Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 8390 del 25/03/2021

Cassazione civile sez. VI, 25/03/2021, (ud. 20/01/2021, dep. 25/03/2021), n.8390

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE T

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. GRECO Antonio – Presidente –

Dott. MOCCI Mauro – Consigliere –

Dott. ESPOSITO Francesco – Consigliere –

Dott. CATALDI Michele – rel. Consigliere –

Dott. CROLLA Cosmo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 28348-2019 proposto da:

AGENZIA DELLE ENTRATE, (OMISSIS), in persona del Direttore pro

tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12,

presso AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che la rappresenta e

difende, ope legis;

– ricorrente –

contro

POWER TECH SRL, in persona del legale rappresentante pro tempore,

elettivamente domiciliata presso la cancelleria della CORTE DI

CASSAZIONE, PIAZZA CAVOUR, ROMA, rappresentata e difesa

dall’Avvocato WILLIAM TRUCILLO;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 1691/2019 della COMMISSIONE TRIBUTARIA

REGIONALE della CAMPANIA, SEZ. DISTACCATA di SALERNO, depositata il

25/02/2019;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 20/01/2021 dal Consigliere Relatore Dott. MICHELE

CATALDI.

 

Fatto

RILEVATO

che:

1.Risulta dalla sentenza impugnata che la società contribuente Power Tech s.r.l. ha impugnato un avviso di accertamento, relativo all’anno d’imposta 2012 con il quale, a seguito di controlli eseguiti su fornitori della società contribuente, rivelatisi imprenditori privi di struttura organizzativa, erano state contestate operazioni soggettivamente inesistenti, con recupero dell’Iva non detraibile relativa alle fatture di acquisto.

La società contribuente ha dedotto che vi era stata violazione del contraddittorio endo-procedimentale, oltre che delle regole di distribuzione dell’onere della prova in materia di operazioni soggettivamente inesistenti, specie relativamente alla propria estraneità alla frode fiscale.

La Commissione tributaria provinciale di Salerno ha accolto il ricorso e la Commissione tributaria regionale della Campania-sezione staccata di Salerno, con la sentenza n. 1691/04/2019, depositata il 25 febbraio 2019, ha rigettato l’appello dell’Ufficio.

Ha ritenuto infatti il giudice d’ appello che l’Ufficio, pur avendo provato chelèTh1i1 fornitore delle prestazioni fatturate era fittizio, non ha dato prova della consapevolezza della contribuente di essere partecipe di operazioni soggettivamente inesistenti.

Propone ricorso per cassazione l’Ufficio affidato a tre motivi; resiste con controricorso la società contribuente.

La proposta del relatore è stata comunicata, unitamente al decreto di fissazione dell’adunanza camerale, ai sensi dell’art. 380-bis c.p.c..

L’Ufficio ha depositato memoria.

Diritto

CONSIDERATO

CHE:

1.Con il primo motivo si lamenta, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, violazione e falsa applicazione degli artt. 2697,2727 e ss. c.c.; nonchè del D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, art. 19 e art. 21, comma 7, nella parte in cui la sentenza impugnata ha ritenuto non provata la consapevolezza della società contribuente di inserirsi in una c.d. “frode carosello”.

L’Amministrazione trascrive l’avviso di accertamento, in cui viene descritta l’inesistenza di strutture organizzative delle società emittenti le fatture, ed evidenzia la sussistenza della consapevolezza della frode in capo alla contribuente, che aveva stipulato diversi contratti con le medesime società fornitrici, traendone vantaggio, causa il minor prezzo pagato rispetto a quello di mercato, come da deduzioni contenute nell’atto di appello erariale, trascritte anch’esse per specificità.

2.Con il secondo motivo si deduce, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, violazione dell’art. 132 c.p.c., n. 4, la nullità della decisione per la sua motivazione apparente, in quanto apodittica in ordine alla ritenuta mancata prova, da parte dell’amministrazione finanziaria, che la società contribuente fosse consapevole della frode fiscale.

