n. 318/82 (recte: n. 318 del 2002 della Corte costituzionale) – fosse da considerarsi irrisorio, lo stesso potesse in ogni caso costituire una base di partenza per operare un aumento degli importi del 20% fino all’annata agraria 1982-83 e del 10% per gli anni successivi, in base a un calcolo presuntivo che tenesse conto della lontananza, nel tempo e della svalutazione intervenuta.

I ricorrenti censurano nella parte de qua la sentenza impugnata denunziando:

– da un lato, determinazione del canone di affitto, in base all’equità. Violazione della L. 3 maggio 1982, n. 203, che non prevede l’applicazione dell’equità; violazione degli artt. 9 e 62 della stessa legge dopo la dichiarazione della loro incostituzionale, applicati dalla ctu condivisa dal giudice (primo motivo);

– dall’altro, rigetto dell’appello principale degli affittuari;

determinazione del canone in base alla equità; violazione degli artt. 23 e 24 e di tutte le altre norme della L. 3 maggio 1982, n. 203, che non prevede il ricorso all’equità; violazione dell’art. 114 c.p.c.; accertamento della vigenza del canone contrattuale per la incostituzionalità delle norme sull’equo canone; violazione dell’art. 1372 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3 (secondo motivo).

3. I due motivi paiono manifestamente fondati.

Successivamente alla sentenza n. 318 del 2002 – dichiarativa della illegittimità costituzionale della L. 27 luglio 1978, n. 392, artt. 9 e 62 – questa Corte regolatrice ha precisato:

nelle sentenze dichiarative dell’illegittimità costituzionale di una norma di legge, la statuizione precettiva avente valore di accertamento costitutivo/estintivo con efficacia erga omnes è contenuta nel dispositivo della sentenza, da ritenersi, peraltro, posto in rapporto di correlazione necessaria con la motivazione tutte le volte in cui soltanto questa ultima consenta di determinare con precisione, al fine di individuare l’esatta portata e il preciso oggetto della pronuncia, quali disposizioni di legge debbano ritenersi caducate, con la conseguenza che, qualora non sussistano dubbi o incertezze, quanto alle predette disposizioni, già dalla lettura del dispositivo della sentenza, è vano invocare il contenuto della motivazione onde inferirne ulteriori o diverse interpretazioni;

– in particolare, il dispositivo della sentenza n. 318 del 2002 della Corte costituzionale, dichiarativa dell’illegittimità costituzionale della L. n. 203 del 1982, artt. 9 e 62, in tema di rapporti agrari, contiene una statuizione, di per sè esaustiva, tale da non consentire all’interprete – al di là ed a prescindere dal contenuto della motivazione della sentenza – la determinazione di un nuovo meccanismo di equo canone d’affitto, essendo divenute prive di effetti sia le tabelle per i canoni di equo affitto così come disciplinate dalla L. n. 203 del 1982, art. 9, sia il criterio, previsto ex lege ai fini della quantificazione del canone stesso, del reddito dominicale risultante dal catasto terreni a norma del R.D.L. n. 589 del 1939, e non esistendo più, per effetto della pronuncia citata – almeno fino ad un nuovo eventuale discrezionale intervento del legislatore -, un regime di equo canone per i fondi rustici (Cass. 17 dicembre 2004, n. 23506; Cass. 20 dicembre 2004, n. 23628).

Tali principi sono stati ribaditi, negli anni successivi, da una giurisprudenza assolutamente pacifica, costante, nell’affermare che per effetto della declaratoria di incostituzionalità di cui alla sentenza della Corte costituzionale n. 318 del 2002, sono divenute prive di effetti sia le tabelle per il canone di equo affitto come disciplinate dalla L. 3 maggio 1982, n. 203, art. 9 e dalle norme da questo richiamate, sia, ai fini della quantificazione del canone stesso, i redditi dominicali stabiliti – ai sensi della L. n. 203 del 1982, art. 62 – a norma del R.D.L. 4 aprile 1939, n. 589, per cui deve ritenersi precluso al giudice sia l’esame, nel merito, di domande formulate ai sensi della L. 11 febbraio 1971, n. 11, art. 28, allorchè dirette ad ottenere la restituzione di somme pagate dal conduttore oltre i “livelli massimi di equità”, sia l’esame (nè per essere accolte perchè fondate, nè per essere rigettate in assenza dei relativi requisiti o per essere dichiarate precluse per intervenuta decadenza) di eventuali domande – comunque denominate – avanzate in forza della L. 12 giugno 1962, n. 567, art. 7 (Cass. 9 aprile 2010, n. 9266. Sempre in questo senso, tra le tantissime:

