Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 8406 del 25/03/2021
Cassazione civile sez. VI, 25/03/2021, (ud. 10/02/2021, dep. 25/03/2021), n.8406
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SESTA CIVILE
SOTTOSEZIONE T
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. GRECO Antonio – Presidente –
Dott. ESPOSITO Antonio Francesco – Consigliere –
Dott. CATALDI Michele – Consigliere –
Dott. CROLLA Cosmo – Consigliere –
Dott. LO SARDO Giuseppe – rel. Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 35069/2019 R.G., proposto da:
l’Agenzia delle Entrate, con sede in Roma, in persona del Direttore
Generale pro tempore, rappresentata e difesa dall’Avvocatura
Generale dello Stato, con sede in Roma, ove per legge domiciliata;
– ricorrente –
contro
la “CIVITAVECCHIA FRUIT & FOREST TERMINAL S.p.A.”, con sede in
Roma, in persona degli amministratori pro tempore, rappresentata e
difesa dall’Avv. Ciro Papale, con studio in Roma, ove elettivamente
domiciliata, giusta procura in allegato al controricorso di
costituzione nel presente procedimento;
– controricorrente –
avverso la sentenza depositata dalla Commissione Tributaria Regionale
del Lazio il 17 aprile 2019 n. 2419/05/2019, non notificata;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non
partecipata (mediante collegamento da remoto, ai sensi del D.L. 28
ottobre 2020, n. 137, art. 23, comma 9, convertito nella L. 18
dicembre 2020, n. 176, con le modalità stabilite dal decreto reso
dal Direttore Generale dei Servizi Informativi ed Automatizzati del
Ministero della Giustizia il 2 novembre 2020) del 10 febbraio 2021
dal Dott. Giuseppe Lo Sardo.
Fatto
RILEVATO
che:
L’Agenzia delle Entrate ricorre per la cassazione della sentenza depositata dalla Commissione Tributaria Regionale del Lazio il 17 aprile 2019 n. 2419/05/2019, non notificata, la quale, in controversia avente ad oggetto l’impugnazione di avviso di classamento e attribuzione di rendita catastale a seguito di procedura “DOCFA” in relazione ad immobili detenuti in regime di concessione demaniale nell’area portuale di (OMISSIS), ha rigettato l’appello proposto dalla medesima nei confronti della “CIVITAVECCHIA FRUIT & FOREST TERMINAL S.p.A.” avverso la sentenza depositata dalla Commissione Tributaria Provinciale di Roma col n. 11279/42/2017, con condanna alla rifusione delle spese giudiziali. La Commissione Tributaria Regionale ha confermato la decisione di prime cure sul presupposto che l’amministrazione finanziaria non avesse provato la destinazione ad autonoma attività commerciale degli immobili detenuti dalla contribuente in regime di concessione demaniale. La “CIVITAVECCHIA FRUFT & FOREST TERMINAL S.p.A.” si è costituita con controricorso. Ritenuta la sussistenza delle condizioni per definire il ricorso ai sensi dell’art. 380-bis c.p.c., la proposta formulata dal relatore è stata notificata ai difensori delle parti con il decreto di fissazione dell’adunanza della Corte. In vista dell’odierna adunanza non sono state presentate memorie.
Diritto
CONSIDERATO
che:
Con unico motivo, si denuncia violazione e falsa applicazione del R.D.L. 13 aprile 1939, n. 652, convertito, con modificazioni, nella L. 11 agosto 1939, n. 1249, del D.Lgs. 8 aprile 1948, n. 514, del D.P.R. 1 dicembre 1949, n. 1142, del D.L. 14 marzo 1988, n. 70, art. 11, convertito, con modificazioni, nella L. 13 maggio 1988, n. 154, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, per aver erroneamente ritenuto che la destinazione degli immobili detenuti dalla contribuente in regime di concessione demaniale per lo stoccaggio delle merci in transito nel porto di (OMISSIS) nell’ambito dell’esercizio di un’attività imprenditoriale consentisse la classificazione catastale in categoria “E/1”.
Ritenuto che:
1. Preliminarmente, si deve disattendere (almeno in parte) l’eccezione di inammissibilità del ricorso per carenza di autosufficienza.
