Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 8381 del 08/04/2010

Cassazione civile sez. I, 08/04/2010, (ud. 04/03/2010, dep. 08/04/2010), n.8381

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SALME’ Giuseppe – Presidente –

Dott. ZANICHELLI Vittorio – rel. Consigliere –

Dott. SCHIRO’ Stefano – Consigliere –

Dott. GIANCOLA Maria Cristina – Consigliere –

Dott. DIDONE Antonio – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ordinanza

sul ricorso proposto da:

D.F.F., rappresentato e difeso dall’Avv. MARRA

Alfonso Luigi, come da procura a margine del ricorso, domiciliato per

legge presso la cancelleria della Corte di cassazione in Roma;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELLA ECONOMIA E DELLE FINANZE, in persona del Ministro pro

tempore, rappresentato e difeso, per legge, dall’Avvocatura generale

dello Stato, e presso gli Uffici di questa domiciliato in Roma, Via

dei Portoghesi, n. 12;

– controricorrente –

per la cassazione del decreto della Corte d’appello di Napoli

depositato il 10 luglio 2007;

Udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

giorno 4 marzo 2010 dal Consigliere relatore Dott. Zanichelli

Vittorio.

 

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

D.F.F. ricorre per Cassazione nei confronti del decreto in epigrafe della Corte d’appello che ha accolto parzialmente il suo ricorso con il quale e’ stata proposta domanda di riconoscimento dell’equa riparazione per violazione dei termini di ragionevole durata del processo svoltosi in primo grado avanti al TAR Campania e ancora pendente alla data di proposizione della domanda.

Resiste l’Amministrazione con controricorso.

La causa e’ stata assegnata alla Camera di consiglio in esito al deposito della relazione redatta dal Consigliere Dott. Vittorio Zanichelli con la quale sono stati ravvisati i presupposti di cui all’art. 375 c.p.c..

Il ricorrente ha depositato memoria.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Il primo motivo di ricorso con cui si deduce la violazione dell’art. 6, par. 1, della Convenzione europea dei diritti dell’uomo e della L. n. 89 del 2001 e’ inammissibile per inidoneita’ del quesito. Posto invero che “il quesito di diritto costituisce in punto di congiunzione tra la risoluzione dei caso specifico e l’enunciazione dei principio giuridico generale, risultando altrimenti inadeguata e quindi non ammissibile investitura stessa dei giudice di legittimita’: ne deriva che la parte deve evidenziare sia il nesso tra la fattispecie ed il principio di diritto che si chiede venga affermato, sia, per ciascun motivo di ricorso il principio, diverso da quello posto alla base del provvedimento impugnato, la cui auspicata applicazione potrebbe condurre ad una decisione di segno diverso (Cassazione civile, sez. 3^, 9 maggio 2008, n. 11535) al richiamato canone non risponde il quesito proposto che si limita ad enunciare un principio generale relativo ai rapporti tra normativa nazionale e Convenzione senza che risulti l’attinenza con la concreta fattispecie.

Il secondo e il terzo motivo con i quali si denuncia l’insufficiente quantificazione dell’equo indennizzo sono manifestamente infondati.

Premesso che la Corte ha enunciato il principio secondo cui “Secondo i parametri indicati dalla Corte europea dei diritti dell’uomo, ai quali il giudice nazionale e’ tenuto a conformarsi nell’applicazione della L. n. 89 del 2001, art. 2 la durata ragionevole del processo (nella specie: dinanzi alla Corte dei conti in materia di pensione) e’ di tre anni in primo grado e di due anni in secondo grado; e l’equa riparazione deve essere liquidata in una somma variabile tra i mille/00 ed i millecinquecento/00 Euro per ciascun anno eccedente il termine ragionevole (Cassazione civile, sez. 1^, 3 gennaio 2008, n. 14), nessuna censura puo’ essere mossa all’impugnata decisione che, quantificando in Euro 1.000,00 in ragione d’anno il danno morale conseguente all’irragionevole durata del processo eccedente i tre anni, si e’ attenuta ai richiamati parametri, non essendo stati evidenziati convincenti elementi che avrebbero dovuto comportare una maggiore liquidazione.

Con il quarto, quinto e sesto motivo, che per la loro connessione possono essere trattati congiuntamente, si deduce violazione della Convenzione e della L. n. 89 del 2001 e difetto di motivazione, in relazione al mancato riconoscimento del bonus di Euro 2.000,00 per la particolare natura della controversia (lavoro e previdenza).

I motivi sono manifestamente infondati, essendosi gia’ affermato dalla Corte che “In tema di equa riparazione per eccessiva durata del processo, le considerazioni della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo in merito alla centralita’ dell’occupazione e sulla relativa opportunita’ di riconoscere un bonus, svincolato da qualsiasi parametro e dovuto in considerazione dell’oggetto e della natura della controversia, non determinano alcun automatismo nell’indennizzo: tocca al giudice nazionale valutare caso per caso l’importanza della controversia senza alcun obbligo di motivazione laddove venga esclusa la liquidazione di una somma ulteriore rispetto agli standard fissati dalla Cedu e dalla L. n. 89 del 2001” (Cassazione civile, sez. 1^, 12 gennaio 2009, n. 402).

Il settimo motivo con il quale si deduce violazione di legge in ordine alla parziale compensazione delle spese operata dal giudice del merito e’ inammissibile per inidoneita’ del quesito; premesso che lo stesso risulta formulato nei termini secondo cui l’illegittimo in ipotesi di accoglimento della domanda compensare le spese del giudizio, ovvero alla condanna a favore della parte deve seguire la condanna alle spese di lite? la non corrispondenza di tale formulazione con la ratio di cui all’art. 366 bis c.p.c. deriva dalla considerazione che non e’ ammissibile una semplice domanda di sostanziale accertamento della legittimita’ della soluzione adottata dal giudice del merito ma deve essere enunciato il principio di diritto, diverso da quello adottato nel provvedimento impugnato, che avrebbe dovuto comportare una diversa soluzione favorevole al ricorrente; a cio’ si aggiunga che al quesito cosi formulato dovrebbe darsi risposta affermativa posto che la semplice soccombenza non comporta di per se’ la condanna alle spese, ben potendo il giudice disporla per giustificati motivi.

L’ottavo motivo con cui si censura l’incongruita’ della motivazione nella parte in cui ha giustificato la parziale compensazione delle spese e’ manifestamente infondato dal momento che e’ pienamente logica e congrua una compensazione parziale a fronte della complessita’ della materia e della non sempre univoca elaborazione giurisprudenziale dei principi del diritto nazionale e sovranazionale.

Il ricorso deve dunque essere rigettato con le conseguenze di rito in ordine alle spese.

P.Q.M.

LA CORTE Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente alla rifusione in favore dell’Amministrazione delle spese del giudizio che liquida in Euro 800,00 per onorari, oltre spese prenotate a debito.

Così deciso in Roma, il 4 marzo 2010.

Depositato in Cancelleria il 8 aprile 2010

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