Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 8400 del 26/03/2019

Cassazione civile sez. II, 26/03/2019, (ud. 06/11/2018, dep. 26/03/2019), n.8400

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. D’ASCOLA Pasquale – Presidente –

Dott. PICARONI Elisa – Consigliere –

Dott. TEDESCO Giuseppe – Consigliere –

Dott. SCARPA Antonio – rel. Consigliere –

Dott. CRISCUOLO Mauro – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 22102-2014 proposto da:

M.M., S.L., S.V., S.A.,

S.M., S.B., elettivamente domiciliati in ROMA, VIA G.

FERRARI 11, presso lo studio dell’avvocato ALDO PINTO, rappresentati

e difesi dall’avvocato MARIO SALTALAMACCHIA;

– ricorrenti –

contro

S.P., elettivamente domiciliata in ROMA, VIALE PASTEUR 56,

presso lo studio dell’avvocato MARIO CORLETO, rappresentata e difesa

dall’avvocato LUCA PISCIONE;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 1450/2014 della CORTE D’APPELLO di NAPOLI,

depositata il 16/06/2014;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

06/11/2018 dal Consigliere Dott. ANTONIO SCARPA;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

DEL CORE Sergio, il quale ha concluso per il rigetto del ricorso, o

in subordine per l’accoglimento del secondo e del quinto motivo di

ricorso ed il rigetto dei restanti motivi;

uditi l’Avvocato Luca Saltalamacchia, per delega dell’Avvocato Mario

Saltalamacchia, e l’Avvocato Piscione.

Fatto

FATTI DI CAUSA

M.M., S.A., S.L., S.V., S.M. e S.B. propongono ricorso articolato in sei motivi avverso la sentenza n. 1450/2014 della Corte d’Appello di Napoli, depositata il 16 giugno 2014.

Resiste con controricorso S.P..

Le parti hanno presentato memorie ai sensi dell’art. 378 c.p.c.. Il giudizio attiene allo scioglimento della comunione ereditaria del defunto So.An., introdotto con citazione del 14 gennaio 2004 dalla coniuge del de cuius M.M., nonchè dalle figlie S.A., L., V., M. e B., le quali convennero davanti al Tribunale di Napoli l’unica restante erede S.P.. Il Tribunale, dopo aver pronunciato con sentenza del 23 maggio 2006 sulle domande di simulazione e di riduzione di S.P., definì la causa con sentenza n. 7534/2009, attribuendo porzioni pari ad 1/3 della massa a M.M. e pari ad 1/9 a ciascuna delle sei figlie, con attribuzione a M.M., in parte congiuntamente a S.A., L., V. e B. ed in parte congiuntamente a S.M., del complesso immobiliare di (OMISSIS), ritenuto non comodamente divisibile, disponendosi altresì conguagli in denaro e restituzioni in favore di S.P..

Sull’appello di M.M., nonchè di S.A., L., V., M. e B., la Corte d’Appello di Napoli pronunciò prima sentenza non definitiva n. 1328/2012 del 12 aprile 2012, con cui dichiarava precluso l’accertamento della proprietà del vano in piano terra in uso a S.M. e rigettava il quinto motivo di gravame; quindi, con sentenza n. 1450/2014, la Corte d’Appello accolse in parte l’impugnazione, attribuendo in proprietà esclusiva a M.M. il box auto di (OMISSIS), ed a S.M. porzione al primo piano (descritta sub E della CTU del 5 marzo 2013) dell’appartamento di cui al medesimo complesso immobiliare, ordinando a M.M. di versare il conguaglio di Euro 58.111,11 in favore di S.P., nonchè a M.M. ed a S.M. di versare altro conguaglio in favore di S.A., L., V. e B., con compensazione delle spese processuali.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

I. Il primo motivo di ricorso denuncia la violazione dell’art. 1103 c.c. e la falsa applicazione dell’art. 1105 c.c.: si censura il rigetto del quinto motivo di appello, contenuto nella sentenza non definitiva n. 1328/2012, che aveva ad oggetto la statuizione della sentenza n. 7534/2009 con cui le attrici erano state condannate in solido a restituire a S.P. la somma di Euro 4.373,72, oltre interessi, pari alla quota dei frutti civili spettanti a quest’ultima derivanti dal contratto di locazione del 1 marzo 2000, contratto che vedeva quale conduttrice proprio S.P.. Ad avviso delle ricorrenti, la locazione aveva ad oggetto le singole quote delle altre coeredi, e non l’intero immobile. Circa la decorrenza della locazione e il conseguente ammontare dei canoni percepiti dalle coeredi locatrici, le ricorrenti si dolgono dell’irrituale deposito della sentenza inter partes n. 4706/2009 del Tribunale di Napoli.