3. Con il terzo motivo si deduce, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, violazione e falsa applicazione dell’art. 112 c.p.c., per omessa pronuncia, per non essersi la CTR pronunciata sulle questioni poste dall’Ufficio nell’atto di appello, riportate per specificità, relative alla mancata prova da parte della società contribuente circa la propria inconsapevolezza dell’inesistenza soggettiva delle operazioni.

L’Ufficio ricorrente si duole che, nonostante fosse stata impugnata la sentenza di primo grado nella parte in cui era stato violato l’onere della prova, non siano state esaminate le censure dell’Ufficio circa l’assenza di prova contraria da parte della società contribuente.

4.Va rigettata la preliminare eccezione di inammissibilità del ricorso per mancata specificità dei motivi, essendo gli stessi chiaramente evincibili dall’atto, sia quanto al parametro normativo, sia quanto alle argomentazioni che sostanziano le censure espresse. Ugualmente infondata è l’eccezione di inammissibilità del ricorso per non avere l’Amministrazione impugnato anche la statuizione relativa all’accoglimento della questione preliminare di violazione del contraddittorio endoprocedimentale, emessa dal giudice di prime cure e non riformata dalla sentenza d’appello.

Invero, la sentenza impugnata, che ha sostituito la statuizione del giudice di prime cure, non ha affrontato espressamente tale questione (che, peraltro, dal controricorso non risulta riproposta dalla contribuente in grado di appello). Tuttavia, deve ritenersi che comunque la CTR abbia implicitamente accolto la tesi dell’Amministrazione appellante sul punto, atteso che la decisione sull’assolvimento dell’onere probatorio presuppone necessariamente la legittimità dell’atto ed esclude quindi che essio sia nullo per violazione del contraddittorio preventivo. Pertanto, la controricorrente avrebbe dovuto impugnare tale implicita decisione con ricorso incidentale.

5. Tanto premesso, il secondo motivo, il quale riveste natura pregiudiziale, è infondato.

A seguito della riformulazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 il sindacato di legittimità sulla motivazione resta circoscritto alla sola verifica della violazione del minimo costituzionale richiesto dall’art. 111 Cost., comma 6, individuabile nelle ipotesi di mancanza della motivazione quale requisito essenziale del provvedimento giurisdizionale, di motivazione apparente, di manifesta ed irriducibile contraddittorietà e di motivazione perplessa od incomprensibile (Cass., Sez. III, 12 ottobre 2017, n. 23940), nel caso in cui la motivazione risulti del tutto inidonea ad assolvere alla funzione specifica di esplicitare le ragioni della decisione (Cass., VI, 25 settembre 2018, n. 22598).

La sentenza impugnata ha accertato che “nel caso di specie l’Ufficio ha riportato gli esiti delle investigazioni compiute dalla GDF nei confronti delle società cessionarie – esiti che dimostrano, senza dubbio alcuno, il carattere fittizio delle stesse – senza però nulla argomentare circa la consapevolezza della Power Tech in ordine al proprio inserimento nel meccanismo delle frodi carosello””.

La sentenza impugnata ha, pertanto, ritenuto non provato il fatto costitutivo della consapevolezza del committente della frode consumata dalle società emittenti, fornitrici della contribuente controricorrente, alla luce degli atti di innesco dell’atto impugnato (i processi verbali di constatazione relativi ai fornitori della contribuente), ritenendoli privi di elementi a supporto di tale fatto costitutivo. Il percorso logico appare, pertanto, sintetico ma compiuto, anche in relazione agli elementi di prova esaminati, e comunque non inferiore al minimo costituzionale.

6.Il primo motivo è inammissibile, come osservato da parte controricorrente.

Il ricorrente Ufficio, pur denunciando formalmente le norme in tema di diniego della detrazione per operazioni inesistenti e di distribuzione dell’onere della prova, mira a una rivalutazione del ragionamento decisorio che ha portato il giudice del merito, sulla base dei processi verbali redatti dalla G.d.F. e delle deduzioni dell’Amministrazione, a ritenere non assolto l’onere della prova, gravante su quest’ultima, circa la sussistenza in capo alla committente cessionaria della consapevolezza di far parte di una “frode carosello” posta in essere dai propri fornitori.

