Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 840 del 16/01/2017

Cassazione civile, sez. VI, 16/01/2017, (ud. 21/10/2016, dep.16/01/2017),  n. 840

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 2

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. PETITTI Stefano – rel. Presidente –

Dott. LOMBARDO Luigi Giovanni – Consigliere –

Dott. GIUSTI Alberto – Consigliere –

Dott. PICARONI Elisa – Consigliere –

Dott. ABETE Luigi – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 21087-2015 proposto da:

G.N., elettivamente domiciliato in Roma, via Romeo Romei n.

27, presso lo studio dell’Avvocato Vincenzo Dragone, rappresentato e

difeso dagli Avvocati Pierangelo Vladimiro Ladogana e Marisa Vinci;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’ECONOMIA E DELLE FINANZE, in persona del Ministro pro

tempore domiciliato in Roma, via dei Portoghesi n. 12, presso

l’Avvocatura generale dello Stato, che lo rappresenta e difende per

legge;

– controricorrente –

avverso il decreto n. 205 del 2015 della Corte d’appello di Perugia,

depositato il 2 febbraio 2015;

Udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 5

ottobre 2016 dal Presidente relatore Dott. Stefano Petitti;

udito, per il ricorrente, l’Avvocato Roberto Savarese con delega.

Fatto

FATTO E DIRITTO

Ritenuto che la Corte d’appello di Perugia con decreto depositato il 2 febbraio 2015, accoglieva l’opposizione proposta dal Ministero dell’economia e delle finanze ai sensi della L. n. 89 del 2001, art. 5 ter avverso il decreto con il quale il consigliere designato di quella Corte aveva accolto la domanda di equa riparazione proposta da numerosi ricorrenti in relazione alla durata irragionevole di un giudizio amministrativo svoltosi dinnanzi al TAR Lazio e conclusosi con sentenza depositata il 26 marzo 2012;

che la Corte d’appello ha rilevato che, poichè il giudizio amministrativo presupposto era pendente alla data del 16 settembre 2010, di entrata in vigore del D.Lgs. n. 104 del 2010, la sentenza del TAR Lazio era divenuta definitiva con il decorso del termine di sei mesi per la proposizione dell’appello previsto dall’art. 92 del citato decreto legislativo, non trovando nella specie applicazione la disciplina transitoria di cui all’art. 2 dell’Allegato 3 al detto D.Lgs., con la conseguenza che la domanda di equa riparazione, depositata il 5 novembre 2013, doveva considerarsi tardiva;

che con il medesimo decreto la Corte d’appello ha disposto l’applicazione della sanzione di cui alla L. n. 89 del 2001, art. 5-quater determinata nella misura di Euro 1.000,00 a carico di ciascun ricorrente, da versarsi alla Cassa delle ammende;

che per la cassazione di questo decreto ha proposto ricorso G.N. sulla base di un motivo, cui ha resistito con controricorso il Ministero dell’economia e delle finanze.

Considerato che con l’unico motivo di ricorso il G. deduce violazione e falsa applicazione dell’art. 92 c.p.a., comma 3, e dell’art. 2 delle norme transitorie di cui all’Allegato 3 medesimo codice, sostenendo che il nuovo termine lungo di sei mesi dovrebbe applicarsi ai soli giudizi iniziati dopo il 4 luglio 2009, come del resto ritenuto dal Consiglio di Stato (sentenza n. 6471 del 2009);

che il ricorso è infondato, alla luce del principio per cui “in tema di equa riparazione, al fine di determinare la sussistenza della condizione per proporre la domanda di cui alla L. n. 89 del 2001, art. 4 le sentenze del giudice amministrativo rese in primo grado divengono definitive, in assenza di notificazione, decorsi sei mesi dalla loro pubblicazione, ai sensi del D.Lgs. n. 104 del 2010, art. 92 ove siano state pubblicate dopo l’entrata in vigore del c.p.a., atteso che l’ultrattività della disciplina previgente (e quindi del termine annuale per proporre gravame), disposta dall’art. 2 dell’allegato 3 al codice, vale soltanto per i termini in corso al momento della medesima entrata in vigore della nuova disciplina” (Cass. n. 17377 del 2015; Cass. n. 7326 del 2015; Cass. n. 5299 del 2015; Cass. n. 23373 del 2014);

