Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 8411 del 25/03/2021

Cassazione civile sez. VI, 25/03/2021, (ud. 24/02/2021, dep. 25/03/2021), n.8411

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE T

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MOCCI Mauro – Presidente –

Dott. CONTI Roberto Giovanni – Consigliere –

Dott. CAPRIOLI Maura – rel. Consigliere –

Dott. DELLI PRISCOLI Lorenzo – Consigliere –

Dott. CAPOZZI Raffaele – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 27668-2019 proposto da:

AGENZIA DELLE ENTRATE, (OMISSIS), in persona del Direttore pro

tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12,

presso AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che la rappresenta e

difende, ope legis;

– ricorrente –

contro

B.D.V.M., elettivamente domiciliata in ROMA,

VIALE PARIOLI 43, presso lo studio dell’avvocato FRANCESCO D’AYALA

VALVA, che la rappresenta e difende unitamente all’avvocato REMO

DOMINIO;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 217/3/2019 della COMMISSIONE TRIBUTARIA

REGIONALE DELLA LIGURIA, depositata il 15/02/2019;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 24/02/2021 dal Consigliere Relatore Dott. MAURA

CAPRIOLI.

 

Fatto

Ritenuto che:

Nella controversia concernente l’impugnazione da parte di B.D.V.M. di avvisi di accertamento, D.P.R. n. 600 del 1973, ex art. 32, relativi ad Irpef, Irap ed Iva delle annualità 2007 e 2008, la C.T.R. della Liguria, previa riunione, rigettava gli appelli proposti dalla contribuente avverso le decisioni (sfavorevoli) di primo grado, ribadendo la mancanza di prova contraria alla presunzione di legge da parte della contribuente.

Avverso la sentenza la contribuente proponeva ricorso per cassazione fondato su tre motivi.

L’Agenzia delle Entrate resisteva con controricorso.

Con sentenza nr 19953/2017 la Corte accoglieva parzialmente il ricorso che, contrariamente a quanto ritenuto dal Giudice di merito, grava sull’Amministrazione finanziaria la prova sui presupposti della pretesa impositiva e le presunzioni rinvenienti dal citato art. 32, non riguardano anche la fonte del reddito (ritenuto, nella specie, rinveniente da attività di impresa ai fini dell’IVA e dell’IRAP). Osservava che l’accertamento in fatto, all’uopo effettuato dal Giudice di merito, si dimostra, infatti, irrilevante allo scopo non essendosi neppure individuata la fonte del reddito, ricondotta dalla C.T.R. alternativamente a prestazioni di tipo lavorativo o comunque a collaborazioni professionali.

Rilevava poi che le operazioni bancarie di versamento, ai fini dell’Irpef, hanno valore presuntivo di reddito nei confronti di tutti i contribuenti con conseguente legittimità sul punto dell’avviso di accertamento impugnato. Ciò posto, in materia, la giurisprudenza di questa Corte è consolidata (cfr. tra le tante di recente Cass. n. 15857 del 29/07/2016) nel senso che “in tema di accertamento delle imposte sui redditi, qualora l’accertamento effettuato dall’ufficio finanziario si fondi su verifiche di conti correnti bancari, l’onere probatorio dell’Amministrazione è soddisfatto, secondo il D.P.R. n. 600 del 1973, art. 32, attraverso i dati e gli elementi risultanti dai conti predetti, determinandosi un’inversione dell’onere della prova a carico del contribuente, il quale deve dimostrare, con una prova non generica ma analitica per ogni versamento bancario, che gli elementi desumibili dalla movimentazione bancaria non sono riferibili ad operazioni imponibili”.

Sottolineava che la Commissione tributaria regionale non applicava correttamente la normativa di riferimento, come interpretata da questa Corte, laddove ancorava il suo ragionamento alla diversa giurisprudenza formatasi in materia di redditometro.