Così facendo il ricorrente, pur deducendo apparentemente, una violazione di norme di legge, propone, in realtà, un riesame dell’apprezzamento dei fatti operato dal giudice di merito, sia in ordine agli accertamenti compiuti nei confronti degli emittenti ed alla loro pregnanza in relazione alla posizione della società contribuente; sia riguardo la ricaduta indiziaria delle circostanze relative alla pluralità dei rapporti commerciali tra contribuente e fornitori e alla convenienza economica dei servizi offerti da questi ultimi.

In questo modo, tuttavia, si realizza una surrettizia trasformazione del giudizio di legittimità in un nuovo, non consentito, terzo grado di merito (Cass., Sez. VI, 4 luglio 2017, n. 8758), nel quale l’inammissibile oggetto del giudizio non è l’analisi e l’applicazione delle norme, bensì la loro concreta applicazione operata dal giudice di merito e a questi riservata (Cass., Sez. I, 5 febbraio 2019, n. 3340; Cass., Sez. I, 14 gennaio 2019, n. 640; Cass., Sez. I, 13 ottobre 2017, n. 24155; Cass., Sez. V, Sez. 5, 4 aprile 2013, n. 8315), sulla base di un apprezzamento che, al pari di ogni altro giudizio di fatto, può essere esaminato in sede di legittimità soltanto sotto il profilo del vizio di motivazione (Cass., Sez. VI, 3 dicembre 2019, n. 31546; Cass., Sez. U., 5 maggio 2006, n. 10313; Cass., Sez. VI, 12 ottobre 2017, n. 24054). Censura, quest’ultima, che peraltro, nel caso di specie, si sarebbe dovuta formulare nel rispetto dei limiti dell’art. 348-ter c.p.c., ricorrendo il caso di “doppia conforme”.

Lo sconfinamento del motivo nell’ambito delle inammissibili valutazioni dei fatti è reso ulteriormente evidente dalla deduzione della violazione degli artt. 2697 e 2727 c.c..

Infatti, “In tema di ricorso per cassazione, la violazione dell’art. 2697 c.c. si configura soltanto nell’ipotesi in cui il giudice abbia attribuito l’onere della prova ad una parte diversa da quella su cui esso avrebbe dovuto gravare secondo le regole di scomposizione delle fattispecie basate sulla differenza tra fatti costitutivi ed eccezioni mentre, per dedurre la violazione dell’art. 115 c.p.c., occorre denunziare che il giudice, contraddicendo espressamente o implicitamente la regola posta da tale disposizione, abbia posto a fondamento della decisione prove non introdotte dalle parti, ma disposte di sua iniziativa fuori dei poteri officiosi riconosciutigli, non anche che il medesimo, nel valutare le prove proposte dalle parti, abbia attribuito maggior forza di convincimento ad alcune piuttosto che ad altre, essendo tale attività consentita dall’art. 116 c.p.c.” (Cass., Sez. 6 – 3, Ordinanza n. 26769 del 23/10/2018).

Ebbene, secondo questa Corte, “In tema di IVA, qualora l’Amministrazione finanziaria contesti che la fatturazione attiene ad operazioni soggettivamente inesistenti, inserite o meno nell’ambito di una frode carosello, incombe sulla stessa l’onere di provare la consapevolezza del destinatario che l’operazione si inseriva in una evasione dell’imposta dimostrando, anche in via presuntiva, in base ad elementi oggettivi specifici, che il contribuente fosse a conoscenza, o avrebbe dovuto esserlo usando l’ordinaria diligenza in ragione della qualità professionale ricoperta, della sostanziale inesistenza del contraente; ove l’Amministrazione assolva a detto incombente istruttorio, grava sul contribuente la prova contraria di avere adoperato, per non essere coinvolto in un’operazione volta ad evadere l’imposta, la diligenza massima esigibile da un operatore accorto, secondo criteri di ragionevolezza e di proporzionalità in rapporto alle circostanze del caso concreto” (Cass., Sez. 5 -, Ordinanza n. 15369 del 20/07/2020).

La CTR si è adeguata a tale criterio, riconoscendo che l’Ufficio, gravato dell’onere di provare la consapevolezza del destinatario delle prestazioni oggetto delle operazioni soggettivamente inesistenti, potesse assolverlo anche tramite presunzioni semplici. Tuttavia, ha escluso che ciò sia accaduto nel giudizio di merito, quindi con apprezzamento in fatto, non censurabile in questa sede.