che nelle citate pronunce si è evidenziato come l’art. 92 c.p.a., approvato con il D.Lgs. n. 104 del 2010, prevede che, in difetto della notificazione della sentenza, l’appello si propone entro sei mesi dalla pubblicazione della sentenza, mentre l’ultrattività della disciplina previgente (e quindi del termine annuale per proporre impugnazione), disposta dall’art. 2 dell’allegato 3 al medesimo codice, vale “per i termini che sono in corso alla data di entrata in vigore del codice”;

che, in questo quadro normativo – si è evidenziato l’ultrattività della disciplina previgente è prevista, non per i processi in corso in primo grado alla data di entrata in vigore del codice del processo amministrativo, ma, appunto, “per i termini che sono in corso alla data di entrata in vigore del codice” per essere già stata pubblicata la sentenza di primo grado e pendente il termine per proporre impugnazione: di conseguenza, alle sentenze pubblicate dopo l’entrata in vigore del codice del processo amministrativo si applica la nuova disciplina dei termini per le impugnazioni (v. Cons. Stato n. 5793 del 2011; n. 6646 del 2012; n. 4055 del 2013);

che, pertanto, correttamente la Corte d’appello ha ritenuto applicabile il termine semestrale per individuare la data del passaggio in giudicato della sentenza del TAR del Lazio conclusiva del processo amministrativo presupposto, essendo questa stata pubblicata il 26 marzo 2012, successivamente alla data di entrata in vigore (il 16 settembre 2010) del codice del processo amministrativo;

che, individuata nell’11 novembre 2012 (e non nell’11 maggio 2013, come sarebbe se fosse stato applicabile il termine annuale) la data in cui la decisione che conclude il procedimento è divenuta definitiva, coincidente con il momento di decorrenza del termine semestrale per proporre la domanda di equa riparazione, ai sensi della L. n. 89 del 2001, art. 4 la statuizione con cui la Corte di Perugia ha accolto l’opposizione del Ministero dell’economia e delle finanze si sottrae alle censure del ricorrente, essendo stato il relativo ricorso depositato il 5 novembre 2013, nel mentre il termine semestrale di cui al citato art. 4 era venuto a scadenza l’11 maggio 2013;

che si deve solo aggiungere che nella citata sentenza n. 23373 del 2014, si è evidenziato come la disciplina del codice del processo amministrativo, così interpretata, manifestamente non si ponga in contrasto con i principi costituzionali, atteso che rientrava nei principi e criteri direttivi ai quali doveva attenersi il Governo nell’adottare il decreto legislativo per il riassetto del processo avanti ai tribunali amministrativi regionali e al Consiglio di Stato, riordinare il sistema delle impugnazioni, assicurando la snellezza del processo, anche al fine di assicurarne la ragionevole durata;

che, inoltre, l’applicabilità della riduzione del termine (da annuale a semestrale) alle sentenze pubblicate dopo l’entrata in vigore del processo amministrativo non crea alcuna decadenza a sorpresa, e costituisce misura volta a garantire l’effettiva della tutela, concorrendo a consentire una più rapida definizione del processo e, quindi, della risposta di giustizia;

che, in conclusione, il ricorso va rigettato, con conseguente condanna del ricorrente, in applicazione del principio della soccombenza, al pagamento delle spese del giudizio di cassazione, come liquidate in dispositivo;

che, risultando dagli atti del giudizio che il procedimento in esame è considerato esente dal pagamento del contributo unificato, non si deve far luogo alla dichiarazione di cui al testo unico approvato con il D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1, introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17.

PQM

La Corte rigetta il ricorso; condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di cassazione, che liquida in Euro 800,00 per compensi, oltre alle spese prenotate a debito.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Sesta civile – 2 della Corte Suprema di Cassazione, il 8 giugno 2016.

Depositato in Cancelleria il 16 gennaio 2017

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