Cass. 19 novembre 2007, n. 23931; Cass. 14 novembre 2008, n. 27264, che hanno escluso siano esperibili azioni dirette a reclamare somme ulteriori rispetto a quelle già corrisposte, in forza di accordi liberamente intervenuti tra le parti, anche senza l’assistenza delle rispettive organizzazioni professionali agricole; Cass. 5 marzo 2007, n. 5074; Cass. 11 febbraio 2008, n. 3261, secondo le quali è precluso introdurre distinzioni tra contratti stipulati prima del 1988 e contratti intervenuti successivamente, o tra canoni pagati prima della sentenza n. 139 del 1984 e canoni corrisposti successivamente, non rilevando, al fine di invocare la perdurante applicabilità di dette norme ai contratti più risalenti, la circostanza che in precedenza la medesima questione di costituzionalità fosse stata ritenuta infondata da detta sentenza:

pertanto risulta priva di fondamento normativo la domanda di ripetizione, ex art. 28 legge n. 11 del 1971, delle somme corrisposte in eccedenza ai livelli massimi d’equità stabiliti dalle tabelle di equo canone; Cass. 28 luglio 2005, n. 15809, ove il rilievo che il conduttore non può opporre, per resistere alla domanda di risoluzione fondata sul mancato pagamento del canone L. n. 203 del 1982, ex art. 5, di non essere tenuto al pagamento di un canone superiore a quello massimo tabellare opponendo in compensazione i canoni pagati in precedenza in misura superiore a quella una volta legale).

Ha precisato, altresì, questa Corte – in fattispecie analoghe alla presente – che in presenza di una libera quantificazione del canone operata dalle parti, non sussiste il potere, per il giudice, di determinare questo in una misura diversa per adeguarlo a equità, dovendosi, in particolare, dichiarare priva di qualsiasi fondamento l’assunto secondo cui che a seguito della ricordata pronuncia (n. 318 del 2002, della Corte costituzionale) finchè non interverrà una nuova determinazione del canone equo dovuto per l’affitto dei fondi rustici questo deve essere determinato in via equitativa dal giudice (In termini, ad esempio, Cass. 27 giugno 2008, n. 17746).

Non essendosi i giudici del merito i quali hanno reso la loro pronunzia totalmente prescindendo dalla giurisprudenza di questa Corte regolatrice sulla questione specifica attenuti ai ricordati principi – costituenti, al momento, in materia, diritto vivente – la sentenza impugnata deve essere cassata, nella parte in cui ha quantificato il canone dovuto dai conduttori per gli anni successivi al 1970.

La causa va rimessa alla stessa la Corte di appello di Roma, sezione specializzata agraria, in diversa composizione, perchè proceda a un nuovo esame della controversia facendo applicazione del seguente principio di diritto: “per effetto della declaratoria di incostituzionalità di cui alla sentenza della Corte costituzionale n. 318 del 2002, sono divenute prive di effetti sia le tabelle per il canone di equo affitto come disciplinate dalla L. 3 maggio 1982, n. 203, art. 9 e dalle norme da questo richiamate, sia, ai fini della quantificazione del canone stesso, i redditi dominicali stabiliti – ai sensi della L. n. 203 del 1982, art. 62 – a norma del R.D.L. 4 aprile 1939, n. 589, per cui il canone dovuto dalla parte conduttrice è unicamente quello stabilito, liberamente, tra le parti o l’ultimo, giudizialmente accertato con sentenza passata in cosa giudicata anteriormente alla sentenza n. 318 del 2002, senza che sia consentito al giudice – in attesa di una eventuale nuova disciplina della materia – determinare un canone equo in sostituzione di quello voluto dalle parti o in passato accertato dal giudice, ancorchè il canone così determinato pattiziamente o in forza di pronunzia coperta da giudicato non assicuri al concedente una remuneratività non irrisoria della rendita e all’affittuario la possibilità di esercizio dell’impresa con il contemperamento degli interessi reciproci”.

2. Il collegio condivide i motivi in fatto e diritto esposti nella relazione, atteso, da un lato, che unicamente i ricorrenti hanno depositato memoria, adesiva alla sopra trascritta relazione, dall’altro, la puntuale – assolutamente pacifica – giurisprudenza di questa Corte regolatrice richiamata nella detta relazione a fondamento delle conclusioni ivi raggiunte.

Il proposto ricorso, pertanto, deve essere accolto con cassazione della sentenza impugnata, rinvio della causa alla stessa corte di appello di Roma, sezione specializzata agraria, in diversa composizione perchè proceda a un nuovo esame della controversia in applicazione del principio esposto nella relazione nonchè – in relazione all’esito finale della controversia – adotti le statuizioni del caso anche in ordine all’onere delle spese di questo giudizio di cassazione.

P.Q.M.

LA CORTE accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata, rinvia la causa alla stessa Corte di appello di Roma, sezione specializzata agraria, in diversa composizione, anche per le spese di questo giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Sesta Civile – 3, della Corte di Cassazione, il 31 marzo 2011.

Depositato in Cancelleria il 12 aprile 2011

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