Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 8397 del 29/04/2020

Cassazione civile sez. III, 29/04/2020, (ud. 20/12/2019, dep. 29/04/2020), n.8397

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. AMENDOLA Adelaide – Presidente –

Dott. DI FLORIO Antonella – Consigliere –

Dott. POSITANO Gabriele – Consigliere –

Dott. DELL’UTRI Marco – Consigliere –

Dott. MOSCARINI Anna – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 31096-2018 proposto da:

F.B.G.I., elettivamente domiciliato in

ROMA, VIA DELLA GIULIANA 44, presso lo studio dell’avvocato MARCO DE

FATI, che lo rappresenta e difende;

– ricorrente –

contro

GENERALI ITALIA SPA, in persona del procuratore speciale,

elettivamente domiciliata in ROMA, VIA C. COLOMBO 440, presso lo

studio dell’avvocato FRANCO TASSONI, che la rappresenta e difende;

– controricorrente –

e contro

MINISTERO DEGLI INTERNI;

– intimato –

avverso la sentenza n. 4508/2018 della CORTE D’APPELLO di ROMA,

depositata il 03/07/2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

20/12/2019 dal Consigliere Dott. ANNA MOSCARINI.

Fatto

FATTI DI CAUSA

L’avvocato F.B.G.I. ricorre per la cassazione della sentenza della Corte d’Appello di Roma n. 4508 del 2018 che, riformando parzialmente la sentenza di primo grado, ha dichiarato il suo concorso di colpa nella misura del 20% nella produzione del sinistro di cui il medesimo è stato vittima in Roma il giorno (OMISSIS) alle ore 6.45 allorquando la sua Smart. veniva attinta nella parte posteriore da una volante della Polizia di Stato che attraversava un incrocio tra via (OMISSIS) nonostante il semaforo rosso, senza attivare tempestivamente il dispositivo sonoro (sirena).

Mentre il giudice di primo grado aveva accolto la domanda di risarcimento del danno del danneggiato attribuendo la responsabilità esclusiva del sinistro alla volante della Polizia, la Corte territoriale, facendo applicazione della giurisprudenza di questa Corte secondo la quale il conducente che impegna un incrocio disciplinato da semaforo, ancorchè segnalante a suo favore “luce verde” non è esentato dall’obbligo di diligenza nella condotta di guida che, pur attenuata dall’affidamento creato dal semaforo, deve tuttavia tradursi nella necessaria cautela richiesta dalla comune prudenza e dalle concrete condizioni esistenti nell’incrocio, ha svolto un accertamento sul comportamento del danneggiato. Alla luce di questi principi la Corte territoriale ha accertato che la presenza sul lato destro della Smart. condotta dall’attuale ricorrente, di un camion rimasto immoto la cui sagoma ostruiva la visuale sull’area dell’intersezione, avrebbe dovuto indurre il F.B. ad impegnare l’incrocio usando l’ordinaria prudenza. Riconosciuta pertanto una percentuale di corresponsabilità del 20%, la Corte territoriale ha ridotto la misura del risarcimento dovuto a perdita della capacità di lavoro specifica ed anche la misura della capacità di produrre reddito in futuro, defalcando dalla somma riconosciuta a titolo di risarcimento una quota corrispondente ad un decremento già manifestatosi negli anni precedenti e del tutto indipendente dal sinistro. In ragione dell’accoglimento solo parziale dell’appello la Corte territoriale ha compensato tra le parti le spese del grado.

Avverso la sentenza l’avvocato F.B. propone ricorso per cassazione, affidandosi a quattro motivi, illustrati da memoria. Resiste Generali SpA con controricorso, illustrato da memoria.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1.Con il primo motivo – violazione dell’art. 115 c.p.c. – censura la sentenza per aver ritenuto sussistente una prova invero insussistente, quale la presenza di un camion fermo sul lato destro di percorrenza della Smart. che ostruiva la visuale sull’area dell’incrocio, circostanza non acquisita agli atti del giudizio quale prova e soltanto riferita dal conducente dell’autovettura. Come il Giudice aveva ritenuto insussistente la prova dell’azionamento del clacson e delle ragioni di emergenza ugualmente avrebbe dovuto ritenere insussistente la prova dell’esistenza del mezzo pesante. Nè tale circostanza poteva in alcun modo ritenersi ammessa.

2. Con il secondo motivo – violazione del D.Lgs. n. 285 del 1992, art. 140, art. 141, comma 3, art. 145, comma 1 – censura la sentenza per aver ritenuto che il F.B. fosse gravato da un obbligo di particolare prudenza nell’impegnare l’incrocio in ragione della presenza sulla destra del camion fermo la cui sagoma ostruiva la visuale sull’area dell’intersezione, con ciò violando tutte le norme indicate in epigrafe. In particolare il D.Lgs. n.. 285 del 1992, artt. 140,141 e 145 sarebbero violati perchè gli stessi non richiedono l’uso di una particolare prudenza in situazioni, quale doveva essere considerata quella in esame, di normalità di traffico.

