Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 8387 del 29/04/2020

Cassazione civile sez. III, 29/04/2020, (ud. 10/12/2019, dep. 29/04/2020), n.8387

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. AMENDOLA Adelaide – Presidente –

Dott. RUBINO Lina – Consigliere –

Dott. POSITANO Gabriele – Consigliere –

Dott. VALLE Cristiano – Consigliere –

Dott. MOSCARINI Anna – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 19914/2018 proposto da:

KELYAN SPA, in persona dell’Amministratore Delegato legale

rappresentante pro tempore, domiciliata ex lege in ROMA, presso la

CANCELLERIA DELLA CORTE DI CASSAZIONE, rappresentata e difesa dagli

avvocati RUGGERO DIAFERIO, ENRICO COSTA, MARCO CUNIBERTI;

– ricorrente –

contro

SPAN SRL, in persona del legale rappresentante pro tempore,

elettivamente domiciliato in ROMA, VIA ENRICO GLORI 30, presso lo

studio dell’avvocato CRISTIANA SPADARO, rappresentata e difesa

dall’avvocato FRANCESCO CIMA VIVARELLI;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 5434/2017 della CORTE D’APPELLO di MILANO,

depositata il 27/12/2017;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

10/12/2019 dal Consigliere Dott. ANNA MOSCARINI.

Fatto

FATTI DI CAUSA

La Corte d’Appello di Milano, con sentenza n. 5434 del 27/12/2017, ha, in parziale riforma della sentenza del Tribunale di Como del 24/7/2014, rigettato l’opposizione della società Kelyan S.p.A. (di seguito Kelyan), al decreto ingiuntivo emesso in favore della locatrice società Span srl (di seguito Span) ed ha, per l’effetto, confermato il suddetto decreto relativo ai canoni di locazione dovuti dalla conduttrice Kelyan in relazione a due immobili siti in (OMISSIS), nonostante il fenomeno di infiltrazione verificatosi nei medesimi nel mese di (OMISSIS).

La Corte territoriale ha ritenuto mancante la specificazione dei gravi motivi posti a base del recesso dai contratti, ritenendo erronea la contrapposta valutazione del Tribunale di Como in ragione del fatto che il richiamo generico a danni asseritamente subiti ed alla riserva di quantificare gli stessi non possa sostituire la necessaria specificazione dei gravi motivi richiesta dalla L. n. 382 del 1978, art. 27, costituente requisito di perfezionamento della dichiarazione di recesso. La Corte territoriale ha dunque ritenuto dovuti i canoni di locazione relativi ad entrambi i contratti stipulati tra le parti per l’importo totale di Euro 47.203,24.

In accoglimento di un motivo di appello incidentale di Kelyan, ha accertato il diritto della conduttrice alla restituzione delle cauzioni versate e dunque alla percezione degli interessi legali dalla data delle cauzioni fino al saldo, condannando la Span al relativo pagamento.

La Corte territoriale ha, infine, regolato le spese, ponendo a carico di Kelyan quelle del primo grado del giudizio ed i 4/5 delle spese del grado di appello, ed ha compensato, in ragione della parziale reciproca soccombenza, le spese del grado d’appello nella misura di 1/5. Avverso la sentenza la società Kelyan S.p.A. ricorre per cassazione, affidandosi a due motivi. Resiste la Span s.r.l. con controricorso, illustrato anche da memoria.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo – violazione e falsa applicazione degli artt. 1324 e 1362,1363,1366 e 1369 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 – si censura il capo di sentenza che, in accoglimento del primo motivo di appello, ha escluso la validità del recesso comunicato da Kelyan alla locatrice in data 29 dicembre 2010, sul presupposto della mancata allegazione dei gravi motivi sottesi alla dichiarazione unilaterale di recesso, alla quale sarebbero applicabili le regole di ermeneutica contrattuale.