1.1 Invero, al di là del vago e generico riferimento al testo integrale del R.D.L. 13 aprile 1939, n. 652, convertito, con modificazioni, nella L. 11 agosto 1939, n. 1249, del D.Lgs. 8 aprile 1948, n. 514 e del D.P.R. 1 dicembre 1949, n. 1142, di per sè inidoneo a soddisfare l’onere di puntuale indicazione delle norme asseritamente violate (tra le altre: Cass., Sez. Lav., 21 agosto 2020, n. 17570), il motivo contiene, comunque, un autonomo e specifico richiamo al D.L. 14 marzo 1988, n. 70, art. 11, convertito, con modificazioni, nella L. 13 maggio 1988, n. 154 (in materia di classamento degli immobili urbani), rispetto al quale la complessiva doglianza è meritevole di scrutinio.
1.2 Ciò detto, il motivo è fondato.
Come è noto, in tema di classamento di immobili, qualora l’attribuzione della rendita catastale avvenga a seguito della cd. procedura DOCFA, l’obbligo di motivazione del relativo avviso è soddisfatto con la mera indicazione dei dati oggettivi e della classe attribuita solo se gli elementi di fatto indicati dal contribuente non siano stati disattesi dall’Ufficio e l’eventuale discrasia tra rendita proposta e rendita attribuita derivi da una valutazione tecnica sul valore economico dei beni, mentre nel caso in cui vi sia una divergente valutazione degli elementi di fatto indicati dal contribuente, la motivazione deve essere più approfondita e specificare le differenze riscontrate sia per consentire il pieno esercizio del diritto di difesa del contribuente, sia per delimitare l’oggetto dell’eventuale contenzioso.
1.3 In particolare, la classificazione in categoria “E” (che ha riguardato l’immobile destinato a cella frigorifera per lo stoccaggio di prodotti agroalimentari) è tipica di quegli immobili (stazioni, ponti, fari, edifici di culto, cimiteri, ecc..) con una marcata caratterizzazione tipologico-funzionale, costruttiva e dimensionale che li rendono sostanzialmente incommerciabili ed estranei ad ogni logica di commercio e di produzione industriale.
Una conferma di tale impostazione si rinviene nel D.L. 3 ottobre 2006, n. 262, art. 2, comma 40, convertito, con modificazioni, nella L. 24 novembre 2006, n. 286, a tenore del quale: “Nelle unità immobiliari censite nelle categorie catastali E/1, E/2, E/3, E/4, E/5, E/6 ed E/9 non possono essere compresi immobili o porzioni di immobili destinati ad uso commerciale, industriale, ad ufficio privato ovvero ad usi diversi, qualora gli stessi presentino autonomia funzionale e reddituale”.
Secondo detta impostazione, per un corretto censimento catastale degli immobili ubicati in un’area portuale non può essere utilizzato il criterio formale ed astratto della localizzazione, ma è necessario accertare lo svolgimento dell’attività secondo parametri imprenditoriali. A tale riguardo è irrilevante che le attività “portuali” siano di pubblico interesse. L’interesse generale allo svolgimento dell’attività non esclude, infatti, che quest’ultima sia esercitata secondo criteri economici tipici dell’impresa commerciale.
A supporto delle suesposte osservazioni va segnalato il recente orientamento, formatosi proprio con riferimento alle aree portuali scoperte e coperte, che ha avuto modo di tenere distinto il fenomeno dell’impresa esercente attività portuale (quindi, lucrativa) dallo svolgimento di un servizio pubblico, che è proprio, nell’attuale fase, dell’autorità di vigilanza del settore. Ciò in quanto la L. 28 gennaio 1994, n. 84, art. 21, comma 1, lett. a, eliminando la riserva, a favore delle compagnie portuali e dei gruppi portuali, delle operazioni di sbarco, di imbarco e di maneggio delle merci, in attuazione sia del principio della libertà di iniziativa economica ex art. 41 Cost., comma 1, sia del principio comunitario di libera concorrenza, ha imposto la trasformazione in società delle compagnie e dei gruppi portuali “per l’esercizio in condizioni di concorrenza delle operazioni portuali” (tra le altre: Cass. Sez. 5, 17 aprile 2019, n. 10674; Cass., Sez. 5, 17 settembre 2019, n. 23067).