Il giudice veniva riassunto dalla contribuente con ricorso del 14.9.2017 avanti alla CTR della Liguria.

Si costituiva l’Agenzia delle Entrate istando per la conferma della residua pretesa.

Con sentenza nr 217/2019 il Giudice di appello annullava l’accertamento rilevando che l’accertamento non avesse considerato la provenienza delle diverse somme elargite dal coniuge e da un amico considerandole come proventi di una fittizia attività imprenditoriale mentre il contribuente aveva dimostrato il carattere di esenzione fiscale.

Avverso tale sentenza l’Agenzia delle Entrate propone ricorso per cassazione affidato a due motivi cui resiste con controricorso la contribuente.

Diritto

Considerato che:

Con il primo motivo si denuncia la nullità della sentenza per violazione del D.Lgs. n. 1992 nr 546, art. 36, comma 2, n. 4 e art. 61, dell’art. 118 c.p.c., dell’art. 111 Cost., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, dell’art. 132 c.p.c., comma 2, n. 4.

Si rileva che l’esame dei passaggi motivazionali non consentono di ravvisare le effettive ragioni in base alle quali la CTR è giunta alla conclusione che l’onere della prova concernente la provenienza delle somme transitate sul conto corrente della contribuente sia stato assolto dalle parti onerate.

Si lamenta che il giudice del gravame ponga apoditticamente a base del suo ragionamento non l’esame delle premesse fattuali confrontate con il paradigma normativo ma direttamente la conclusione senza la necessaria esplicazione del processo cognitivo attraverso il quale è passato dalla situazione di iniziale dibattito sui fatti alla situazione finale costituita dal giudizio che rappresenta il necessario contenuto valutativo della motivazione stessa.

Con il secondo motivo si duole della violazione dell’art. 384 c.p.c., comma 2, e della falsa applicazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 32, comma 1, n. 2), e del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 51, comma 2, n. 2.

Si sostiene che la decisione non si sarebbe conformata ai principi di diritto enunciati nella decisione della Suprema Corte omettendo di svolgere quegli accertamenti richiesti dall’ordinanza di rinvio che riguardava la prova della provenienza del reddito della contribuente e non la legittimità dei versamenti bancari.

E’ principio consolidato di questa Corte che ricorre il vizio di omessa o apparente motivazione della sentenza allorquando il giudice di merito omette di indicare, nel contenuto della sentenza gli elementi da cui ha desunto il proprio convincimento ovvero, pur individuando questi elementi, non procede ad una loro disamina logico-giuridica, tale da lasciar trasparire il percorso argomentativo seguito (cfr. Sez:. 6-5, Ordinanza n. 9105 del 07/04/2017, Rv. 643793-01, che richiama Cass. n. 16736 del 2007 e da permettere un adeguato controllo sull’esattezza e logicità del suo ragionamento (con riferimento all’ipotesi della conferma della sentenza impugnata, cfr. Cass., sent. 14786/2016).

Nel caso di specie il giudice regionale ha dedicato 4 righe, nelle quali non si evince neppure induttivamente quale percorso logico sia stato compiuto per pervenire alla decisione che risulta, in definitiva, intellegibile.

La sentenza in oggetto è illegittima, per carenza di motivazione, in quanto il giudice di merito non ha compiuto alcuna disamina logico-giuridica degli elementi da cui ha desunto il proprio convincimento.

L’accoglimento del ricorso, nei termini delineati, comporta la cassazione della sentenza impugnata, con rinvio alla Commissione tributaria regionale della Lombardia, in diversa composizione, perchè proceda ad un nuovo esame della controversia.

P.Q.M.

La Corte accoglie il ricorso; cassa la decisione impugnata e rinvia alla CTR della Lombardia, in diversa composizione, per un nuovo esame e per la liquidazione delle spese di legittimità.

Così deciso in Roma, il 24 febbraio 2021.

Depositato in Cancelleria il 25 marzo 2021

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