Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 8375 del 29/04/2020

Cassazione civile sez. III, 29/04/2020, (ud. 31/10/2019, dep. 29/04/2020), n.8375

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. FRASCA Raffaele – Presidente –

Dott. DE STEFANO Francesco – Consigliere –

Dott. OLIVIERI Stefano – Consigliere –

Dott. SCODITTI Enrico – Consigliere –

Dott. ROSSETTI Marco – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 1743/2016 proposto da:

PRESIDENZA DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI, in persona del Presidente del

Consiglio dei Ministri pro tempore, elettivamente domiciliata in

ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO

STATO, che la rappresenta e difende;

– ricorrente –

contro

C.G.A.E., elettivamente domiciliato in

ROMA, VIA DEI SAVORELLI, 63, presso lo studio dell’avvocato ISABELLA

NEGRO, che lo rappresenta e difende;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 7505/2014 della CORTE D’APPELLO di ROMA,

depositata il 05/12/2014;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

31/10/2019 dal Consigliere Dott. MARCO ROSSETTI.

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. In data non precisata nel ricorso, nè nella sentenza impugnata, nè nel controricorso, C.G.A.E., agendo insieme ad altri soggetti, convenne dinanzi al Tribunale di Roma la Presidenza del Consiglio dei Ministri, il Ministero dell’Istruzione, il Ministero della Salute ed il Ministero dell’Economia, esponendo che:

-) dopo avere conseguito la laurea in medicina, si era iscritto ad una scuola di specializzazione;

-) durante il periodo di specializzazione non aveva percepito alcuna remunerazione o compenso da parte della scuola stessa;

-) le direttive comunitarie n. 75/362/CEE e 75/363/CEE, così come modificate dalla Direttiva 82/76/CEE, avevano imposto agli Stati membri di prevedere che ai frequentanti le scuole di specializzazione fosse corrisposta una adeguata retribuzione;

-) l’Italia aveva dato tardiva e parziale attuazione a tali direttive solo con la L. 8 agosto 1991, n. 257.

Concluse pertanto chiedendo la condanna delle amministrazioni convenute al risarcimento del danno sofferto in conseguenza della tardiva attuazione delle suddette direttive.

2. Con sentenza 17.8.2012 n. 16616 il Tribunale di Roma accolse la domanda, e condannò la presidenza del consiglio al pagamento in favore dell’attore di 33.569,7 Euro.

3. La sentenza fu impugnata dalla Presidenza del consiglio, la quale dedusse l’erroneità della sentenza di primo grado per non avere considerato che la specializzazione conseguita dall’attore (“chirurgia d’urgenza”) non era ricompresa tra quelle comuni ad almeno due Stati membri, e indicate nella direttiva 75/362/CEE, per le quali soltanto sussisteva l’obbligo dello Stato di remunerare gli iscritti.

4. Con sentenza 5.12.2014 la Corte d’appello di Roma rigettò il gravame.

Rilevò la Corte capitolina che la difesa erariale non aveva depositato, nel giudizio di appello, il proprio fascicolo di parte; che in assenza di tale fascicolo non era possibile stabilire se la questione posta dall’appello proposto dalla presidenza del consiglio fosse nuova oppure no; che dalla sentenza impugnata e dalle difese dell’attore non risultava che la suddetta questione fosse stata discussa in primo grado; che, di conseguenza, la equipollenza tra la specializzazione conseguita dall’attore e quelle previste dalla normativa comunitaria dovevano ritenersi “non contestate” (così la sentenza d’appello, p. 4, capoversi terzo e quarto).

5. La sentenza d’appello è stata impugnata per cassazione dalla presidenza del Consiglio con ricorso fondato su due motivi.

Ha resistito C.G.A.E. con controricorso illustrato da memoria.

Il ricorso, già assegnato alla sesta sezione di questa corte, per essere deciso con le forme semplificate di cui all’art. 380 bis c.p.c., all’esito della Camera di consiglio del 30 ottobre 2017, con ordinanza 1 dicembre 2017 n. 28913 è stato rimesso alla terza sezione civile perchè fosse trattato in pubblica udienza, e successivamente fissato per la decisione in forma camerale, ex art. 380 bis-1 c.p.c., nell’odierna Camera di consiglio.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Il primo motivo di ricorso.