I.1. Il primo motivo di ricorso rivela profili di inammissibilità ed è comunque infondato. Le ricorrenti invocano una diversa interpretazione del contratto di locazione intercorso tra le parti rispetto a quella prescelta dai giudici di merito, senza peraltro accompagnare i rilievi contenuti nel ricorso, in ossequio all’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6, con la specifica indicazione delle clausole negoziali individuative dell’effettiva volontà delle parti, al fine di consentire a questa Corte di verificare l’erronea applicazione della disciplina normativa. I giudici del merito, con apprezzamento di fatto, hanno ritenuto le ricorrenti coeredi, agli effetti dell’art. 723 c.c., tenute a corrispondere a S.P. pro quota i frutti ricavati dalla gestione dell’immobile comune mediante locazione concessa alla stessa controricorrente, intendendo locato l’intero bene sin dalla data accertata di inizio del rapporto. Nella sentenza n. 1328/2012, la Corte d’Appello reputò, in particolare, “di per sè non persuasivo” l’argomento fondato sul dato letterale della indicazione in contratto delle locatrici come “eredi So.An.” e della conduttrice S.P. come “coerede”, mancando ogni riferimento all’entità del canone pattuito come sommatoria delle quote individuali. Così la sentenza n. 1328/2012 presunse che l’importo del canone corrispondesse all’intero valore locativo dell’immobile. Parimenti, i giudici di appello evidenziarono, quanto alla decorrenza della locazione, come la circostanza che la stessa risalisse all’epoca del decesso del comune dante causa non fosse stata oggetto di specifica contestazione, benchè dedotta dalla convenuta già nella sua comparsa di costituzione, oltre che emergente dalla sentenza resa dal Tribunale di Napoli il 27 aprile 2009 nel giudizio di sfratto intercorso tra le medesime parti. Di tal che, il contratto del 1 marzo 2000 si rivelava nuovo per i giudici di appello soltanto quanto alla durata, rispetto però ad un rapporto di locazione già in essere sin dalla morte di So.An..

Costituisce, allora, accertamento di fatto riservato ai giudici di merito, sindacabile in cassazione soltanto nei limiti di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, la valutazione (nella specie operata dalla Corte d’Appello) se la locazione di un bene oggetto di comproprietà sia stata concessa dal comunista locatore al conduttore, a sua volta comproprietario, nell’esercizio del potere di amministrazione della cosa comune nella sua interezza, attribuito dall’art. 1105 c.c., ovvero in rapporto alla sola quota ideale del bene comune, come consentito dall’art. 1103 c.c., in forza del quale gli atti dispositivi della quota medesima e la amministrazione di essa riguardano il singolo titolare (cfr. Cass. Sez. 2, 02/04/1965, n. 575; Cass. Sez. 3, 05/01/2005, n. 165; Cass. Sez. 3, 28/09/2000, n. 12870). In ordine alla decorrenza del rapporto di locazione, le ricorrenti non si contrappongono all’autonoma ratio decidendi adoperata dai giudici di appello, in ordine alla mancata contestazione dell’allegazione difensiva della convenuta, secondo cui lo stesso rapporto aveva avuto inizio dal momento della morte di So.An., così rendendosi inadempienti all’onere su loro gravante, ex art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6, di indicare se e quando, nel corso dello svolgimento processuale, tale fatto era stato contestato. Inoltre, la Corte d’Appello ha fatto richiamo della sentenza n. 4706/2009 del 27 aprile 2009 del Tribunale di Napoli per ritenere dimostrata l’epoca di insorgenza della locazione, come se si trattasse di un giudicato esterno, il quale è rilevabile d’ufficio ed utilizzabile dal giudice qualora emerga da atti comunque prodotti nel corso del giudizio, indipendentemente dalle regole relative alle preclusioni delle produzioni documentali.

