Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 8372 del 29/04/2020

Cassazione civile sez. II, 29/04/2020, (ud. 30/01/2020, dep. 29/04/2020), n.8372

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MANNA Felice – rel. Presidente –

Dott. BELLINI Ubaldo – Consigliere –

Dott. FALASCHI Milena – Consigliere –

Dott. VARRONE Luca – Consigliere –

Dott. OLIVA Stefano – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 19827/2019 proposto da:

R.A., rappresentato e difeso dall’avvocato LUCA ZUPPELLI;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’INTERNO, in persona del Ministro pro tempore,

elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso

l’AVVOCATURA GENERALE DELLO 2020 STATO, che lo rappresenta e difende

ope legis;

– resistente –

avverso il decreto n. cron. 3048/2019 del TRIBUNALE di BRESCIA,

depositato il 03/06/2019;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

30/01/2020 dal Presidente Dott. FELICE MANNA.

Fatto

IN FATTO

R.A., nato in (OMISSIS), proponeva innanzi al Tribunale di Brescia ricorso avverso la decisione della locale Commissione territoriale, che aveva respinto la sua richiesta di protezione internazionale o umanitaria. A sostegno della domanda deduceva di essere sposato con figli; di essere un attivista del (OMISSIS), di cui aveva ricoperto la carica di segretario generale; e di essere fuggito dal suo Paese a seguito del clima di violenza e di ricatti formatosi dopo le elezioni del 2014 e di un mandato d’arresto, che sarebbe stato emesso nei suoi confronti dietro denuncia di avversari politici.

Con Decreto 3 giugno 2019, il Tribunale rigettava il ricorso, poichè la documentazione di sostegno prodotta dal ricorrente appariva di dubbia autenticità e riferibilità al richiedente, ed il racconto di lui sull’asserito attività politica era scarsamente circostanziato. Escludeva, poi, che la situazione del Bangladesh legittimasse la protezione sussidiaria D.Lgs. n. 251 del 2007, ex art. 14, lett. c) e, quanto alla protezione umanitaria, che il richiedente versasse in una situazione di vulnerabilità, e che il suo rientro nel Paese d’origine potesse mettere a repentaglio l’esercizio dei diritti umani fondamentali.

Per la cassazione di tale provvedimento il richiedente propone ricorso, affidato a tre motivi.

Il Ministero dell’Interno non ha svolto attività difensiva.

Il ricorso è stato avviato alla trattazione camerale ex art. 380-bis.1. c.p.c..

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. – Il primo motivo denuncia “la violazione e/o falsa applicazione dell’art. 360 c.p.c., n. 5, in relazione al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3,D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 14 e art. 5, comma 6 del T.U.I.”, per non aver il Tribunale, “preso atto della documentazione prodotta e delle dichiarazioni precise e dettagliate svolte sin dalla proposizione della domanda di protezione internazionale”, attivato i poteri officiosi necessari a un’adeguata conoscenza della situazione del Paese d’origine del richiedente.

1.1. – Il motivo è inammissibile per la sua assoluta genericità e per il suo non confrontarsi con la ratio decidendi del decreto impugnato, il quale ha escluso la protezione internazionale (rifugio e sussidiaria D.Lgs. n. 251 del 2007, ex art. 14, lett. a e b) per la dubbia genuinità proprio di quella documentazione che il ricorrente deduce non essere stata considerata, affetta da errori ortografici e semplicità sintattica incompatibile con la pretesa provenienza da autorità statuali.

2. – Il secondo motivo espone la “violazione dell’art. 360 c.p.c., n. 5, e/o motivazione omessa, insufficiente e/o contraddittoria su fatti o questioni controverse e decisive ai fini del giudizio”. Sostiene parte ricorrente che il Tribunale bresciano si sia sottratto al necessario e preliminare scrutinio dei criteri legali sul ragionevole tentativo del richiedente di circostanziare la sua domanda; non abbia considerato la non contraddittorietà e l’attendibilità delle dichiarazioni da lui rese; non abbia acquisito le informazioni sul contesto socio-politico del Paese di rientro; abbia attribuito importanza solo ad aspetti secondari e ad irrilevanti imprecisioni nel racconto; abbia motivato il proprio giudizio d’inattendibilità sulla base di mere asserzioni inidonee a far comprendere le ragioni per cui la vicenda narrata è stata ritenuta priva di autenticità e di contenuto generico e vago; e abbia affermato, senza dar corso alla necessaria cooperazione istruttoria, che nel Bangladesh è un Paese in cui non vi è una situazione di violenza indiscriminata.