1.1. Col primo motivo l’amministrazione ricorrente lamenta, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 4, la violazione da parte della Corte d’appello degli artt. 99, 112 e 345 c.p.c..

Sostiene la ricorrente che la corrispondenza tra la scuola di specializzazione frequentata dall’attore e quelle dichiarate comuni ad almeno due Stati membri dalla normativa comunitaria costituisce un fatto costitutivo della pretesa risarcitoria (dal momento che, in mancanza di quella corrispondenza, nessun diritto alla remunerazione spettava agli allievi, e di conseguenza nessuna conseguenza avrebbe avuto il tardivo recepimento delle direttive comunitarie da parte dello Stato italiano); che in quanto fatto costitutivo della pretesa, l’eccezione volta a farne rilevare la carenza era un’eccezione in senso lato, come tale rilevabile anche d’ufficio.

1.2. Il motivo è inammissibile per difetto di decisività, in quanto non censura l’effettiva ratio decidendi sottesa dalla sentenza impugnata.

La Corte d’appello, infatti, non ha affatto rigettato il gravame sol perchè abbia ritenuto di non potere rilevare d’ufficio se la specializzazione conseguita dall’attore fosse comune ad almeno due Stati membri dell’Unione Europea.

La Corte d’appello ha rigettato il gravame perchè, non rinvenendo negli atti il fascicolo di parte dell’Avvocatura Generale, nè emergendo dalla sentenza di primo grado se la questione della “equipollenza” fosse stata discussa in primo grado, ha concluso che la suddetta questione doveva ritenersi “mai contestata” (così la sentenza impugnata, p. 4, quarto capoverso, terzo rigo).

Non, dunque, la novità della questione proposta dall’Avvocatura ha costituito il fondamento del rigetto del gravame, ma la “non contestazione” del suo presupposto di fatto (e cioè, per quanto detto, l’equipollenza sostanziale tra la specializzazione in chirurgia d’urgenza, e quelle comunque denominate, ma comuni ad almeno due Stati membri).

Tale ratio decidendi, giusta o sbagliata che fosse, non è stata censurata dalla amministrazione odierna ricorrente, la quale come già detto non si duole affatto della falsa applicazione del principio di non contestazione (avere, cioè, la Corte d’appello ritenuto “non contestata” una circostanza di fatto che invece lo era stata); nè indica in quale atto processuale, ed in quali termini, aveva formulato la contestazione trascurata dalla Corte d’appello.

1.3. Deve altresì aggiungersi, ad abundantiam, che in ogni caso la decisione con cui il giudice d’appello rigetti il gravame, affermando non poterne valutare la fondatezza a causa della mancanza negli atti del fascicolo di parte dell’appellante, ritualmente prelevato e non più depositato, può essere sindacata in sede di legittimità non nel merito, ma solo nel suo presupposto processuale: e dunque allegando che erroneamente il giudice del gravame ha ritenuto mancante negli atti il fascicolo di parte; oppure erroneamente l’ha ritenuto ritualmente prelevato e non più depositato.

Infatti, anche quando manchi il fascicolo dell’appellante e la mancanza non possa dirsi incolpevole, il giudice d’appello deve comunque decidere nel merito l’impugnazione, sulla base degli stati legittimamente a sua disposizione (Sez. 1, Sentenza n. 6555 del 07/11/1983, Rv. 431266-01; Sez. 1, Sentenza n. 6475 del 03/11/1983, Rv. 431219-01).

Nel nostro caso, pertanto, correttamente la Corte d’appello ha ritenuto “non contestata”, per mancanza di prova del contrario, la fondatezza in punto di fatto della domanda attorea.

2. Il secondo motivo di ricorso.

2.1. Col secondo motivo di ricorso la difesa erariale lamenta, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3, la violazione degli artt. 1173 e 2043 c.c.; dell’art. 16 della direttiva CEE 82/76; degli artt. 5 e 7 della direttiva 75/362/CEE.

La ricorrente, muovendo dal presupposto che ai fini del risarcimento del danno per tardiva attuazione, da parte dello Stato italiano, delle direttive comunitarie sulla remunerazione degli iscritti alle scuole di specializzazione in medicina, sia sufficiente una “analogia sostanziale” tra la specializzazione effettivamente conseguita dall’interessato, e quelle comuni ad almeno due Stati membri, censura tale valutazione, sostenendo che ciò che unicamente rileva ai fini del riconoscimento del suddetto risarcimento è l’equivalenza nominale tra le specializzazioni, e non quella sostanziale tra i relativi insegnamenti.