II. Il secondo motivo di ricorso denuncia la violazione degli artt. 540 c.c., comma 2 e art. 581 c.c., avendo la Corte d’Appello di Napoli, nella sentenza n. 1450/2014, affermato che alcun motivo di appello era stato formulato per valutare il diritto di abitazione spettante alla coniuge superstite M.M., mentre solo in conclusionale era contenuto un riferimento a tale profilo. Le ricorrenti deducono che nessun capo della sentenza del Tribunale aveva statuito con riguardo a tale diritto di abitazione, sicchè alcuna impugnazione doveva essere svolta sul punto e il diritto in questione, in quanto prelegato ex lege, doveva essere riconosciuto pur in difetto di domanda.

II.1. Anche questo secondo motivo è privo di fondamento.

E’ vero che questa Corte ha affermato che il diritto di abitazione ed uso, ai sensi dell’art. 540 c.c., comma 2, è devoluto al coniuge del “de cuius” in base ad un meccanismo assimilabile al prelegato “ex lege”, sicchè la concreta attribuzione dello stesso non è subordinata alla domanda del coniuge, cui il diritto medesimo deve essere riconosciuto nell’ambito della controversia avente ad oggetto lo scioglimento della comunione ereditaria – senza necessità di espressa richiesta (Cass. Sez. 2, 31/07/2013, n. 18354).

Ove tuttavia, come nel caso in esame, il giudice di primo grado abbia disposto la divisione di una comunione ereditaria tra i coeredi senza detrarre il valore capitale dei diritti di abitazione sulla casa adibita a residenza familiare e di uso sui mobili che la corredano, spettanti al coniuge superstite, in aggiunta alla quota attribuita dagli artt. 581 e 582 c.c.(secondo quanto indicato da Cass. Sez. U, 27/02/2013, n. 4847), l’attribuzione dello stesso diritto di abitazione ad opera del giudice di appello rimane impedita dalle preclusioni determinatesi nel processo e, in particolare, da quella derivante dal giudicato interno formatosi per effetto della mancata impugnazione, mediante specifico motivo ex art. 342 c.p.c., avverso la decisione implicita negativa sul punto, donde l’inammissibilità di una doglianza formulata, come avvenuto nel caso in esame, per la prima volta nella comparsa conclusionale depositata al termine del giudizio di gravame.

III. Il terzo motivo di ricorso denuncia la violazione dell’art. 726 c.c., per la non corrispondenza della stima dei beni eseguita all’effettivo valore di mercato dei beni da dividersi.

III.1. Il terzo motivo di ricorso è infondato.

La Corte d’Appello di Napoli ha dato atto di come il CTU nominato nel corso del giudizio di appello avesse stimato i beni compresi nella massa ereditaria facendo riferimento alle proposte di vendita di immobili similari ed ai prezzi praticati in precedenti vendite o divisioni. Il valore di Euro 2.150/mq indicato dall’ausiliare era stato ribassato ad Euro 2.050/mq sulla base delle osservazioni del consulente di parte delle appellanti, e poi abbattuto in percentuali diverse per i box auto-deposito, la cantinola e gli appartamenti in rapporto alle condizioni di manutenzione ed alla posizione. I giudici di appello hanno altresì indicato le ragioni dell’adesione prestata alla stima peritale, tenendo conto pure delle osservazioni dei consulenti di parte e della valutazione, infine disattesa, computa dal primo CTU.

Le ricorrenti contestano l’attendibilità delle indagini compiute dal CTU e delle relative risultanze. Tuttavia, la scelta del criterio tecnico da utilizzare in ciascuna fattispecie per determinare il valore venale delle varie quote e dei singoli beni che formano oggetto della divisione, a norma dell’art. 726 c.c., con riguardo a natura, ubicazione, consistenza e possibile utilizzazione di ciascun bene, tenuto conto anche delle condizioni di mercato (ovvero, come nella specie, dei prezzi medi praticati sul mercato delle vendite di immobili aventi uguali caratteristiche), rientra nell’esclusivo potere del giudice del merito, salvo il controllo di fatto in sede di legittimità nei limiti di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 (Cass. Sez. 2, 12/05/1979, n. 2747; Cass. Sez. 2, 10/11/1980, n. 6035). Tale stima, una volta acquisita al processo mediante consulenza tecnica ed assunta ed assorbita nella sentenza che delinea l’operazione divisionale, non può certamente essere censurata in sede di legittimità contrapponendovi, come fanno le ricorrenti, difformità tra la valutazione del perito e le argomentazioni difensive della parte.