3. Con il terzo motivo – violazione dell’art. 115 c.p.c.artt. 2697 e 2727 c.c. – censura la sentenza per aver ridotto il danno da perdita della capacità di guadagno in base ad un ragionamento del tutto presuntivo senza attenersi alla prova certa della perdita economica subita in conseguenza del sinistro.

4. Con il quarto motivo – violazione dell’art. 2056 c.c. – censura la sentenza per aver adottato meccanismi automatici di determinazione del danno patrimoniale da perdita del lucro cessante senza considerare la lunga e prestigiosa carriera professionale forense del danneggiato. 1-2-3-4 I motivi sono tutti volti a sollecitare questa Corte ad un inammissibile riesame del merito. Appare evidente, dalla formulazione del primo motivo, che la doglianza non mira ad una più corretta applicazione della norma che si assume violata ma a pervenire ad una ricostruzione dei fatti diversa da quella accertata. La violazione dell’art. 115 c.p.c., in base alla consolidata giurisprudenza di questa Corte, può essere dedotta come vizio di legittimità solo denunciando che il giudice ha dichiarato espressamente di non dover osservare la regola contenuta nella norma o ha giudicato sulla base di prove non introdotte dalle parti ma disposte di sua iniziativa al di fuori dei poteri officiosi riconosciutigli, e non anche che il medesimo, nel valutare le prove proposte dalle parti, ha attribuito maggior forza di convincimento ad alcune piuttosto che ad altre (Cass., n. 9071 del 2018). Dall’esame dell’impugnata sentenza si evince l’insussistenza della violazione dell’art. 115 c.p.c. posto che la Corte territoriale, in conformità al principio del libero convincimento enunciato dall’art. 116 c.p.c., ha fatto riferimento a tutte le emergenze istruttorie ritualmente acquisite al giudizio (verbale degli agenti di polizia di Roma Capitale; relazione degli agenti coinvolti nel sinistro), sicchè il motivo di ricorso è sostanzialmente volto a proporre una valutazione del materiale probatorio diversa da quella della Corte territoriale.

Anche il secondo motivo è inammissibile perchè il ricorrente non individua, come avrebbe dovuto, la specifica regula iuris applicata dai giudici al caso di specie e non illustra le ragioni della presunta ed illegittima divergenza tra questa e la regola che, viceversa, avrebbe dovuto essere applicata ma si limita a richiamare le norme indicate in epigrafe senza fornire l’esposizione di argomentazioni intellegibili ed esaurienti ad illustrazione delle annunciate violazioni. La giurisprudenza di questa Corte precisa che “risulta inidoneamente formulata la deduzione di “errori di diritto” individuati per mezzo della sola preliminare indicazione delle singole norme violate ma non dimostrati per mezzo di una critica delle soluzioni adottate dal giudice del merito nel risolvere le questioni giuridiche poste dalla controversia, operata mediante specifiche e puntuali contestazioni nell’ambito di una valutazione comparativa con le diverse soluzioni prospettate nel motivo e non attraverso la mera contrapposizione di queste ultime a quelle desumibili dalla motivazione dell’impugnata sentenza (Cass., 3, n. 19973 del 30/8/2013)”.

Anche il terzo motivo, rubricato violazione dell’art. 115 c.p.c. e dell’art. 2697 c.c., consiste in una violazione solo enunciata ma non trattata nè esposta. E’ noto che il vizio della violazione e falsa applicazione di norme di diritto deve essere, a pena di inammissibilità, dedotto mediante la specifica indicazione delle affermazioni in diritto contenute nella sentenza gravata che motivatamente si affermino in contrasto con le norme regolatrici della fattispecie o con l’interpretazione delle stesse fornita dalla giurisprudenza di legittimità, non risultando altrimenti consentito alla Corte di Cassazione adempiere al proprio compito istituzionale di verificare il fondamento della denunziata violazione.

Ugualmente non intellegibili e contrastanti con i necessari criteri di formulazione delle censure di legittimità sono gli argomenti introdotti con il quarto motivo di ricorso relativo alla pretesa ma non enunciata violazione delle norme sul calcolo del danno non patrimoniale.

5. Conclusivamente il ricorso va dichiarato inammissibile ed il ricorrente condannato alle spese del giudizio di legittimità, liquidate come da dispositivo. Si dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento del cd. “raddoppio” del contributo unificato.

PQM

La Corte dichiara il ricorso inammissibile e condanna il ricorrente alle spese del giudizio di cassazione, liquidate in Euro 4.000 (oltre Euro 200 per esborsi), più accessori di legge e spese generali al 15%. Si dà atto, ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio della Sezione Terza Civile, il 20 dicembre 2019.

Depositato in Cancelleria il 29 aprile 2020

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