Per cui, anche in ambito portuale, si delinea una vera e propria incompatibilità tra la classificazione in categoria “E”, da un lato, e la destinazione dell’immobile ad uso commerciale o industriale, dall’altro lato. Tale incompatibilità vale, non avendo rilievo, per tale specifico ambito – di cui si discute, il criterio della mera localizzazione in area adibita a servizio pubblico (stazione o terminai), dovendosi invece fare applicazione del diverso criterio di funzione o attività, così da escludersi la categoria in questione in presenza di autonomia funzionale e reddituale derivante dall’impiego dell’area per scopi imprenditoriali di natura commerciale, industriale, d’ufficio privato e simili. Così, la (pacifica) natura di pubblico interesse dell’attività di trasporto e di stazione marittima non può, neppur essa, ritenersi dirimente nell’assegnazione della categoria in questione, dal momento che non è escluso che il relativo servizio sia in concreto esercitato secondo modalità economiche e remunerative tipiche dell’impresa commerciale. Nè la circostanza che si tratti di attività svolte in forza di concessione d’uso di aree demaniali (come è consentito dall’art. 36 c.n.) esclude, di per sè, che queste ultime vengano assoggettate a forme di sfruttamento economico ed imprenditoriale con autonomia funzionale e reddituale (Cass., Sez. 5, 30 ottobre 2020, n. 24075).
L’esercizio da parte di una compagine sociale in forma concorrenziale dell’attività commerciale comporta il necessario utilizzo dei siti demaniali dati in concessione senza i quali non potrebbero svolgersi tutte quelle operazioni (carico, scarico, stoccaggio ecc.) destinate al servizio portuale.
L’autonomia funzionale e reddituale comporta, quindi, che i locali magazzini destinati ad uso commerciale e/o industriale non possano essere classati in categoria “E”.
1.3 Questo indirizzo interpretativo non viene meno per effetto della L. 27 dicembre 2017, n. 205, art. 1, comma 578 (norma fatta oggetto di istruzioni applicative con circolare emessa dall’Agenzia delle Entrate il 2 luglio 2019 n. 16/E), secondo cui le banchine, le aree portuali scoperte ed i relativi depositi strettamente funzionali (in base all’autorizzazione rilasciata dall’autorità portuale) alle operazioni ed ai servizi portuali non doganali “costituiscono immobili a destinazione particolare, da censire in catasto nella categoria E/1, anche se affidati in concessione a privati”.
Si tratta infatti di disposizione espressamente valevole (a conferma della legittimità del diverso regime precedentemente operante) solo per il futuro e, segnatamente, con decorrenza dal 1 gennaio 2020; così come solo da questa stessa data prendono effetto le procedure eventualmente intraprese dagli interessati per ottenere l’aggiornamento e la revisione di rendita delle diverse categorie catastali precedentemente attribuite ai beni in questione (L. 27 dicembre 2017, n. 205, art. 1, comma 579)(Cass., Sez. 5, 30 dicembre 2019, n. 34663; Cass., Sez. 5, 30 ottobre 2020, n. 24075).
1.4 Nella specie, la sentenza impugnata ha fatto malgoverno dei principi enunciati sul piano della corretta sussunzione della fattispecie concreta nel paradigma normativo.
Difatti, pur avendo accertato che la contribuente operava con fini di lucro, secondo un “carattere comune di tutte le imprese che svolgono servizi portuali, i quali mantengono tale connotazione anche quando per il loro svolgimento siano adibiti particolari impianti, come possono essere le celle frigorifere esistenti nei magazzini di stoccaggio ai fini della conservazione delle merci alimentari”, il giudice di appello non ne ha tratto le dovute implicazioni sul piano della disciplina del classamento catastale, ma si è limitato a dare rilevanza alla (in verità, ininfluente) carenza di prova dell’esercizio di un’attiva “diversa e/o ulteriore rispetto a quella di stoccaggio delle merci che transitano nel porto”, sull’erroneo presupposto che essa debba consistere in “un’autonoma attività commerciale dei prodotti medesimi” e non possa desumersi dallo svolgimento del servizio portuale con scopo lucrativo.
2. Alla stregua delle precedenti argomentazioni, il ricorso può essere accolto e la sentenza impugnata deve essere cassata con rinvio per nuovo esame alla Commissione Tributaria Regionale del Lazio, in diversa composizione, anche per le spese del giudizio di legittimità.
PQM
La Corte accoglie il primo motivo, rigetta il secondo motivo, cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e rinvia alla Commissione Tributaria Regionale del Lazio, in diversa composizione, anche per le spese del giudizio di legittimità.
Così deciso in Roma, nell’adunanza camerale effettuata da remoto, il 10 febbraio 2021.
Depositato in Cancelleria il 25 marzo 2021