IV. Il quarto motivo di ricorso deduce la violazione dell’art. 720 c.c., art. 2826 c.c. e L. n. 52 del 1985 art. 29, comma 1, bis. Si assume che la sentenza n. 1450/2014 impugnata non individui esattamente, con i relativi dati catastali e planimetrici, la porzione “di circa 50 mq oltre balcone di circa 8,50 mq”, da scorporarsi dall’appartamento al primo piano assegnata a S.M.. Vi sarebbe perciò un errore nella “parte punteggiata della planimetria” considerata dal CTU rispetto allo stato attuale del vano da distaccarsi.

IV.1. Questo quarto motivo di ricorso rivela profili di inammissibilità ed è comunque infondato. Le ricorrenti, sotto la cornice di una rubrica di vizio di violazione di norme di diritto, ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, richiedono in realtà alla Corte di cassazione di accertare in fatto un’erronea ricognizione, da parte del provvedimento impugnato, della individuazione della reale consistenza di una porzione immobiliare oggetto di assegnazione ad uno dei condividenti, il che attiene alla tipica valutazione di fatto spettante al giudice di merito, la cui censura è possibile, in sede di legittimità, soltanto nei limiti e con le forme di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, come errore di giudizio, ovvero in sede di revocazione, se si rappresenti un errore del giudice derivante da una falsa percezione della realtà emergente in maniera inequivocabile dagli atti e documenti di causa. Sulla questione dell’erronea indicazione dei dati catastali e planimetrici della porzione da scorporare, oggetto di assegnazione a S.M., ovvero sulla circostanza della inidonea planimetria utilizzata dal CTU (di cui si discute in particolare alle pagine 16 e ss. di ricorso ed ancora alle pagine 5 e ss. della memoria ex art. 378 c.p.c.) ha data risposta l’ordinanza ex art. 288 c.p.c., del 16 giugno 2014 pronunciata dalla Corte d’Appello di Napoli. Come peraltro da questa Corte recentemente ribadito, i profili attinenti al frazionamento catastale ed alla conseguente mancata trascrivibilità della sentenza di divisione attengono alla redazione del documento tecnico indicante in planimetria le particelle catastali, al fine della voltura catastale, ma non rivestono rilievo quali violazioni di norme di diritto incidenti sullo scioglimento della comunione. La redazione dei documenti, necessari alla trascrizione dei diritti nascenti dalla sentenza, può del resto avvenire pure in sede stragiudiziale, sulla base di un accordo tra le parti, senza impedire l’attribuzione giudiziale delle quote a ciascuno dei condividenti. Nè, altrimenti, l’emanazione di una sentenza dichiarativa di scioglimento di una comunione di fabbricati relativi ad unità immobiliari urbane può essere subordinata alla preventiva corretta identificazione catastale delle porzioni ed al riferimento alle planimetrie depositate in catasto (Cass., Sez. 2, 14/12/2017, n. 30073).

V. Il quinto motivo di ricorso deduce la violazione degli artt. 1124 e 728 c.c., per aver la sentenza impugnata n. 1450/2014 stabilito la decorrenza e la misura degli interessi sulle somme determinate a titolo di conguaglio come indicate dalla sentenza di primo grado, non risultando sul punto proposto appello. Le ricorrenti oppongono che, poichè i conguagli sono stati rideterminati con la sentenza d’appello del 2 aprile 2014, gli interessi non potevano farsi decorrere da data anteriore (ovvero, dalla sentenza di primo grado), essendo altrimenti “come se il frutto nascesse prima dell’albero”.

V.1. Il quinto motivo di ricorso è fondato nei termini di seguito precisati.