2.1. – Anche tale motivo è inammissibile.

Esso suppone la possibilità di un controllo di adeguatezza motivazionale ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5, nel testo previgente alle modifiche apportate dal D.L. n. 83 del 2012, convertito in L. n. 134 del 2012. Controllo non più attivabile in sede di legittimità, al di fuori della ben diversa ipotesi della nullità della sentenza per difetto, contraddittorietà assoluta o mera apparenza della motivazione, riducendo così al minimo costituzionale il sindacato di legittimità sulla motivazione (cfr. S.U. n. 8053/14).

3. – Il terzo motivo eccepisce l’illegittimità costituzionale del D.L. n. 13 del 2017, per violazione del requisito di straordinaria necessità ed urgenza, in relazione agli artt. 77 e 111 Cost. e dei limiti previsti dalla L. n. 400 del 1988, art. 15. Sostiene parte ricorrente che il D.L. n. 13 del 2017, è sprovvisto dei requisiti di necessità ed urgenza, perchè contiene norme da un lato di non immediata applicazione e dall’altro del tutto eterogenee fra loro. Deduce, inoltre, parte ricorrente che la nuova normativa introdotta dal citato D.L., introduce un modello processuale privo di regole predeterminate dal legislatore, che affida al potere discrezionale e insindacabile del giudice la stessa formazione della prova, ledendo il principio del contraddittorio e del giusto processo.

3.1. – Il motivo, essendo manifestamente infondato in ciascuna delle due questioni di costituzionalità che prospetta e che sono state già reiette dalla giurisprudenza di questa Corte, cui si ritiene di dare continuità, è anch’esso e a sua volta inammissibile ex art. 360-bis c.p.c., n. 1 (come reinterpretato da S.U. n. 7155/17).

Quanto alla prima, è stata ritenuta manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale del D.L. n. 13 del 2017, art. 21, comma 1, conv. con modifiche in L. n. 46 del 2017, per difetto dei requisiti della straordinaria necessità ed urgenza poichè la disposizione transitoria – che differisce di 180 giorni dall’emanazione del decreto l’entrata in vigore del nuovo rito – è connaturata all’esigenza di predisporre un congruo intervallo temporale per consentire alla complessa riforma processuale di entrare a regime (v. nn. 17717/18 e 28119/18).

Pure la seconda questione di legittimità costituzionale, relativa al D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 35-bis, comma 1, è stata ritenuta manifestamente infondata. E’ stata esclusa, infatti, la violazione del diritto di difesa e del principio del contraddittorio, poichè il rito camerale ex art. 737 c.p.c., che è previsto anche per la trattazione di controversie in materia di diritti e di status, è idoneo a garantire il contraddittorio anche nel caso in cui non sia disposta l’udienza, sia perchè tale eventualità è limitata solo alle ipotesi in cui, in ragione dell’attività istruttoria precedentemente svolta, essa appaia superflua, sia perchè in tale caso le parti sono comunque garantite dal diritto di depositare difese scritte (v. n. 17717/18). Non senza considerare che anche in altre (e non meno rilevanti materie) il modello camerale è stato ritenuto dalla giurisprudenza di questa Corte Suprema idoneo, nei procedimenti di natura contenziosa, a consentire il pieno dispiegamento del contraddittorio e dell’iniziativa istruttoria delle parti anche quando difetti la celebrazione di un’udienza (cfr. n. 8046/19).

4. – In conclusione il ricorso va dichiarato inammissibile.

5. – Nulla per le spese, non avendo il Ministero intimato svolto attività difensiva.

6. – Ricorrono i presupposti processuali per il raddoppio, a carico del ricorrente, del contributo unificato, se dovuto, ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17.

P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibile il ricorso. Sussistono a carico del ricorrente i presupposti processuali per il raddoppio del contributo unificato, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Seconda Civile della Corte Suprema di Cassazione, il 30 gennaio 2020.

Depositato in Cancelleria il 29 aprile 2020

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