Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 838 del 15/01/2013


Clicca qui per richiedere la rimozione dei dati personali dalla sentenza

Civile Sent. Sez. 6 Num. 838 Anno 2013
Presidente: SALME’ GIUSEPPE
Relatore: DI PALMA SALVATORE

SENTENZA

sul ricorso 8166-2011 proposto da:
MINISTERO DELL’ECONOMIA E DELLE FINANZE 80415740580, in
persona del Ministro pro tempore, elettivamente
domiciliato in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso
l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e
difende ope legis;
– ricorrente –

2012

contro

7955

MOFFA

GAETANO

MFFGTN51L13H273R

domiciliato in ROMA,

PIAZZA CAVOUR,

elettivamente
presso la

CASSAZIONE, rappresentato e difeso dall’avvocato NERI

Data pubblicazione: 15/01/2013

CLAUDIO giusta mandato a margine del controricorso;
– controricorrente –

avverso il decreto n. 18/2010 della CORTE D’APPELLO di
CAMPOBASSO del 12/01/2010, depositato il 06/02/2010;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica

SALVATORE DI PALMA;
udito

l’Avvocato

Neri

Claudio

difensore

del

controricorrente che si riporta al controricorso e
chiede il rigetto del ricorso;
è presente il P.G. in persona del Dott. FEDERICO
SORRENTINO che ha concluso per il rigetto del ricorso.

udienza del 09/11/2012 dal Consigliere Relatore Dott.

Rana riparazione

RM6)11 — II_ O novembre 2012

Séntéttn
Ritenuto che il ministro dell’economia e delle finanze, con ricorso del 22 marzo 2011, ha

decreto della Corte d’Appello di Campobasso, depositato in data 6 febbraio 2010, con il quale la
Corte d’appello, pronunciando sul ricorso del Moffa — vòlto ad ottenere l’equa riparazione dei danni
non patrimoniali ai sensi dell’art. 2, comma 1, della legge 24 marzo 2001, n. 89 —, in
contraddittorio con il Ministro dell’economia e delle finanze — il quale, costituitosi, ha concluso per
l’inammissibilità o per l’infondatezza del ricorso —, ha condannato il resistente a pagare al
ricorrente, a titolo di equa riparazione, la somma di € 15.000,00;
che resiste, con controricorso, Gaetano Moffa;
che, in particolare, la domanda di equa riparazione del danno non patrimoniale — richiesto per
l’irragionevole durata del processo presupposto — proposta con ricorso del 4 giugno 2009, era
fondata sui seguenti fatti: a) il Moffa aveva promosso una causa dinanzi al Tribunale
amministrativo regionale per il Molise con ricorso dell’i l novembre 1992; b) il Tribunale adito
aveva deciso la causa con sentenza del 12 dicembre 2007;
che la Corte d’Appello di Campobasso, con il suddetto decreto impugnato, ha affermato, tra
l’altro: «[.. .] il ricorso è tempestivo, in quanto la sentenza che ha definito il procedimento
amministrativo è stata pubblicata il 12-12-2007, non risulta mai notificata ed è dunque divenuta
irrevocabile in data 27 gennaio 2009, mentre il ricorso è stato depositato in data 4 giugno 2009. In
esito all’eccezione proposta sul punto dal Ministero, si osserva che la prova dell’avvenuta notifica
di detta sentenza ai fini della decorrenza del termine “breve” utile a proporre impugnazione è onere
della parte che la eccepisce, specialmente nel caso di specie, stante l’impossibilità di onerare il
ricorrente della prova di fatti negativi non essendo previsto nel giudizio amministrativo che
l’Ufficiale giudiziario avvisi di detta avvenuta notifica il giudice che ha emanato il provvedimento».
Considerato che, con il motivo di censura, il ricorrente ritiene illegittimo, anche sotto il profilo
dei vizi di motivazione, l’affermato onere della prova a suo carico della tempestività del ricorso per
equa riparazione con riferimento al termine breve di impugnazione;
che tale censura — a prescindere da consistenti ragioni di inammissibilità — non merita
comunque accoglimento, con assorbimento di ogni altra eccezione, e di ogni altro motivo o profilo
di censura;
che, secondo consolidato orientamento di questa Corte, in tema di equa riparazione per
violazione del termine ragionevole di durata del processo, per “definitività” della decisione che
conclude il procedimento nel cui ambito la violazione si assume verificata, la quale segna il dies a
quo del termine di decadenza di sei mesi per la proponibilità della domanda, s’intende, in relazione
al giudizio di cognizione, il passaggio in giudicato della sentenza che lo definisce, con la
conseguenza che spetta all’amministrazione convenuta comprovare la tardività della domanda in
relazione all’acquisito carattere di definitività del provvedimento conclusivo del giudizio nel quale
si è verificata la violazione del termine ragionevole di durata, a seguito dello spirare, in

impugnato per cassazione — deducendo due motivi di censura —, nei confronti di Gaetano Moffa, il