Quanto poi alla valutazione del giudice a quo in ordine all’insussistenza degli elementi sufficienti a configurare la prova indiziaria in ordine alla consapevolezza della contribuente, questa Corte ha chiarito che “In sede di legittimità è possibile censurare la violazione degli artt. 2727 e 2729 c.c. solo allorchè ricorra il cd. vizio di sussunzione, ovvero quando il giudice di merito, dopo avere qualificato come gravi, precisi e concordanti gli indizi raccolti, li ritenga, però, inidonei a fornire la prova presuntiva oppure qualora, pur avendoli considerati non gravi, non precisi e non concordanti, li reputi, tuttavia, sufficienti a dimostrare il fatto controverso” (Cass., Sez. 6 – 3, Ordinanza n. 3541 del 13/02/2020), fattispecie che non ricorrono nel caso di specie.

E comunque, come è stato precisato, ” In tema di giudizio di cassazione, la censura per vizio di motivazione in ordine all’utilizzo o meno del ragionamento presuntivo non può limitarsi ad affermare un convincimento diverso da quello espresso dal giudice di merito, ma deve fare emergere l’assoluta illogicità e contraddittorietà del ragionamento decisorio, restando peraltro escluso che la sola mancata valutazione di un elemento indiziario possa dare luogo al vizio di omesso esame di un punto decisivo” (Cass., Sez. 6 – 1, Ordinanza n. 5279 del 26/02/2020), ipotesi che a sua volta non ricorre nel caso di specie, nel quale peraltro neppure è stato proposto il motivo di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, e ricorre l’ipotesi della c.d. “doppia conforme”.

7.Il terzo motivo è inammissibile, perchè non coglie la ratio decidendi della sentenza impugnata, che ha ritenuto non provato dall’Ufficio il fatto costitutivo della consapevolezza della contribuente di avere preso parte a una frode carosello e comunque che fossero fittizi i fornitori con i quali ha contrattato.

L’Ufficio, invero, si duole di una omessa pronuncia sulle richieste formulate in appello (riportate per specificità), relative alla natura di soggetto “cartiera” dell’emittente (questione comunque espressamente affrontata dalla CTR) ed all’assenza di prova contraria fornita dalla contribuente in ordine alla propria inconsapevolezza della frode.

Tuttavia, la CTR ha piuttosto escluso che l’Amministrazione avesse dato la prova, anche indiziaria, della consapevolezza della contribuente, ovvero ha negato che, secondo la descritta ripartizione dell’onere della prova, si fosse realizzato il necessario presupposto dell’attribuzione alla contribuente stessa dell’onere della prova contraria.

Inoltre, deve ricordarsi che il giudice del merito non è tenuto ad occuparsi espressamente e singolarmente di ogni allegazione, prospettazione ed argomentazione delle parti, risultando necessario e sufficiente, in base all’art. 132 c.p.c., n. 4, che esponga, in maniera concisa, gli elementi in fatto ed in diritto posti a fondamento della sua decisione, e dovendo ritenersi per implicito disattesi tutti gli argomenti, le tesi e i rilievi che, seppure non espressamente esaminati che, seppure non espressamente esaminati, siano incompatibili con la soluzione adottata e con l’iter” argomentativo seguito (Cass., Sez. II, 25 giugno 2020, n. 12652; Cass., Sez. V, 30 gennaio 2020, n. 2153; Cass., Sez. VI, 2 dicembre 2014, n. 25509; Cass., Sez. III, 20 novembre 2009, n. 24542).

8.Il ricorso va, pertanto, rigettato, con spese regolate dalla soccombenza e liquidate come da dispositivo.

Rilevato che risulta soccombente una parte ammessa alla prenotazione a debito del contributo unificato, per essere amministrazione pubblica difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato, non si applica il D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13 comma 1-quater.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento, in favore della controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 10.100,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 200,00, ed agli accessori di legge.

Così deciso in Roma, il 20 gennaio 2021.

Depositato in Cancelleria il 25 marzo 2021

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