La ricorrente contesta nel merito l’accertamento svolto dal giudice d’appello circa la non ricorrenza dei gravi motivi a sostegno della dichiarazione di recesso ed invoca la violazione delle regole di ermeneutica contrattuale, con particolare riguardo all’art. 1362 c.c. (regola dell’interpretazione della comune intenzione delle parti senza limitarsi al senso letterale delle parole), all’art. 1363 c.c. (regola dell’interpretazione cd. “sistematica” o dell’interpretazione

complessiva delle clausole), all’art. 1366 c.c. (regola dell’interpretazione secondo buona fede) e all’art. 1369 c.c. (regola dell’interpretazione secondo la causa del contratto): ad avviso della ricorrente la Corte d’Appello avrebbe violato tutte queste regole nell’escludere che la denuncia delle infiltrazioni effettuata dalla società conduttrice integrasse il requisito dei “gravi motivi” posti a base del recesso ai sensi della L. n. 392 del 1978, art. 27.

1.1 Il motivo è inammissibile perchè di merito; esso in sostanza, pur prospettato nei termini di violazione delle regole di ermeneutica contrattuale, non denuncia un vizio di sussunzione delle singole contestate statuizioni della sentenza rispetto agli artt. 1362,1363,1366 e 1369 c.c., ma si concretizza nella richiesta alla Corte di una diversa e più appagante rivalutazione dei presupposti per l’esercizio del diritto di recesso, utilizzando argomenti meramente fattuali quali, a titolo esemplificativo, il rapporto tra la missiva del 29 dicembre 2010, con cui era stato comunicato il recesso, con altra antecedente relativa alla denunzia delle infiltrazioni.

2. Con il secondo motivo si denuncia la violazione e falsa applicazione degli artt. 116,132 e 118 disp. att. c.p.c., con riferimento al capo di sentenza che ha omesso di motivare sull’istanza di ammissione di CTU.

2.1 Il motivo è inammissibile. Si ricorda che la Corte d’Appello ha adeguatamente motivato le ragioni per le quali la società attrice non ha assolto all’onere della prova dei danni, con ampia ed analitica profusione di argomenti che peraltro la ricorrente non ha neppure specificamente censurato, sicchè una CTU sarebbe stata meramente esplorativa, come già correttamente valutato dal giudice di primo grado. E’ sufficiente richiamare quanto dedotto sul punto dall’impugnata sentenza circa l’assoluta mancanza di prova dei danni asseritamente subiti (pp. 9-11) per escludere che il Giudice avesse l’obbligo di ammettere una CTU e di motivare in merito alla mancata ammissione della stessa.

La sentenza è conforme al consolidato indirizzo di questa Corte, al quale il collegio intende dare continuità, secondo il quale, in materia di consulenza tecnica d’ufficio, la decisione del giudice di merito che ne esclude l’ammissione non è sindacabile in sede di legittimità, posto che compete al giudice del merito l’apprezzamento delle circostanze che consentano di escludere che il relativo espletamento possa condurre ai risultati perseguiti dalla parte istante, sulla quale incombe pertanto l’onere di offrire elementi di valutazione (Cass., 1, n. 26264 del 2/12/2005); essa è altresì conforme alla giurisprudenza, invocata dalla ricorrente, secondo la quale il potere discrezionale del giudice del merito di disporre o meno una consulenza, incensurabile in sede di legittimità, va contemperato con l’obbligo per il giudice di motivare adeguatamente la decisione adottata su una questione tecnica rilevante per la definizione della causa, e ciò in quanto ove il giudice disponga di elementi istruttori e di cognizioni proprie, integrati da presunzioni e da nozioni di comune esperienza sufficienti a dar conto della decisione adottata, non può essere censurato il mancato esercizio di quel potere (Cass., 2, n. 72 del 3/1/2011).

3. Ne consegue la declaratoria di inammissibilità del ricorso, con la condanna della ricorrente alle spese del giudizio di cassazione, liquidate come da dispositivo, ed alla ricorrenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, del cd. raddoppio del contributo unificato.

P.Q.M.

La Corte dichiara il ricorso inammissibile e condanna la società ricorrente alle spese del giudizio di cassazione, liquidate in Euro 5.600 (oltre Euro 200 per esborsi), più accessori di legge e spese generali al 15%. Si dà atto, ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Terza Civile, il 10 dicembre 2019.

Depositato in Cancelleria il 29 aprile 2020

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