che, in particolare, con la sentenza n. 13014 del 2010 — pronunciata in fattispecie analoga alla
presente —, questa Corte ha ribadito che, «ai fini della condizione di proponibilità della domanda di
equa riparazione, prevista dalla L. 24 marzo 2001, n. 89, art. 4, sussiste la pendenza del
procedimento, nel cui ambito la violazione del termine di durata ragionevole si assume verificata,
allorché sia stata emessa la relativa sentenza di primo grado e non sia ancora decorso il termine
lungo per la proposizione dell’impugnazione (Cass. 2003/11231), spettando comunque
all’amministrazione convenuta comprovare la tardività della domanda in relazione all’acquisito
carattere di definitivita del provvedimento conclusivo del giudizio nel quale si è verificata la
violazione del termine ragionevole di durata, a seguito dello spirare, in conseguenza della
notificazione, del termine di cui all’art. 325 c.p.c. (Cass. 2006/3826)»;
che, nella specie, i Giudici a quibus hanno, in puntuale applicazione dei qui ribaditi principi,
respinto l’eccezione dell’odierno ricorrente, senza contare che le censure formulate in questa sede si
riferiscono in modo chiaramente inammissibile alla disciplina delle impugnazioni di cui al codice di
procedura civile e non — come avrebbero invece dovuto — alla disciplina delle impugnazioni di cui
ai giudizi amministrativi applicabile nella specie, della quale non v’è traccia o riferimento nel
ricorso in esame;
che le spese del presente grado di giudizio seguono la soccombenza e vengono liquidate nel
dispositivo;
che, a tal fine rileva la disciplina del D.m. (Giustizia) 20 luglio 2012, n. 140, giacché il suo art.
41 prevede che «Le disposizioni di cui al presente decreto si applicano alle liquidazioni successive
alla sua entrata in vigore» (cioè al 23 agosto 2012 e cioè il giorno successivo alla pubblicazione in
Gazzetta Ufficiale, come stabilito dall’art. 42 dello stesso decreto), armonizzandosi con la norma, di
rango legislativo, di cui all’art. 9, comma 3, del di. 24 gennaio 2012, n. 1, convertito in legge, con
modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della legge 24 marzo 2012, n. 27, secondo la quale le «tariffe
vigenti alla data di entrata in vigore del presente continuano ad applicarsi, limitatamente alla
liquidazione delle spese giudiziali, fino alla data di entrata in vigore dei decreti ministeriali di cui al
comma 2», cioè, segnatamente, del decreto del Ministero della giustizia che, nel caso di
liquidazione da parte di un organo giurisdizionale, stabilisce i parametri per la determinazione del
compenso del professionista, ciò in quanto lo stesso art. 9 del citato di. n. I del 2012 ha abrogato
tutte «le tariffe delle professioni regolamentate nel sistema ordinistico» (comma 1), nonché «le
disposizioni vigenti che, per la determinazione del compenso del professionista, rinviano alla tariffe
di cui al comma I» (comma 5);
che, in definitiva, venuto meno il sistema tariffario per la liquidazione dei compensi da parte di
un organo giurisdizionale (in particolare, per gli avvocati, quello da ultimo contemplato dal D.m. 8
aprile 2004, n. 127), occorre a tal riguardo fare riferimento ai criteri ed ai parametri indicati dal d.m.
n. 140 del 2012, che è divenuto operativo per tutte le liquidazioni che devono essere effettuate a
seguito della sua entrata in vigore, così da configurarsi come jus superveniens da applicare nella
presente controversia;

2

conseguenza della notificazione, del termine di cui all’art. 325 cod. proc. civ. (cfr. le sentenze nn.
3826 del 2006 e 15939 del 2009);

P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente alle spese, che liquida in complessivi € 505,75, oltre agli
accessori di legge.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sesta Sezione Civile, il 9 novembre 2012
Il C nsigliere relatore ed estensore

che, ciò premesso, tenuto conto della tabella A — Avvocati, richiamata dall’art. 11 del citato
D.m., del valore della controversia (pari ad C 15.000,00) e, quindi, dello scaglione di riferimento
fino a curo 25.000,00 per i giudizi dinanzi alla Corte di cassazione, nonché applicata (in ragione
della minima complessità della controversia, alla stregua della ponderazione richiesta dall’art. 4
dello stesso d.m.) la diminuzione massima indicata all’interno di detto scaglione per ciascuna fase e
ridotto il compenso così risultante del 50% ai sensi dell’art. 9 del medesimo dm. n. 140 del 2012,
trattandosi di causa avente ad oggetto l’indennizzo da irragionevole durata del processo, il
ricorrente deve essere condannato al pagamento, a titolo di spese processuali, della somma di eur
180,00 per la fase di studio, euro 112,50 per la fase introduttiva, cd euro 213,25 per la fase decisori
e così complessivamente la somma di euro 505,75.

Sostieni LaLeggepertutti.it

La pandemia ha colpito duramente anche il settore giornalistico. La pubblicità, di cui si nutre l’informazione online, è in forte calo, con perdite di oltre il 70%. Ma, a differenza degli altri comparti, i giornali online non ricevuto alcun sostegno da parte dello Stato. Per salvare l'informazione libera e gratuita, ti chiediamo un sostegno, una piccola donazione che ci consenta di mantenere in vita il nostro giornale. Questo ci permetterà di esistere anche dopo la pandemia, per offrirti un servizio sempre aggiornato e professionale. Diventa sostenitore clicca qui

LEGGI ANCHE



NEWSLETTER

Iscriviti per rimanere sempre informato e aggiornato.

CERCA CODICI ANNOTATI

CERCA SENTENZA