Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 8394 del 25/03/2021

Cassazione civile sez. VI, 25/03/2021, (ud. 20/01/2021, dep. 25/03/2021), n.8394

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE T

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. GRECO Antonio – Presidente –

Dott. MOCCI Mauro – Consigliere –

Dott. ESPOSITO Antonio Francesco – Consigliere –

Dott. CATALDI Michele – rel. Consigliere –

Dott. CROLLA Cosmo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 29250-2019 proposto da:

AGENZIA DELLE DOGANE, in persona del Direttore pro tempore,

elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso

AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che la rappresenta e difende, ope

legis;

– ricorrente –

contro

LIBERA ENERGIA SPA, in persona dell’Amministratore Delegato e legale

rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA

XXIV MAGGIO 43, presso lo studio dell’avvocato PAOLO PURI,

rappresentata e difesa dagli avvocati OTTORINO LICCI, GIULIO

AZZARETTO;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 2272/2019 della COMMISSIONE TRIBUTARIA

REGIONALE DELLA LOMBARDIA, depositata il 28/05/2019;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 20/01/2021 dal Consigliere Relatore Dott. MICHELE

CATALDI.

 

Fatto

RILEVATO

che:

1.Risulta dalla sentenza impugnata che la società contribuente Libera Energia s.p.a. ha separatamente impugnato un avviso di pagamento in materia di accisa sul gas naturale, il provvedimento di riduzione di ratei e il provvedimento di irrogazione di sanzioni.

I provvedimenti impugnati traevano origine dall’istanza della contribuente, del 16 marzo 2016, di riduzione delle rate di acconto a partire dal dicembre 2015, conseguente alla riduzione del 99,93% della attività di vendita di gas naturale, autorizzata con provvedimento del 25 maggio 2016 con decorrenza dal marzo 2016. L’Ufficio aveva rilevato la illegittima autoriduzione delle rate di dicembre 2015 e gennaio – febbraio 2016 da parte della contribuente, in epoca precedente alla decorrenza del provvedimento autorizzatorio, con recupero di sanzioni per ritardati versamenti e accessori.

La Commissione tributaria provinciale dii Milano ha accolto il ricorso e la Commissione Tributaria Regionale della Lombardia, con la sentenza n. 2272/2019, depositata il 28 maggio 2019, ha rigettato l’appello dell’Ufficio. Ha ritenuto il giudice di appello che la facoltà di prescrivere una diversa rateizzazione degli acconti sulla base dei dati tecnici e contabili disponibili, di cui al D.Lgs. 26 ottobre 1995, n. 504, art. 26, comma 13, (TUA) vada intesa come dovere della Pubblica amministrazione di modificare la rateizzazione, ove, come nella specie, vi sia stata una riduzione dell’attività di vendita del 99,93%. La CTR ha, inoltre, ritenuto che, a termini dell’art. 26, comma 1, TUA, il momento in cui sorge l’obbligo del pagamento dell’accisa è dato dalla fornitura ai consumatori finali, in assenza della quale, come nella specie, non sussisterebbe il presupposto impositivo.

Propone ricorso per cassazione l’Agenzia delle dogane e dei monopoli, affidandolo ad un unico motivo; resiste con controricorso la società contribuente.

La proposta del relatore è stata comunicata, unitamente al decreto di fissazione dell’adunanza camerale, ai sensi dell’art. 380-bis c.p.c..

La controricorrente contribuente ha depositato memoria.

Diritto

CONSIDERATO

che:

1.Con l’unico motivo si deduce, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, violazione e falsa applicazione dell’art. 3, comma 4 e art. 26, TUA, nonchè del D.Lgs. 18 dicembre 1997, n. 471, art. 13.

Assume il ricorrente Ufficio che l’accisa sul gas naturale deve essere corrisposta in rate di acconto sulla base dei consumi dell’anno precedente, a meno che non sia intervenuto un provvedimento dell’Amministrazione finanziaria, in mancanza del quale le rate restano dovute salvo conguaglio finale, pena l’applicazione delle sanzioni e degli interessi di mora per ritardato pagamento. Deduce il ricorrente che l’eventuale diversa rateizzazione – in deroga rispetto ai consumi dell’anno precedente – presuppone il provvedimento autorizzatorio dell’Amministrazione finanziaria, che non scaturisce ope legis, nè ad esso corrisponde un diritto del contribuente a ridurre autonomamente l’importo delle rate di acconto. Denuncia, infine, il ricorrente, la carenza di motivazione della sentenza impugnata.