Secondo consolidato orientamento di questa Corte, in tema di divisione giudiziale, qualora al condividente sia assegnato un bene di valore superiore alla sua quota, il diritto al conguaglio dovuto agli altri comunisti sorge dal momento e per effetto del provvedimento definitivo di scioglimento della comunione, essendo l’efficacia retroattiva della pronuncia limitata, ai sensi dell’art. 757 c.c., all’effetto distributivo dei soli beni concretamente assegnati in proporzione del valore delle relative quote, di tal che gli interessi sul conguaglio, che sono di natura corrispettiva, decorrono soltanto dal momento in cui, con il provvedimento definitivo, è cessato lo stato di indivisione delle cose comuni (Cass. Sez. 2, 11/10/2016, n. 20457; Cass. Sez. 2, 10/02/2004, n. 2483). Ne consegue ulteriormente che, allorchè i conguagli da versare agli altri condividenti siano rideterminati, come nella specie, dalla sentenza di appello, mediante riforma della pronuncia di primo grado, quest’ultima, a norma dell’art. 336 c.p.c., perde efficacia e gli interessi corrispettivi sulle somme liquidate decorrono soltanto dalla data della pronuncia di appello, la quale segna il momento della nascita del relativo credito (arg. da Cass. Sez. 2, 08/10/2008, n. 24821).

Via sesto motivo di ricorso denuncia la violazione dell’art. 789 c.c. e art. 91 c.p.c., nonchè la falsa applicazione dell’art. 92 c.p.c., avendo la Corte d’Appello di Napoli, “in considerazione della reciproca soccombenza anche in relazione ad una serie di questioni prospettate solo nel presente giudizio dalle appellanti”, integralmente compensato tra le parti le spese processuali dell’intero giudizio, ivi comprese quelle di consulenza. Le ricorrenti contestano la ravvisata reciproca soccombenza, essendo stati accolti “quattro motivi del gravame su cinque” ed essendo cosa diversa dal rigetto la “omessa decisione” di questioni (quali quella sul diritto di abitazione e la decorrenza degli interessi) sulle quali la Corte di Napoli aveva, piuttosto, ritenuto non proposti specifici motivi di appello.

VI.1. Il sesto motivo di ricorso, attenendo alla valutazione delle proporzioni della soccombenza reciproca e la determinazione delle quote in cui le spese processuali debbono ripartirsi o compensarsi tra le parti, ai sensi dell’art. 92 c.p.c., comma 2, è comunque infondato, in quanto invoca il sindacato di legittimità sull’esercizio di un potere discrezionale del giudice di merito, il quale neppure è tenuto a rispettare un’esatta proporzionalità fra la domanda accolta e la misura delle spese poste a carico del soccombente (Cass. Sez. 2, 31/01/2014, n. 2149).

VII. In definitiva, va accolto il solo quinto motivo di ricorso e vanno rigettati tutti gli altri motivi. La sentenza impugnata deve quindi essere cassata solo nel punto in cui ha riconosciuto come dovuti gli interessi sul conguaglio dovuto a S.P. con decorrenza dalla sentenza di primo grado, dovendo gli stessi interessi decorrere dalla data della pronuncia di appello (2 aprile 2014), rimanendo peraltro confermata ogni altra statuizione. Non essendo al riguardo necessari altri accertamenti di fatto, la causa va decisa nel merito, condannando M.M. a versare a S.P. il conguaglio, come determinato dalla Corte d’Appello di Napoli nella sentenza n. 1450/2014, con interessi a decorrere dalla data di tale sentenza.

Visto l’esito finale del giudizio, anche alla luce del limitato accoglimento del ricorso per cassazione, e valutato il rapporto corrente tra le reciproche soccombenze già considerato dalla Corte d’Appello di Napoli, si dispone la compensazione per intero fra le parti delle spese processuali sostenute nel giudizio di legittimità e nei pregressi gradi del giudizio.

PQM

La Corte accoglie il quinto motivo di ricorso, rigetta gli altri motivi, cassa la sentenza impugnata nei limiti della censura accolta, e, decidendo nel merito, condanna M.M. a versare a S.P. il conguaglio, come determinato dalla Corte d’Appello di Napoli nella sentenza n. 1450/2014, con interessi a decorrere dalla data di tale sentenza (2 aprile 2014); compensa per intero tra le parti le spese processuali sostenute nel giudizio di cassazione e nei precedenti gradi di giudizio.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Seconda Civile della Corte Suprema di Cassazione, il 6 novembre 2018.

Depositato in Cancelleria il 26 marzo 2019

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