2.2. Il motivo resta assorbito dalla inammissibilità del primo motivo.

Infatti, una volta accertato che la corte d’appello ha ritenuto “non contestata” la sussistenza dei presupposti di fatto legittimati diritto al risarcimento, ed una volta rilevato che tale giudizio non è stato correttamente censurato in questa sede, resta precluso l’esame del merito della questione.

Ad abundantiam, tuttavia, ritiene il Collegio doveroso ricordare che l’obbligo di “adeguata remunerazione” dei medici iscritti alle scuole di specializzazione, imposto agli Stati membri dall’art. 1 dell'”Allegato” Direttiva 75/363/CEE, aggiunto dall’art. 13 della Direttiva 82/76/CEE del Consiglio, del 26 gennaio 1982, è subordinato alla circostanza non già della mera corrispondenza nominale tra la scuola di specializzazione frequentata e quelle previste dalla suddetta direttiva 75/363/CEE, ma dalla loro equipollenza sostanziale. e tale equipollenza va accertata in punto di fatto, ad es. comparando il contenuto concreto degli insegnamenti impartiti (Sez. U., Sentenza n. 13909 del 24/06/2011, Rv. 617754, secondo cui “il mancato inserimento di una scuola di specializzazione in medicina e chirurgia, attivata presso una Università, nell’elenco delle specializzazioni di tipologia e durata conformi alle norme comunitarie, previsto dal D.Lgs. 8 agosto 1991, n. 275, art. 1, comma 2, non è di ostacolo al riconoscimento in favore dello specializzando del diritto alla borsa di studio prevista nello stesso D.Lgs. n. 275, art. 6, quando si tratti di specializzazione del tutto analoga a quelle istituite in almeno altri due Stati membri”).

Da ciò discende, per l’attore, l’onere di allegare e provare i fatti giustificativi del requisito della equipollenza; e per l’amministrazione convenuta l’onere di contestare la sussistenza di essa. La relativa eccezione, per le ragioni appena esposte, non costituisce dunque soltanto una difesa in iure, ma una eccezione mista di fatto-diritto, e come tale non prospettabile per la prima volta in sede di legittimità (ex plurimis, in tal senso, Sez. 3, Sentenza n. 23199 del 15/11/2016, Rv. 642976-01; Sez. U, Sentenza n. 29345 del 16/12/2008, Rv. 605944).

La questione della equipollenza deve pertanto considerarsi “nuova”, e come tale non ammissibile in sede di legittimità, laddove parte ricorrente non comprovi come e quando sia stata posta nei precedenti gradi del giudizio (cfr., in tal senso, di recente e con ampiezza di argomentazioni: Sez. 3, Sentenza n. 23199 del 15 novembre 2016; in precedenza, nel medesimo senso: Sez. 3, Sentenza n. 16667 del 9 agosto 2016; Sez. L, Sentenza n. 190 del 11/01/2016; Sez. 6-3, Sentenza n. 6471 del 31/03/2015).

3. Le spese.

3.1. Le spese del presente giudizio di legittimità vanno a poste a carico della ricorrente, ai sensi dell’art. 385 c.p.c., comma 1 e sono liquidate nel dispositivo.

Non è luogo a provvedere ai sensi del.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater (nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17), essendo le Amministrazioni dello Stato istituzionalmente esonerate, per valutazione normativa della loro qualità soggettiva, dal materiale versamento del contributo stesso, mediante il meccanismo della prenotazione a debito. (Sez. 3, Sentenza n. 5955 del 14/03/2014, Rv. 630550-01).

P.Q.M.

la Corte di Cassazione:

(-) rigetta il ricorso;

(-) condanna la Presidenza del Consiglio dei Ministri alla rifusione in favore di C.G.A.E. delle spese del presente giudizio di legittimità, che si liquidano nella somma di Euro 5.200, di cui 200 per spese vive, oltre I.V.A., cassa forense e spese forfettarie D.M. 10 marzo 2014, n. 55, ex art. 2, comma 2.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Terza Civile della Corte di Cassazione, il 31 ottobre 2019.

Depositato in Cancelleria il 29 aprile 2020

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