Il ricorso è inammissibile quanto alla dedotta carenza di motivazione, posto che a seguito della riformulazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, non sono più ammissibili nel ricorso per cassazione, le censure di contraddittorietà ed insufficienza della motivazione della sentenza di merito impugnata, in quanto il sindacato di legittimità sulla motivazione resta circoscritto alla sola verifica della violazione del minimo costituzionale richiesto dall’art. 111 Cost., comma 6, in caso di mancanza della motivazione quale requisito essenziale del provvedimento giurisdizionale, di motivazione apparente, di manifesta ed irriducibile contraddittorietà e di motivazione perplessa od incomprensibile (Cass., Sez. III, 12 ottobre 2017, n. 23940; Cass., Sez. VI, 25 settembre 2018, n. 22598).

Il vizio di motivazione, peraltro, sarebbe comunque ulteriormente inammissibile, stante il disposto dell’art. 348-ter c.p.c., comma 5, che impone di indicare, in caso di “doppia conforme”, le ragioni di fatto poste a base, rispettivamente, della decisione di primo grado e della sentenza di rigetto dell’appello (Cass., Sez. I, 22 dicembre 2016, n. 26774).

Il ricorso è inammissibile anche quanto alla dedotta violazione di legge. Il ricorrente censura infatti la ratio decidendi che ha ritenuto atto dovuto la modifica della rateizzazione come richiesta dalla società contribuente (“la PA ha quindi facoltà/dovere di modificare quanto prescritto dalla norma in presenza di dati tecnici e contabili che consentano tale modifica (..) in tale contesto andava applicata dall’Ufficio la facoltà concessa dall’art. 26, comma 13 del TUA che avrebbe consentito alla ricorrente di ridurre il versamento delle rate di acconto mensili”). Il ricorrente contesta quindi tale argomentazione, che ha qualificato come legittima l’autoriduzione della contribuente sulla base di un dedotto potere-dovere dell’Amministrazione finanziaria di ridurre la rateizzazione, oltre che di un conseguente diritto del contribuente ad operare l’autoriduzione delle rate in acconto.

Ed invero, il ricorrente contesta la legittimità dell’autoriduzione della rata in acconto operata dalla società contribuente in funzione della proporzionale riduzione dell’attività commerciale, deducendo che in assenza del relativo provvedimento dell’Amministrazione finanziaria la stessa contribuente sarebbe stata tenuta al pagamento delle precedenti rate in acconto, senza facoltà di autoriduzione.

Diversamente, non risulta specificamente censurata dal ricorrente l’autonoma ed ulteriore ratio decidendi espressa dal giudice d’appello, secondo cui il pagamento dell’accisa è legata all’effettiva fatturazione dei corrispettivi ai clienti finali, che sarebbe mancata nel caso di specie (“il gas naturale (..) è sottoposto ad accisa (..) al momento della fornitura ai consumatori finali (…L La mancata fornitura, perciò, e quindi la mancata fatturazione fanno venir meno il presupposto per il versamento dell’imposta dal momento della mancata fornitura”). Infatti, l’avere meramente riprodotto tale ulteriore ratio decidendi nel ricorso non equivale ad un’effettiva e specifica impugnazione della stessa, in assenza dello sviluppo di argomentazioni critiche congruenti.

Si tratta dunque di diversi argomenti posti a fondamento della legittimità dell’operato della società contribuente, basati il primo sul diritto del contribuente a ridurre la rata di acconto in base a una diversa contabilizzazione dei consumi; il secondo sul momento d’insorgenza del presupposto impositivo, correlato all’effettiva fatturazione ai clienti finali.

Va, pertanto, riaffermato il principio secondo cui, in assenza di impugnazione di una ulteriore ed autonoma ratio decidendi, il motivo è inammissibile, in quanto il ricorrente non ha interesse all’esame del proprio ricorso, che non risulterebbe idoneo a determinare l’annullamento della sentenza impugnata, risultando comunque consolidata l’autonoma motivazione non oggetto di censura (Cass., Sez. III, 13 giugno 2018, n. 15399; Cass., Sez. VI, 18 aprile 2017, n. 9752).

Il ricorso va, pertanto, dichiarato inammissibile, con spese regolate dalla soccombenza e liquidate come da dispositivo.

Rilevato che risulta soccombente una parte ammessa alla prenotazione a debito del contributo unificato, per essere amministrazione pubblica difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato, non si applica il D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13 comma 1-quater.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento, in favore della controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 10.000,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 200,00, ed agli accessori di legge.

Così deciso in Roma, il 20 gennaio 2021.

Depositato in Cancelleria il 25 marzo 2021

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